SENTENZA N. 68
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Dott. Antonio MANCA
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 16 maggio 1963, n. 710 (trasferimento all'E.N.E.L. dell'impresa del Consorzio elettrico del Buthier), promosso con ordinanza emessa il 10 maggio 1967 dal Tribunale di Aosta nel procedimento civile vertente tra l'Azienda elettrica municipale di Torino e l'E.N.E.L., iscritta al n. 130 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 190 del 29 luglio 1967.
Visti gli atti di costituzione dell'Azienda elettrica municipale di Torino (A.E.M.) e dell'E.N.E.L.;
udita nell'udienza pubblica del 9 aprile 1968 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
uditi gli avvocati Paolo Greco e Alberto Buffa, per l'A.E.M., e l'avv. Leopoldo Piccardi, per l'E.N.E.L.
Ritenuto in fatto
1. - Con D.P.R. 16 maggio 1963, n. 710, emanato in forza della delega conferita al Governo dall'art. 4 n. 10 della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, venne trasferita all'E.N.E.L. l'impresa del Consorzio elettrico del Buthier (C.E.B.), costituito fra l'Azienda elettrica municipale di Torino (A.E.M.), le Ferrovie dello Stato e la Società Cogne.
A seguito di tale trasferimento l'A.E.M., sostenendo che limitatamente alla quota consortile di sua spettanza avrebbe dovuto applicarsi l'esonero disposto dall'art. 4 n. 5 della legge delegante, convenne l'E.N.E.L. innanzi al Tribunale di Aosta per ottenere la restituzione di tale quota, e ciò previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la dichiarazione di illegittimità del citato decreto delegato, emanato in violazione dell'art. 76 della Costituzione.
Con ordinanza 10 maggio 1967 il Tribunale, dopo aver premesso che é competenza della Corte costituzionale accertare la natura del C.E.B. al fine di decidere se i suoi beni fossero trasferibili all'E.N.E.L., ha ritenuto di non poter giudicare manifestamente infondata la questione sollevata dall'attrice. A giustificazione del dubbio sulla legittimità del decreto delegato il giudice a quo rileva che la stessa difesa dell'E.N.E.L., allo scopo di controbatterlo, ha sentito il bisogno di produrre un'ampia comparsa conclusionale; richiama la deliberazione 2 agosto 1962, n. 266 della Corte dei conti sulla natura del C.E.B., ed osserva che dallo stesso atto costitutivo di quest'ultimo appare discutibile il carattere di impresa autonoma del consorzio. Il Tribunale aggiunge che il carattere eccezionale del trasferimento coattivo di beni impone che le leggi che l'autorizzano non possano essere applicate "oltre i casi in esse considerati" e conclude rimettendo gli atti a questa Corte perché sia accertato se l'impugnato D.P.R. 16 maggio 1963, n. 710, valutato in relazione all'art. 4 della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, contrasti con gli artt. 76 e 77 della Costituzione.
L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 29 luglio 1967. Nel presente giudizio si sono costituiti l'Azienda elettrica municipale di Torino (atto depositato il 4 agosto 1967) e l'Ente nazionale per l'energia elettrica (atto depositato il 25 luglio 1967).
2. - Nelle sue deduzioni l'A.E.M. premette che il C.E.B., creato con la partecipazione paritaria fra l'Azienda stessa, le Ferrovie dello Stato e la Società Cogne, non rientra fra i consorzi di bonifica (art. 862 Codice civile) e fra i consorzi di miglioramento fondiario (art. 863 Codice civile), non é un consorzio obbligatorio per l'utilizzazione delle acque e l'esercizio delle utenze di cui all'art. 59 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, né costituisce uno dei consorzi regolati dalla legge comunale e provinciale: posto in essere non per dividere gli utili derivanti dalla produzione elettrica, ma per ripartire l'energia fra i tre enti partecipanti, il C.E.B. deve essere inquadrato fra le figure consortili attraverso le quali più soggetti si associano in funzione ed a vantaggio delle loro distinte ed autonome proprietà ed attività. Mentre ciò trova conferma nell'art. 5, comma quinto, dell'atto costitutivo, secondo il quale "gli impianti saranno in possesso comune dei tre partecipanti in proporzione di un terzo per ciascuno", dalla circostanza che il C.E.B. non ha personalità giuridica discende che titolari dei rapporti attivi e passivi, come esattamente riconobbe la Corte dei conti nella deliberazione ricordata dall'ordinanza di rimessione, erano i tre enti consorziati.
