SENTENZA N. 132
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi primo, secondo e quarto, e 2, comma primo, del D.L.C.P.S. 29 luglio 1947, n. 804, ratificato con legge 17 aprile 1956, n. 561, concernente il riconoscimento giuridico degli istituti di patronato e assistenza sociale, promosso con ordinanza emessa il 5 aprile 1966 dal Tribunale di Ferrara nel procedimento penale a carico di Vaccari Giuseppino, iscritta al n. 115 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 27 agosto 1966.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 18 ottobre 1967 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di Vaccari Giuseppino, imputato del reato di malversazione continuata, il Tribunale di Ferrara, dopo aver constatato che tale imputazione presuppone la sussistenza della qualità di pubblico ufficiale e che tale qualità appare logicamente dipendente dalla natura del Patronato A.C.L.I. del quale l'imputato é impiegato, nonché dalla natura delle funzioni attribuite a tale istituto, ha ritenuto che gli istituti di patronato ed assistenza sociale - così come regolati dal D.L.C.P.S. 29 luglio 1947, n. 804 - possano essere considerati pubblici uffici sia perché, essendo previsto il concorso dello Stato nella spesa attraverso l'attribuzione di una aliquota dei contributi versati agli istituti di previdenza, viene assegnato agli istituti di patronato un vero e proprio tributo e cioé una entrata di diritto pubblico; sia perché é punita con l'arresto e con l'ammenda l'attività di assistenza e di tutela dei lavoratori svolta dai privati in concorrenza con quella dei patronati.
Ciò posto il Tribunale, con ordinanza del 5 aprile 1966, ha sollevato di ufficio eccezione di illegittimità costituzionale del D. L. C. P. S. n. 804 del 1947 in riferimento a varie norme costituzionali. Il provvedimento é in particolare censurato nella disposizione contenuta nell'art. 2, comma primo, secondo la quale i patronati sono costituiti da associazioni private di lavoratori, a norma degli statuti delle medesime, rilevandosi che tale disposizione si pone in contrasto con l'art. 97 della Costituzione a tenore del quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge (e non secondo gli statuti di enti privati). La violazione dell'art. 97 risulterebbe altresì dal fatto che i patronati hanno una organizzazione privatistica essendo emanazione di associazioni di lavoratori, necessariamente ispirate e cementate dalla convergenza di interessi particolaristici propri di qualsiasi associazione tra privati, mentre il richiamato precetto costituzionale sancisce l'obbligo specifico dell'imparzialità dell'Amministrazione pubblica. Del pari evidente sarebbe il contrasto fra il decreto legislativo ed il terzo comma del citato art. 97 della Costituzione in quanto i funzionari dei patronati non debbono essere necessariamente nominati mediante pubblico concorso.
Si denuncia inoltre la violazione dell'art. 98, comma primo, della Costituzione per il fatto che gli impiegati dei patronati, quali dipendenti di associazioni private di lavoratori, sono necessariamente al servizio delle stesse e non a quello esclusivo della intera nazione; nonché la violazione dell'art. 51, comma primo, della Costituzione, che garantisce la pari possibilità di ciascun cittadino di accedere agli uffici pubblici, dato che i funzionari dei patronati sono scelti fra i partecipanti alle associazioni di lavoratori e devono quindi possedere requisiti particolari, comuni a tutti i consociati, ma non necessariamente comuni a tutti i cittadini.
Il Tribunale denuncia, infine, l'illegittimità costituzionale dello art. 1, commi primo e quarto, del decreto legislativo che, proibendo a chiunque, anche agli esercenti le professioni legali, di tutelare in via stragiudiziale, in sede amministrativa, gli interessi previdenziali dei lavoratori, istituirebbe una limitazione ad una libera attività professionale non giustificata ai sensi dell'art. 41, secondo comma, della Costituzione, considerate le fortissime garanzie che circondano l'esercizio della professione forense.
L'ordinanza ritualmente comunicata e notificata é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 27 agosto 1966.
Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato in cancelleria atto di intervento e deduzioni in data 16 settembre 1966.
Sostiene in via preliminare l'Avvocatura che la proposta questione di legittimità costituzionale va dichiarata inammissibile, sia perché nell'ordinanza di rinvio manca qualsiasi motivazione sul requisito della rilevanza, sia per l'assoluta erroneità della valutazione di tale requisito da parte del Tribunale. osserva in proposito che la qualità di pubblico ufficiale, necessaria per la sussistenza del reato di malversazione, non dipende tanto dal fatto di essere impiegato dallo Stato o di un ente pubblico, bensì dalla natura pubblica delle funzioni in concreto esercitate dal dipendente. Orbene anche a voler ritenere, come ritiene il giudice a quo, che un pubblico ufficio come l'istituto di patronato sia malamente organizzato, che i suoi dipendenti non siano al servizio esclusivo della nazione, che appartengano solo a una certa categoria o siano illegittimamente assunti senza concorso, che l'attività dell'istituto violi l'art. 41 della Costituzione e che pertanto le disposizioni impugnate siano incostituzionali, nessuna conseguenza da ciò deriverebbe alla imputazione contestata al Vaccari.
