SENTENZA N. 87
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Dott. Antonio MANCA
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 713 del Codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 14 luglio 1967 dal presidente del Tribunale di Milano sul ricorso prodotto da Cavalca Luciano per l'inabilitazione di Cavalca Nerina Vittoria Enrica, iscritta al n. 240 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 del 9 dicembre 1967.
Udita nella camera di consiglio del 22 maggio 1968 la relazione del Giudice Michele Fragali.
Ritenuto in fatto
Il presidente del Tribunale di Milano, giudicando sul ricorso di inabilitazione prodotto dal prof. Luciano Cavalca contro la sorella Nerina Vittoria Enrica, con ordinanza 14 luglio 1967 ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 713 del Codice di procedura civile. Ha rilevato che il pubblico ministero, avvalendosi della facoltà prevista nel citato articolo, aveva chiesto che venisse senz'altro rigettato il ricorso, assumendo che nessun elemento era stato addotto per convalidare la domanda di inabilitazione; e ha ritenuto che la norma predetta fosse costituzionalmente illegittima in relazione al primo comma dell'art. 24 della Costituzione perché limita la facoltà del cittadino di agire in giudizio, e in relazione inoltre al secondo comma dello stesso art. 24 perché, essendo il provvedimento di rigetto della istanza ammesso senza che il ricorrente abbia la possibilità di far valere le sue ragioni per provocare il proseguimento della sua azione, viola il principio del contraddittorio e il diritto della difesa. Non vale, secondo il presidente del Tribunale, che l'istanza potrebbe essere riproposta, perché l'interessato non può essere costretto a iniziare un nuovo procedimento e a proporre nuovi elementi di giudizio se ignora per quale motivo quelli precedentemente esposti non erano stati ritenuti idonei a giustificare la prosecuzione dell'azione. Infine l'ordinanza rileva che la norma non prevede alcuna possibilità di gravame avverso il decreto di rigetto e pertanto viola ancora una volta il secondo comma dell'art. 24 della Costituzione e il successivo art. 111 della stessa, giacché contrasta con i diritti della difesa il non poter interloquire sui motivi di un provvedimento da cui dipende l'ulteriore svolgimento del processo e il non poter proporre gravame contro il medesimo.
L'ordinanza é stata notificata alle parti private il 24 e il 26 luglio 1967, al pubblico ministero il 21 stesso mese e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 22 successivo; é stata comunicata ai Presidenti delle due Camere l'8 agosto 1967. L'ordinanza é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 9 dicembre 1967, n. 307.
Nessuno si é costituito innanzi a questa Corte e la causa é stata trattata in camera di consiglio il 22 maggio 1968.
Considerato in diritto
1. - La norma impugnata si suole spiegare con la necessità di preservare l'interdicendo o l'inabilitando da istanze avventate e impone al giudice una delibazione preliminare della domanda, onde accertare se essa abbia parvenza di fondatezza.
Questo procedimento lede il diritto di difesa della parte istante in quanto permette al Tribunale di rigettarne senz'altro la domanda su richiesta del pubblico ministero, senza prescrivere che quest'ultima sia comunicata alla parte, così da permetterle di contraddire mediante l'esposizione di ragioni ulteriori. Vero é che il Tribunale può anche respingere la richiesta del pubblico ministero; ma l'inesistenza di un suo dovere di accoglierla non esclude che resti leso il diritto di difesa nel caso in cui ritenga di farla propria. Vero é pure che l'istanza respinta può essere riproposta; ma tale possibilità non migliora la posizione della parte attrice, non essendo imposto al pubblico ministero di motivare la sua richiesta e rimanendo la parte conseguentemente all'oscuro delle ragioni che hanno indotto a domandare e a decidere che il procedimento venga arrestato.
2. - La questione ha punti in comune con quella risolta con la sentenza 23 giugno 1965, n. 70, a proposito dell'art. 274, secondo comma, del Codice civile; nella quale furono prospettati argomenti non dissimili da quelli ora esposti. In tale sentenza si rilevò pure che la non impugnabilità del provvedimento del Tribunale non consentiva alla parte di interloquire sui motivi di un provvedimento da cui dipende l'ulteriore svolgimento del processo; e queste considerazioni vengono fatte proprie dall'ordinanza per sorreggere il dubbio di costituzionalità di quella parte della norma che non prevede l'impugnazione del provvedimento del presidente del tribunale.
Ma la sentenza richiamata nell'ordinanza provvedeva riguardo ad una norma che espressamente escludeva ogni reclamo, mentre la disposizione ora impugnata non contiene uguale esclusione, e la sia pure scarsa giurisprudenza é nel senso della reclamabilità. Il dissenso che su tale opinione si é manifestato in dottrina si compone dando alla norma quel significato che meglio corrisponde al precetto costituzionale ora invocato; e cioè intendendola nel senso della reclamabilità, proprio perché essa non viene negata, come faceva invece l'art. 274, secondo comma, del Codice civile, oggetto della suddetta sentenza 25 giugno 1965, n. 70. É vero che la Corte in precedenza (13 maggio 1965 n. 41) aveva deciso che l'ordinamento non garantisce il doppio grado di giurisdizione; ma é anche vero che in un'altra fattispecie normativa, in base alla quale, come per quella odierna, erano consentite determinazioni discrezionali, la Corte ha notato che la mancanza del doppio grado dava la misura della gravità delle conseguenze che avrebbero potuto derivarne (7 giugno 1963, n. 110).
Sotto questo secondo profilo, la questione proposta si palesa perciò infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 713, primo comma, secondo periodo, del Codice di procedura civile, nella parte in cui permette al Tribunale di rigettare senz'altro, e cioè senza istituire contraddittorio con la parte istante, la domanda di interdizione o di inabilitazione ove il pubblico ministero ne faccia richiesta.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.
Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 5 luglio 1968.