La difesa dell'A.E.M. prosegue affermando che l'impugnata legge delegata venne emanata sul presupposto che il Consorzio fosse l'imprenditore proprietario dei beni espropriati: poiché tale presupposto é inesatto, la quota di spettanza dell'Azienda deve essere ritenuta inespropriabile ai sensi dell'art. 4 n. 5 della legge di delegazione. L'opposta tesi, secondo la quale la legge del 1962 farebbe sempre e soltanto riferimento all'impresa intesa come organizzazione e mai all'impresa come soggetto é insostenibile, perché é indubbio che alcune norme contenute in quel provvedimento collegano l'organizzazione al soggetto, come é dimostrato, oltre che da altre considerazioni, dalla circostanza che proprio l'art. 4, n. 5, contempla un esonero a base puramente soggettiva. L'A.E.M. é esonerata a motivo della sua natura di azienda municipalizzata, ovunque essa sia titolare o contitolare di un'impresa, e da ciò discende che il decreto impugnato, in quanto ha inciso su beni dell'inespropriabile A.E.M., é in contrasto con la legge delegante e risulta perciò costituzionalmente illegittimo.
3. - Secondo la difesa dell'E.N.E.L., posto che la A.E.M. di Torino esercita da sola l'attività che costituisce l'oggetto istituzionale di un'azienda municipalizzata e partecipa inoltre all'attività di produzione elettrica svolta attraverso un'organizzazione consortile, si deve ritenere che rispetto alle due diverse entità debba accertarsi l'esistenza delle condizioni necessarie per l'applicazione della legge di nazionalizzazione: le due imprese, infatti, sono distinte, e le speciali disposizioni dettate per le aziende municipalizzate non si possono estendere alla impresa esercitata dal Consorzio, che deve essere assoggettata dalle norme che prevedono il trasferimento di ogni impresa elettrica, individuale e collettiva che sia. A tal proposito é irrilevante la disputa teorica sul se si possa correttamente parlare di "trasferimento di impresa", specie in considerazione del fatto che non può certo dirsi che l'E.N.E.L. continui l'esercizio delle imprese ad esso trasferite. Quel che importa, invece, é che la legge di nazionalizzazione prende a base della sua disciplina il concetto di impresa elettrica, costituita da quella parte dell'attività dell'imprenditore che consiste nella produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione e vendita dell'energia: trattandosi, dunque, non del trasferimento del patrimonio di determinati soggetti, ma di ciò che é obiettivamente destinato a determinate attività imprenditoriali, si può dire che l'E.N.E.L. acquista quella parte dell'azienda che serve all'esercizio di questa. Ed invece la tesi sostenuta dall'A.E.M., secondo la quale la sua contitolarità dei beni del C.E.B. dovrebbe considerarsi come parte del più ampio complesso dei beni e dei diritti connessi all'esercizio dell'impresa istituzionalmente da essa condotta quale azienda municipalizzata, sostituisce un criterio subiettivo a quello obiettivo, come se la esenzione del trasferimento avesse ad oggetto non il complesso dei beni relativi all'impresa costituita in forma di azienda municipalizzata, ma il patrimonio di questa. La difesa dell'E.N.E.L. prosegue mettendo in evidenza che non si può negare l'esistenza di un'autonoma impresa del C.E.B., perché pretendere che là dove esiste una pluralità di persone che esercitano congiuntamente un'attività imprenditoriale non vi sia un'impresa unitaria distinta da quelle esercitate separatamente dai singoli partecipanti, equivarrebbe a negare la possibilità di imprese esercitate da società non munite di personalità giuridica.
Dopo aver messo in rilievo l'inconsistenza degli argomenti posti dal Tribunale di Aosta a fondamento dell'ordinanza di rimessione, l'E.N.E.L. conclude chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
4. - In una memoria depositata il 27 marzo 1968 la difesa dell'A.E.M. contesta la validità della tesi sostenuta dall'E.N.E.L. sulla base di un concetto di "impresa elettrica" che non trova riscontro né nella teoria né nelle norme della legge di nazionalizzazione, ed esclude che l'impresa possa identificarsi con l'azienda. Posta questa premessa, vari argomenti, a suo avviso, provano che non esiste un'impresa autonoma del C.E.B.: a) se, come l'E.N.E.L. é costretto a riconoscere, l'A.E.M. esercita la sua attività anche attraverso il consorzio, a questo non può far capo un'impresa distinta; b) essendo pacifico che il consorzio non fece mai dell'energia un oggetto di scambio; perché essa, nel momento stesso in cui era prodotta, entrava nel patrimonio dei tre enti consorziati, manca l'impresa, che per definizione presuppone che l'organizzazione sia volta al fine della produzione di beni o servizi per lo scambio; c) nell'ipotesi di società non personificate, secondo la migliore dottrina coimprenditori sono i singoli soci: il che nel caso del C.E.B. é comunque vero perché la produzione era esclusivamente rivolta alla soddisfazione del bisogni degli imprenditori consorziati; d) di conseguenza la quota A.E.M. nel consorzio era parte della sua impresa istituzionale.
