SENTENZA N. 148
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, ultimo comma, ultima parte, della legge 30 luglio 1959, n. 559, promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1966 dal Tribunale di Bologna nel procedimento civile vertente tra Bevilacqua Ariosti Cesare e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 102 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 9 luglio 1966.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato ;
udita nell'udienza pubblica del 16 novembre 1967 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Amministrazione finanziaria dello Stato.
Ritenuto in fatto
1. - Con atto di citazione del 18 ottobre 1962 il signor Cesare Bevilacqua Ariosti, fondando la sua domanda sulla legge 30 luglio 1959, n. 559, convenne l'Amministrazione finanziaria dello Stato innanzi al Tribunale di Bologna per sentir dichiarare il suo diritto al condono di una soprattassa di lire 2.915.319 relativa all'imposta straordinaria sul patrimonio.
Con ordinanza del 4 marzo 1966 il Tribunale, accogliendo una istanza dell'attore, ha rimesso gli atti a questa Corte perché venga decisa la questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 2 della predetta legge, nella parte in cui il condono per le soprattasse e le pene pecuniarie non si applica nell'ipotesi di accertamento già definito al momento di entrata in vigore del provvedimento di clemenza.
2. - Nell'ordinanza si ricorda che l'ultimo comma dell'art. 2 della legge 30 luglio 1959, n. 559, ha già formato oggetto di un giudizio di legittimità costituzionale, conclusosi (sent. n. 85 del 1965) con la dichiarazione di illegittimità della norma che escludeva l'applicazione del condono nell'ipotesi in cui entro un anno dall'entrata in vigore della legge non fosse intervenuta la definizione amministrativa dell'accertamento.
A parere del Tribunale di Bologna anche la norma ora impugnata, al pari di quella già dichiarata illegittima, sarebbe in contrasto con l'art. 3 della costituzione perché, facendo dipendere l'applicazione o meno del condono da un fatto non riferibile al comportamento dei soggetti interessati darebbe luogo ad una non consentita disparità di trattamento fra i contribuenti; ché anzi, l'esclusione del condono nell'ipotesi di accertamento già definito sarebbe fonte di una situazione di vantaggio per gli evasori più tenaci.
L'ordinanza rileva altresì che anche se scopo della legge, come si afferma da parte dell'Amministrazione finanziaria, fosse stato quello di stimolare i contribuenti alla sollecita definizione dei rapporti tributari, non per questo la disparità diventerebbe legittima; né sarebbe lecito qualificarla come disparità di mero fatto, atteso che senza la norma impugnata beneficerebbero del condono anche i contribuenti ora esclusi, così come della clemenza penale concessa dal D. P. 11 luglio 1959, n. 460 (art. 11) beneficiano i trasgressori anche nell'ipotesi di già intervenuta definizione dell'accertamento.
3. - L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 168 del 9 luglio 1966.
L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in rappresentanza del Presidente del Consiglio e del Ministro delle finanze (atti depositati il 15 giugno 1966), contesta la validità delle ragioni esposte nell'ordinanza ed esclude, in primo luogo, che i motivi che condussero alla dichiarazione di illegittimità della prima parte dello art. 2, terzo comma, della legge n. 559 del 1959 possano dar fondamento anche alla presente questione. Nella sentenza n. 85 del 1965, infatti, la Corte osservò che la disparità di trattamento dei contribuenti trovava la sua causa nella stessa norma impugnata, laddove nel caso attuale sono diverse le situazioni obbiettive che la legge prende in considerazione. La conseguenza é che la norma ora impugnata sarebbe illegittima solo ove il diverso regolamento risultasse arbitrario o irragionevole. Il che non é perché, secondo l'Avvocatura, mentre é da negarsi la validità del rilievo che il Tribunale dà alla pretesa iniquità della norma (l'avvenuto pagamento della soprattassa in ogni caso escluderebbe il condono, e certo il contribuente che ha pagato é ancor meno litigioso del contribuente che, definito l'accertamento, non abbia pagato), é da osservare che il provvedimento di condono persegue il pubblico interesse ad una rapida definizione delle controversie tributarie, e perciò ragionevolmente la legge esclude dalla sua sfera tutte le situazioni già definite.
L'Avvocatura prosegue osservando che, ove l'unico elemento temporale di discriminazione dovesse essere l'avvenuto pagamento delle sanzioni, si creerebbe una disparità di regolamento fra i vari tipi di imposta, giacché per quelle che non ricadono nel sistema di riscossione esattoriale i relativi contribuenti verserebbero necessariamente in una situazione di svantaggio: la norma in questione, perciò, considerando come già acquisite all'erario le sanzioni nell'ipotesi di intervenuta definizione dell'accertamento, risponde allo scopo di evitare ogni disparità fra contribuenti a tributi riscuotibili a mezzo dei ruoli e contribuenti a tributi riscuotibili direttamente dallo Stato.
Dopo aver rilevato che nessun argomento può dedursi dalla disciplina prevista in materia penale dal D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, per i reati finanziari, l'Avvocatura conclude chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
4. - Nell'udienza pubblica l'Avvocatura dello Stato ha insistito nelle descritte osservazioni e conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Con sentenza n. 85 del 1965 questa Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 2 della legge 30 luglio 1959, n. 559, nella parte in cui esso escludeva l'applicazione del condono delle sanzioni non penali relative a trasgressioni in materia di imposte dirette ove entro un anno dall'entrata in vigore del provvedimento non fosse intervenuta la definizione amministrativa dell'accertamento.