Venendo poi all'esame delle varie censure di incostituzionalità l'Avvocatura nega anzitutto che sia ipotizzabile un contrasto tra l'art. 1 del decreto legislativo e l'art. 41, primo e secondo comma, della Costituzione, rilevando che il divieto per mediatori e procaccianti di tutelare in via amministrativa gli interessi previdenziali dei lavoratori si configura come limitazione non arbitraria che trova giustificazione nella evidente utilità sociale di assicurare una valida e sostanziale assistenza del lavoratore.
L'Avvocatura contesta, inoltre, la fondatezza delle censure mosse all'art. 2 del decreto impugnato osservando che l'art. 51 della Costituzione garantisce l'accesso di tutti i cittadini ai "pubblici uffici" ma non già all'ufficio di un ente pubblico, che é anche "pubblico ufficio" ai fini della legge penale, ma non ai fini della tutela costituzionale; che la norma di cui all'art. 97 della Costituzione - a prescindere dalla questione se sia o meno applicabile agli Enti pubblici diversi dallo Stato - non é violata né nella previsione di cui all'ultimo comma, riguardando questo le Amministrazioni statali e, comunque, tollerando il principio ivi sancito delle deroghe legislative, né nella previsione di cui al primo comma, in quanto é da rilevare che l'organizzazione degli istituti in questione é stata determinata con legge e che l'apprezzamento sulla idoneità delle relative disposizioni volte ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, rientra nell'esercizio del potere discrezionale del legislatore, nell'ambito delle norme della Costituzione (sent. 9 marzo 1959, n. 9); che, infine, l'art. 98 della Costituzione, prescrivendo che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione, si riferisce soltanto agli impiegati dello Stato e perciò é stato malamente invocato dal tribunale in relazione agli impiegati di un ente pubblico.
L'Avvocatura, pertanto, conclude chiedendo che la questione di legittimità sollevata sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
L'eccezione pregiudiziale di inammissibilità per difetto di rilevanza della proposta questione, sollevata dalla Avvocatura dello Stato, é fondata. L'ordinanza di rimessione si dilunga sul merito della questione di costituzionalità, ma non contiene alcuna motivazione in ordine al rapporto che intercorre fra la soluzione della questione stessa e la definizione del giudizio pendente, né spiega in alcun modo perché il giudizio sospeso non possa essere deciso senza che prima sia risolta la questione di legittimità costituzionale.
Ma, a parte l'assoluta mancanza di enunciazione di un qualsiasi giudizio sulla rilevanza, la Corte ritiene che dal testo dell'ordinanza risulti, prima facie, l'insussistenza del requisito di rilevanza. Il D.L.C.P.S. 29 luglio 1947, n. 804, ratificato con legge 17 aprile 1956, n. 561, concernente il riconoscimento giuridico degli istituti di patronato e assistenza sociale, viene in particolare censurato dal Tribunale di Ferrara per le disposizioni contenute negli artt. 1, commi primo, secondo e quarto, e 2, comma primo. Sull'art. 1 si osserva che la riserva agli istituti di patronato delle attribuzioni in materia di assistenza e tutela, in sede amministrativa, dei lavoratori ed il conseguente divieto, penalmente sanzionato, per agenzie private e singoli procaccianti, di esplicare opera di mediazione nella stessa materia, sarebbero in contrasto con l'art. 41 della Costituzione per l'ingiustificata limitazione che deriverebbe alla libertà dell'iniziativa economica privata. Dalla norma dell'art. 2, comma primo, secondo la quale i patronati "possono essere costituiti e gestiti soltanto da associazioni nazionali di lavoratori che annoverino nei propri statuti finalità assistenziali", il tribunale ritiene di poter dedurre che i patronati non sono organizzati in base a disposizioni di legge, ma secondo statuti di enti privati e perciò non sono tenuti all'obbligo dell'imparzialità; che gli impiegati dei patronati sono scelti, senza necessità di pubblico concorso, fra gli iscritti alle associazioni e sono perciò anche al servizio di queste e non già al servizio esclusivo della nazione. Da ciò il contrasto della richiamata disposizione con gli artt. 51, comma primo, 97, commi primo e terzo, e 98, comma primo. Ora é evidente che tutte queste eccezioni di incostituzionalità sono estranee e non hanno incidenza nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale che verte su una imputazione di malversazione prevista e punita dall'art. 315 del Codice penale. Ed invero, quand'anche in via di mera ipotesi dovesse dichiararsi l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, nessuna influenza tale pronuncia potrebbe avere sulla natura del servizio prestato dall'imputato e sulla conseguente qualificazione del reato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione sulla legittimità costituzionale degli artt. 1, commi primo, secondo e quarto, e 2, comma primo, del D.L.C.P.S. 29 luglio 1947, n. 804, ratificato con legge 17 aprile 1956, n. 561, concernente il "Riconoscimento giuridico degli istituti di patronato e assistenza sociale", sollevata con ordinanza del 5 aprile 1966 del Tribunale di Eerrara, in riferimento agli artt. 41, comma primo, 51, comma primo, 97, commi primo e terzo, e 98, comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1967.