La memoria conclude mettendo in rilievo che non é possibile ipotizzare che la legge di nazionalizzazione, nel momento stesso in cui prevedeva la possibilità per le aziende municipalizzate di ottenere la concessione di esercizio, abbia voluto sottrarre ad esse i mezzi per il raggiungimento del loro fine.
5. - La difesa dell'E.N.E.L. in una memoria depositata il 27 marzo 1968 conferma le argomentazioni già svolte nell'atto di costituzione e contesta l'esattezza di quelle esposte dalla difesa dell'A.E.M. In particolare la memoria mette in evidenza che: a) l'esonero di cui all'art. 4, n. 5, della legge delegante non prende in considerazione un elemento puramente subiettivo, perché ha riguardo alle imprese esercitate nei modi previsti dal testo unico sulla municipalizzazione del pubblici servizi; b) comunque il concorso di elementi di valutazione subiettiva non sarebbe mai idoneo a spostare la questione ed occorrerebbe pur sempre dimostrare che i partecipanti al consorzio non esercitassero, attraverso questo, una impresa distinta; c) l'identificazione fra impresa ed imprenditore, sulla quale si basa la tesi avversaria, é irrilevante, essendo certo che nel sistema previsto dalla legge istitutiva dell'E.N.E.L. né questo prosegue l'attività delle imprese preesistenti né viene meno l'imprenditore, giacché si é evitato un sistema di nazionalizzazione che incidesse sui soggetti; d) il problema resta sempre quello di accertare se il consorzio esercitasse o meno un'impresa distinta da quelle degli enti partecipanti, ed é certo che una soluzione negativa porterebbe a negare l'unità dell'impresa esercitata da una società priva di personalità giuridica.
L'E.N.E.L. passa poi all'analisi della deliberazione 2 agosto 1962 della Corte dei conti e rileva che essa non pone affatto in dubbio l'esistenza di una impresa esercitata in forma associata e distinta dalle imprese gestite singolarmente dagli enti consorziati; conclude, infine, osservando che tutte le esposte argomentazioni trovano conferma nell'esame delle conseguenze che deriverebbero dall'accoglimento della domanda proposta dall'A.E.M.: escluso che possa rimanere in vita il consorzio con la sostituzione dell'E.N.E.L. alla società Cogne ed alle Ferrovie dello Stato ed escluso che l'E.N.E.L. stesso possa associarsi con altri soggetti pubblici o privati per l'esercizio di un'attività che la legge riserva allo Stato (e ciò secondo un principio che si deve ricavare dall'art. 1, settimo comma, della legge istitutiva), la stessa persistenza di un diritto di condominio dell'A.E.M. sui beni trasferiti appare di dubbia compatibilità con la destinazione dei beni a un pubblico servizio e comunque il suo esercizio risulterebbe limitato, se non soppresso, dai poteri attribuiti all'E.N.E.L. per il raggiungimento dei suoi fini pubblici.
6. - Nell'udienza di discussione le parti costituite hanno illustrato le contrapposte tesi ed hanno insistito nelle rispettive conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Con atto del 2 settembre 1950 l'Azienda elettrica municipale di Torino (A.E.M.), le Ferrovie dello Stato e la Società per azioni Cogne costituirono con quote paritarie il Consorzio elettrico del Buthier (C.E.B.) allo scopo di proseguire e portare a compimento la costruzione dell'impianto idroelettrico del torrenti Artanavaz, Ollomont e Buthier, già iniziata dalla società Cogne, di eseguire più ampie opere per l'utilizzazione di tali bacini imbriferi e di altri corsi d'acqua, di esercitare i corrispondenti impianti e, eventualmente, di costruirne altri.
Sopravvenuta la legge 6 dicembre 1962, n. 1643, sulla istituzione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica il Governo, nell'esercizio della delega conferitagli dall'art. 4, n. 10, della legge, emanò il D.P.R. 16 maggio 1963, n. 710, che dispose il trasferimento all'E.N.E.L. della "impresa del Consorzio del Buthier".