La disposizione ora impugnata, contenuta nella seconda parte dello stesso comma, sottrae al condono "le soprattasse e le pene pecuniarie dovute per accertamenti già definiti alla data di entrata in vigore della legge" e viene denunziata dal Tribunale di Bologna perché, al pari di quella esaminata dalla Corte nella ricordata precedente occasione, anch'essa porrebbe in essere una illegittima disparità di trattamento dei contribuenti e di conseguenza violerebbe l'art. 3 della costituzione.
2. - Al fine della decisione della presente causa occorre considerare che la disposizione in esame conferisce rilievo ad una diversa condizione in cui il rapporto tributario viene a trovarsi secondo che esso si colleghi o meno ad un accertamento già definito: di tal che appare certo che la legge, escludendo il condono nel primo caso ed ammettendolo nel secondo, regola situazioni che al momento della sua entrata in vigore si presentavano obbiettivamente diverse. Da siffatta constatazione discende che i motivi enunciati dalla Corte nella sentenza n. 85 del 1965 a fondamento della dichiarazione di illegittimità della prima parte dello stesso comma (motivi ribaditi nella recente sent. n. 121 del 1967 a proposito dell'identico precetto contenuto nell'art. 2, comma terzo, della legge 31 ottobre 1963, n. 1458) non appaiono di per sé idonei alla risoluzione dell'attuale questione di legittimità costituzionale. In quel caso, infatti, la Corte accertò la violazione dell'art. 3 della costituzione perché la legge, facendo dipendere il condono da un evento futuro in nessun modo connesso con una qualche diversità dei rapporti regolati, in sostanza arbitrariamente finiva col sottoporre a discipline diverse situazioni eguali: sicché la norma stessa diventava causa diretta dell'illegittima disuguaglianza dei contribuenti.
Ciò non si verifica, invece, nel caso della disposizione ora in esame, perché, come innanzi si é messo in evidenza, essa disciplina diversamente situazioni che diverse sono nella realtà preesistente alla legge. Di conseguenza la tesi della illegittimità costituzionale risulterebbe fondata solo se si dimostrasse che irrazionalmente il legislatore ha conferito un valore discriminante alla già intervenuta definizione dell'accertamento. Ma tale dimostrazione non é offerta dalle ragioni esposte dal giudice a quo, né sembra che per altre vie possa essere raggiunta. Non é pertinente, infatti, il richiamo alle disposizioni dettate in tema di amnistia dei reati fiscali (art. 11 del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460), perché questo istituto, in quanto é relativo alla materia penale, ubbidisce a regole sue proprie, fondate su principi che in nessun modo possono essere invocati a proposito di un caso in cui lo Stato rinunzia ad una pretesa che, pur essendo di natura sanzionatoria, ha carattere meramente patrimoniale. Né più decisivi appaiono i motivi relativi alla condotta dei contribuenti, sui quali particolarmente si sofferma l'ordinanza di rimessione. Ed invero, se potesse entrare in gioco la valutazione della maggiore o minore litigiosità dei soggetti interessati, quei motivi con più forza dovrebbero essere invocati a favore del contribuente che al momento dell'entrata in vigore della legge avesse già pagato soprattasse e pene pecuniarie: eppure é questo un caso nel quale, come é pacifico, il relativo rapporto, a causa della già avvenuta estinzione, sarebbe sottratto agli effetti di una rinunzia dello Stato che ovviamente può operare solo là dove esso sia tuttora in vita.
Queste ultime considerazioni, mentre dimostrano che neppure l'eliminazione della norma in contestazione riuscirebbe a soddisfare le esigenze equitative prospettate dal Tribunale di Bologna (ché anzi, in singoli casi potrebbe essere a sua volta fonte di ingiustizie), mettono in luce che lo stato in cui si trova la pretesa tributaria é elemento di per sé idoneo a rendere ragione di una diversa disciplina del condono: ed é sicuro che la definizione dell'accertamento pone il relativo rapporto in una posizione di stabilità che ragionevolmente può essere assunta dal legislatore come presupposto di una norma che lo considera immune da successive eccezionali vicende modificative od estintive. Val la pena di aggiungere che, come giustamente pone in rilievo l'Avvocatura, la razionalità della disposizione impugnata trova ulteriore giustificazione nella circostanza che la legge 30 luglio 1959, n. 559 - come in particolare si evince dagli oneri posti a carico dei contribuenti dai nn. 1 e 2 dell'art. 2 - appare nel complesso indirizzata a soddisfare il pubblico interesse ad una sollecita risoluzione delle pendenze tributarie e, quindi, a sottrarre a ulteriori contestazioni la pretesa fiscale: di tal che si spiega l'esclusione del condono nei casi nei quali, per effetto della già intervenuta definizione dell'accertamento, quel fine non entra più in gioco.
La Corte ritiene pertanto che l'ultimo comma dell'art. 2 della legge, nella parte impugnata dal Tribunale di Bologna, non violi il principio di eguaglianza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Tribunale di Bologna in riferimento all'art. 3 della costituzione - dell'art. 2, ultimo comma, della legge 30 luglio 1959, n. 559, contenente disposizioni in tema di "condono in materia tributaria per sanzioni non aventi natura penale", nella parte in cui esso dispone che il condono non si applica "per le soprattasse e le pene pecuniarie dovute per accertamenti già definiti" all'entrata in vigore della legge.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1967.