Sentenza n. 2 del 1968
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SENTENZA N. 2

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 74 del Codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1965 dal tribunale di Bologna nel procedimento civile vertente tra Fazio Giuseppe e il Ministero di grazia e giustizia, iscritta al n. 106 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 9 luglio 1966.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione del Ministro di grazia e giustizia;

udita nell'udienza pubblica del 14 febbraio 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Ministro di grazia e giustizia.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il sig. Giuseppe Fazio, il 4 settembre 1961, conveniva dinanzi al Tribunale di Bologna il Ministro di grazia e giustizia chiedendo il risarcimento dei danni per aver sofferto, su ordine di carcerazione della procura di Agrigento, una pena più lunga di quella alla quale era stato condannato; ma il convenuto replicava, tra l'altro, che in virtù degli articoli 74 e 55 del Codice di procedura civile che risponde in tali casi é, non la pubblica amministrazione, ma il procuratore della Repubblica.

Dato ciò, il Tribunale di Bologna, dovendo applicare le due norme e ritenendole sospette di illegittimità costituzionale, emanava ordinanza di rinvio a questa Corte. L'ordinanza, emessa il 23 novembre 1965, é stata ritualmente notificata e pubblicata.

Secondo il Tribunale di Bologna, gli artt. 55 e 74 del Codice di procedura civile sembrerebbero contrastare con l'art. 28 della Costituzione: infatti, mentre questo "imputa anche allo Stato la responsabilità del suoi funzionari e dipendenti", quei due articoli la "imputano soltanto al magistrato"; rispetto al quale inoltre la limitano al dolo, alla frode e alla concussione, subordinando poi la domanda di risarcimento del terzo all'autorizzazione del Ministro; limitazioni, l'una e l'altra, che sono ignote alla norma costituzionale; su cui tuttavia occorrerebbe rimuovere il dubbio se, scritta per introdurre la responsabilità personale del funzionari amministrativi, sia estensibile ai magistrati.

2. - Il Ministro di grazia e giustizia si é costituito e il Presidente del Consiglio é intervenuto con atti depositati il 12 luglio 1966.

L'Avvocatura dello Stato chiede che sia dichiarata l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale: innanzi tutto l'art. 28 della Costituzione si riferisce solo ai funzionari e ai dipendenti, mentre le norme impugnate riguardano i magistrati, che la stessa Costituzione (artt. 105 e 106 d'un titolo ad hoc) distingue dai funzionari (l'art. 97 pone soltanto per costoro il principio generale della responsabilità); il magistrato d'altronde non é neanche un dipendente dello Stato, organizzazione, ché, se lo fosse, la sua indipendenza, garantita dagli artt. 101 e 104, sarebbe del tutto illusoria: la magistratura é un ordine autonomo che svolge attività dovuta, dinanzi a cui cede persino la libertà del cittadino e rispetto alla quale non é configurabile un principio generale di responsabilità.

Di regola lo Stato risponde civilmente solo se é amministrazione attiva e non se si presenta come legislatore o come giudice (nel qual caso soccorre il diverso istituto della riparazione dell'errore giudiziario): poiché é esclusa nei suoi confronti ogni azione di risarcimento dei danni derivanti da sentenze ingiuste, altrettanto sarà per gli atti del pubblico ministero, che indubbiamente appartiene all'ordine giudiziario. La responsabilità statale - prosegue l'Avvocatura - sempre responsabilità diretta, inconcepibile dunque se l'atto dannoso sia opera di chi non é legato da un rapporto di dipendenza organica o comunque di chi, avendo commesso reato doloso, ha rotto ogni vincolo organico proprio con l'organizzazione dello Stato.

L'art. 28 della Costituzione ha introdotto il principio generale della responsabilità dei funzionari accanto a quella statale; ma, là dove era già riconosciuta dalla legislazione preesistente, l'ha lasciata così com'era, coi suoi presupposti e le sue limitazioni (un esempio ne sono appunto le norme impugnate, che la circoscrivono al dolo, alla frode, alla concussione). Inoltre, richiamandola alle "leggi penali, civili e amministrative", non ha tolto al legislatore la libertà di configurarla, a seconda del casi, variamente: gli stessi funzionari amministrativi non sono responsabili oltre il dolo e la colpa grave (art. 23 T.U. 10 gennaio 1957, n. 3).

Altrettanto dovrebbe dirsi dell'autorizzazione ministeriale, senza cui il terzo non può proporre l'azione di risarcimento contro il magistrato (art. 56 del Codice di procedura civile). Ma sul punto non sembra che l'ordinanza di rinvio abbia sollevato una vera e propria questione di costituzionalità, del resto irrilevante in un giudizio promosso contro il Ministero e non contro il magistrato.

3. - Il 29 gennaio 1968 una breve memoria, per il Presidente del Consiglio, é stata depositata dall'Avvocatura dello Stato, che, nella discussione orale, si é rimessa alla Corte.

 

Considerato in diritto

 

1. - Si é sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 74 del Codice di procedura civile, che limitano al dolo, alla frode e alla concussione (e all'omissione di atti d'ufficio) la responsabilità personale del magistrati: se ne denuncia il contrasto con l'art. 28 della Costituzione poiché, a differenza da questo, escluderebbero in ogni caso la responsabilità civile dello Stato per i danni derivanti ai privati da atti colposi del giudice.

La questione é infondata.