Nell'ordinanza di rimessione che ha promosso il presente giudizio il Tribunale di Aosta ha ritenuto non manifestamente infondato il dubbio che il provvedimento delegato violi gli artt. 76 e 77 della Costituzione per non aver escluso dal trasferimento la quota consortile di spettanza dell'A.E.M., come avrebbe dovuto fare in ossequio alla disposizione contenuta nell'art. 4, n. 5, della legge, in forza della quale le imprese degli enti locali costituite ai sensi del T.U. 15 ottobre 1925, n. 2578, purché richiedano ed ottengano la concessione dell'esercizio delle attività elettriche, non sono soggette a trasferimento.
2. - Le questione di legittimità costituzionale in questi termini proposta dal giudice a quo importa la necessità di accertare se al C.E.B. facesse capo un'impresa distinta da quelle dei soggetti che concorsero a costituirlo, come trasferibile all'E.N.E.L. secondo quanto dispone il quarto comma dell'art. 1 della legge di nazionalizzazione, ovvero se, invece, il complesso delle attività consortili fosse da considerare, per le rispettive quote, parte delle imprese appartenenti ai tre enti consorziati, nel qual caso a favore dell'A.E.M. avrebbe dovuto trovare applicazione il particolare regime previsto dall'art. 4, n. 5, della legge.
La Corte ritiene che per la soluzione di siffatto quesito non sia né necessario né opportuno prender posizione sul concetto generale di impresa, del quale la dottrina, tuttora animata da ben noti contrasti, sottolinea ora gli aspetti soggettivi ora quelli oggettivi: quel che é decisivo é il significato che il termine assume nel sistema della legge di nazionalizzazione ed in relazione agli scopi che il legislatore ha voluto raggiungere. Al qual proposito é da tener presente che il c.d. trasferimento delle imprese elettriche é uno strumento - e come tale va valutato - per assicurare nel modo più corretto il passaggio dal regime libero a quello della nazionalizzazione, dominato, secondo quanto dispone l'art. 1 della legge, dalla riserva all'E.N.E.L. dell'attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione distribuzione e vendita dell'energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta.
Siffatta riserva, mentre da un canto comporta il divieto di svolgere "attività elettrica" per qualunque altro soggetto pubblico o privato per il quale la legge stessa non abbia disposto una specifica eccezione, imponeva per altro verso la necessità di assicurare la continuità della produzione, del trasporto e della vendita dell'energia: e questo problema il legislatore risolse in conformità dell'art. 43 della Costituzione, disponendo cioè che le imprese elettriche esistenti in quel momento venissero trasferite al nuovo ente pubblico. Di tal che é evidente che le entità trasferite non vengono prese in considerazione, quando si tratti di determinare l'oggetto del trasferimento, nel loro collegamento ad un soggetto, ma esclusivamente nella consistenza obiettiva: vale a dire - come si ricava da varie disposizioni della legge - come complesso del beni organizzati per l'esercizio delle attività elettriche e dei relativi rapporti giuridici. In altri termini appare chiaro che il concetto di impresa coincide, senza residui, con tale complesso e viene utilizzato dal legislatore all'esclusivo scopo di identificare e circoscrivere ciò che va trasferito all'E.N.E.L. e non certo per individuare i soggetti ai quali viene preclusa la legittimazione a svolgere attività imprenditoriale nel settore elettrico.
3. - Da questa premessa deriva che ovunque beni e rapporti giuridici fossero organizzati al fine dello svolgimento di attività elettriche, ivi era da considerarsi esistente una impresa da trasferire all'E.N.E.L., e tale era senza dubbio quella del C.E.B., al quale faceva capo un'organizzazione siffatta, sicuramente distinta da quella inerente all'A.E.M., alle Ferrovie dello Stato o alla società Cogne.
Questa conclusione non incontra ostacoli né nella problematica prospettata dall'ordinanza di rimessione né nelle argomentazioni svolte dalla difesa dell'A.E.M.
Come già risulta da quanto fin qui si é detto, é del tutto ininfluente la mancanza di personalità giuridica del consorzio: come é, certo, un'impresa quella dell'A.E.M. nonostante che le aziende municipali non abbiano personalità, così é del pari corretto parlare di impresa del C.E.B. Quel che é essenziale, giova ripeterlo, é la presenza di quella organizzazione di beni e di rapporti alla quale la legge fa riferimento. Ne costituisce riprova l'art. 4, n. 2, secondo il quale per le imprese che non esercitano in via assoluta o principale le attività descritte nell'art. 1 "saranno stabilite le modalità per il trasferimento all'Ente nazionale del complesso dei beni organizzati per l'esercizio delle attività stesse e dei relativi rapporti giuridici": trasferibile, dunque, é l'insieme dei beni e del rapporti strumentali perfino quando questo si inserisca e si incorpori in una più vasta ed unitaria impresa. Ci si trova qui in presenza dell'estrema, ma coerente conseguenza di quel principio al quale la legge si ispira e secondo cui c'é coincidenza perfetta fra impresa elettrica, e perciò trasferibile, ed organizzazione di beni e rapporti strumentali per l'attività elettrica: una coincidenza che non lascia alcun margine di rilevanza a considerazioni di ordine soggettivo.
Né maggiore importanza per la decisione della presente questione hanno due ulteriori argomenti sui quali la difesa dell'A.E.M. si é particolarmente soffermata: vale a dire l'appartenenza dei beni non al consorzio ma ai tre enti consorziati e la destinazione dell'energia elettrica al fabbisogno di questi ultimi.
Quanto al primo punto, é sufficiente constatare che la legge delegata ha ad oggetto immediato non singoli beni, ma l'impresa del C.E.B.: ed é certo che impresa vi é anche quando l'imprenditore non sia proprietario dei beni. La questione dei diritti che su di questi l'E.N.E.L. ha acquistato va posta non in occasione della valutazione della legittimità del trasferimento dell'impresa, ma in sede di accertamento degli effetti che questo ha prodotto sulle situazioni giuridiche relative ai vari cespiti: essa si risolve, insomma, in un problema che é sicuramente estraneo all'attuale thema decidendam.
Il secondo argomento si basa sul presupposto che impresa vi sia solo quando la produzione venga destinata allo scambio, cosa che non si verificherebbe nel caso dell'energia prodotta dal C.E.B., per esplicita clausola statutaria (art. 8) oggetto di ripartizione fra gli enti partecipanti. Si può qui prescindere dal valutare se la premessa dalla quale questa tesi difensiva muove sia valida ai fini della definizione del concetto generale di impresa. Quel che conta é che la legge di nazionalizzazione non esige questo requisito, dal momento che esplicitamente - art. 4, n. 6 - qualifica come imprese elettriche, sia pure per escluderle in certi casi dal trasferimento, anche quelle c.d. "autoproduttrici", nel che é la conferma che, ove non fosse stata dettata un'espressa disciplina eccezionale, anch'esse avrebbero subito la sorte di tutte le altre.
4. - Alla mancanza di argomentazioni idonee ad escludere l'esistenza di una impresa del C.E.B., come tale trasferibile all'E.N.E.L., fanno invece riscontro fondate ragioni che confermano l'opposta conclusione. Dall'atto costitutivo, infatti, risultano elementi che provano in modo non equivoco che i beni e i rapporti giuridici inerenti all'attività che l'ente andava ad intraprendere entravano a far parte di un complesso organizzativo nettamente distinto da quelli dei tre soggetti consorziati. Depongono in tal senso non solo il conferimento al consorzio dei diritti derivanti dalle concessioni e dalle domande di concessione (art.3) e l'assegnazione al suo patrimonio (art.5) di "qualsiasi bene mobile od immobile che venga acquisito in conseguenza della costruzione ed esercizio degli impianti" - nel che é da vedersi almeno quel minimum di legittima facoltà di utilizzazione, sufficiente per la destinazione dei beni all'impresa - , ma anche quelle disposizioni (artt. 11 e segg.) dalle quali risulta che l'esercizio delle attività in vista delle quali il consorzio era stato creato spettava esclusivamente agli organi consortili. In ordine alla scelta delle opere da realizzare, al loro impiego produttivo ed a tutti i rapporti necessari per la produzione elettrica vennero ad essi conferiti poteri di tale ampiezza da non lasciar dubbio che il complesso di beni e di rapporti confluissero in un'organizzazione unitaria, vale a dire venissero a costituire un'impresa autonoma, in nessun modo frazionabile e riducibile a parziale contenuto delle imprese dell'A.E.M., delle FF.SS. e della società Cogne.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 16 maggio 1963, n. 710, sollevata dal Tribunale di Aosta in relazione alla legge 6 dicembre 1962, n. 1643, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 maggio 1968.
Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 17 giugno 1968.