In verità l'art. 28, dicendo responsabili della violazione di diritti soggettivi tanto i "funzionari" e i "dipendenti" quanto lo Stato, ha ad oggetto l'attività, oltre che degli uffici amministrativi, di quelli giudiziari. Che si riferisca solo ai primi, é opinione dell'Avvocatura, ma la Corte non può accoglierla. L'autonomia e l'indipendenza della magistratura e del giudice ovviamente non pongono l'una al di là dello Stato, quasi legibus soluta, né l'altro fuori dall'organizzazione statale. Il magistrato é e deve essere indipendente da poteri e da interessi estranei alla giurisdizione; ma questa é funzione statale ed i giudici, esercitandola, svolgono attività abituale al servizio dello Stato: tanto che la Costituzione (art. 98) li ricorda insieme ai pubblici impiegati e sono numerose le leggi che, scritte per questi, valgono anche per quelli.

In effetti proprio l'art. 28, come risulta da affermazioni ripetute lungo il suo procedimento formativo, ha inteso estendere a quanti agiscano per lo Stato quella responsabilità personale che prima era espressamente prevista solo per alcuni di loro (giudici, cancellieri, conservatori di registri immobiliari). Con il che si sono venuti ad accomunare gli uni e gli altri in una stessa proposizione normativa, affermandosi un principio valevole per tutti coloro che, sia pure magistrati, svolgano attività statale: un principio generale che da una parte li rende personalmente responsabili, ma dall'altra non esclude, poiché la norma rinvia alle leggi ordinarie, che codesta responsabilità sia disciplinata variamente per categorie o per situazioni.

Appunto la singolarità della funzione giurisdizionale, la natura del provvedimenti giudiziali, la stessa posizione, super partes del magistrato possono suggerire, come hanno suggerito ante litteram, condizioni e limiti alla sua responsabilità; ma non sono tali da legittimarne, per ipotesi, una negazione totale, che violerebbe apertamente quel principio o peccherebbe di irragionevolezza sia di per sé (art. 28) sia nel confronto con l'imputabilità del "pubblici impiegati" (D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e art. 3 della Costituzione).

2. - Analogo discorso va fatto per la responsabilità dello Stato. Essa s'accompagna a quella del "funzionari" e del "dipendenti" nell'art. 28 della Costituzione e nei principi della legislazione ordinaria: di modo che una legge, che negasse al cittadino danneggiato dal giudice qualunque pretesa verso l'amministrazione statale, sarebbe contraria a giustizia in un ordinamento, che, anche a livello costituzionale, dà azione almeno alle vittime dell'attività amministrativa.

Ciò é come dire che, in ipotesi, gli artt. 55 e 74 del Codice di procedura civile, se nei riguardi dello Stato non accordassero mai al terzo l'azione di risarcimento, violerebbero sicuramente l'art. 28: né il vuoto di tutela sarebbe colmato dalla legislazione relativa agli errori giudiziari, che copre un'area diversa e si fonda su presupposti differenti. Tuttavia, nella realtà, gli artt. 55 e 74 del Codice di procedura civile non contrastano alla norma costituzionale proprio perché il loro apparente silenzio, malgrado un diverso indirizzo interpretativo, non significa esclusione della responsabilità dello Stato. Per il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (artt. 22 e 23) l'impiegato risponde solo entro i limiti del dolo e della colpa grave; eppure ciò non ha precluso alla giurisprudenza di riconoscere la responsabilità statale al di là della colpa grave o addirittura della colpa: lo ha consentito perché l'art. 23 e lo stesso art. 22, non richiamandola per questi casi, neanche la negano. Analogamente, nemmeno le norme impugnate contengono un precetto che escluda del tutto la responsabilità dello Stato.

Questa esclusione totale potrebbe ricavarsi semmai, non dagli artt. 55 e 74 del Codice di procedura civile, ma da altre norme o principi dell'ordinamento. Sta di fatto però che, proprio in virtù dell'art. 28 della Costituzione, là dove é responsabile il "funzionario" o "dipendente", lo sarà negli stessi limiti lo Stato (art. 28: "In ' tali casi ' la responsabilità civile si estende allo Stato"): e, poiché questo é il modello sul quale occorre ormai interpretare le due norme denunciate, in esse dovrà leggersi anche la responsabilità dello Stato per gli atti e le omissioni di cui risponde il giudice nell'esercizio del suo ministero (cit. art. 55). Quanto alle altre violazioni di diritti soggettivi, cioé ai danni cagionati dal giudice per colpa grave o lieve o senza colpa, il diritto al risarcimento nei riguardi dello Stato non trova garanzia nel precetto costituzionale; ma niente impedisce alla giurisprudenza di trarlo eventualmente da norme o principi contenuti in leggi ordinarie (se esistono).

3. - Il Tribunale di Bologna, a quanto pare, sospetta anche dell'autorizzazione ministeriale, che, secondo gli articoli 56 e 74 del Codice di procedura civile, é necessaria per l'esercizio dell'azione nei confronti del giudice; ma l'autorizzazione non occorrerebbe se la domanda di risarcimento fosse rivolta allo Stato: di modo che su questo punto un giudizio di costituzionalità sarebbe irrilevante in una causa nella quale si contende sulla responsabilità dello Stato e non su quella del giudice.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 74 del Codice di procedura civile proposta in riferimento all'art. 28 della Costituzione dall'ordinanza 23 novembre 1965 del Tribunale di Bologna.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

 

 

Depositata in cancelleria il 14 marzo 1968.