SENTENZA N. 120
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 139 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, promosso con ordinanza emessa il 16 dicembre 1966 dal Tribunale di Sondrio nel procedimento penale a carico di Matile René Georges ed altro, iscritta al n. 244 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 18 ottobre 1967 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Il cittadino svizzero Matile René, sottoposto a procedimento penale davanti al tribunale di Sondrio per controllando e frode I. G. E. su Kg. 96 di tabacco lavorato estero, é detenuto nelle carceri giudiziarie e non può essere liberato perché, trattandosi di straniero, non ha prestato cauzione o malleveria ai sensi dell'art. 139 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424.
Nel dibattimento, la difesa dell'imputato sollevava questione di legittimità costituzionale della citata norma in relazione agli artt. 3, 10 e 27 della Costituzione ed il tribunale emetteva l'ordinanza del 16 dicembre 1966, con la quale, ritenendo la questione stessa non manifestamente infondata, rinviava gli atti a questa Corte. L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata. Nel giudizio si é costituita l'Avvocatura generale dello Stato per il Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto di intervento e deduzioni presentato il 15 febbraio 1967.
In via pregiudiziale l'Avvocatura si rimette al giudizio della Corte sulla ammissibilità della questione di legittimità costituzionale sia per il difetto di motivazione dell'ordinanza sia per l'omessa pronuncia sulla rilevanza della questione stessa ai fini della decisione del giudizio di merito.
Nel merito l'Avvocatura sostiene che l'art. 139 della legge doganale non contrasta con l'art. 3 della Costituzione, giacché il principio di eguaglianza sancito dalla norma costituzionale concerne i cittadini e non anche gli stranieri, e, pertanto, detta norma non sarebbe invocabile nella specie trattandosi di un procedimento a carico di un cittadino svizzero. D'altra parte, anche a voler ritenere applicabile l'art. 3 della Costituzione al cittadino straniero, non sussisterebbe la denunciata violazione, posto che tra il cittadino italiano e lo straniero sussiste una disparità di posizione, che si traduce concretamente sul piano della legge penale. Lo straniero, infatti, può sottrarsi alla esecuzione della pena (ed alle conseguenze patrimoniali che ne discendono) rientrando nel suo paese di origine; il cittadino italiano, invece, una volta identificato, non può sottrarsi a tale pena se non di fatto: il che sarebbe del tutto irrilevante ai fini della legge.
Inoltre l'art. 139 della legge doganale non potrebbe ritenersi in contrasto con l'art. 10 della Costituzione innanzitutto perché esso non costituisce una deviazione dai principi generali tale da rendere l'ordinamento giuridico italiano non conforme alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute; in secondo luogo perché non costituisce una regolamentazione della condizione giuridica dello straniero difforme dalle norme e dai trattati internazionali, e, infine, perché norme sostanzialmente analoghe a quella impugnata si rinvengono in tutte le legislazioni straniere, e, in particolare, nella legislazione svizzera.
Per ultimo la impugnata norma non violerebbe l'art. 27 della Costituzione, giacché essa non inficia il principio della personalità della responsabilità penale né quello per cui l'imputato non é considerato colpevole sino alla condanna definitiva, non contrasterebbe infine con detta norma costituzionale perché non concerne l'applicazione delle pene.
Considerato in diritto
1. - Si possono superare i dubbi avanzati dalla Avvocatura dello Stato circa l'ammissibilità della questione.
In relazione agli atti del processo, i termini della questione risultano chiaramente posti: trattasi di verificare la legittimità costituzionale di una disposizione delle legge doganale al cospetto di norme della Costituzione specificatamente invocate: gli artt. 3, 10, secondo comma, e 27.
Quanto alla rilevanza, é da osservare che la questione é stata sollevata ai fini della risoluzione di un aspetto essenziale della controversia, quelle relative allo stato di detenzione dell'imputato.
2. - Il raffronto tra la disposizione contenuta nell'art. 139 della legge doganale, secondo cui deve essere mantenuto nello stato di arresto lo straniero finché non abbia prestato idonea cauzione o malleveria, e l'art. 3 della Costituzione non deve farsi con questa norma, isolatamente considerata, ma con la norma stessa in connessione con l'art. 2 e con l'art. 10, secondo comma, della Costituzione, il primo dei quali riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell'uomo, mentre l'altro dispone che la condizione giuridica dello straniero é regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Ciò perché, se é vero che l'art. 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, é anche certo che il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando trattisi di rispettare quei diritti fondamentali.
Che la concessione della libertà provvisoria sia subordinata alla prestazione di cauzione o malleveria é cosa ammessa nel nostro ordinamento e negli ordinamenti di tante altre nazioni; é cosa anche espressamente prevista nell'art. 5, n. 3, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, cui é stata data esecuzione in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. Trattasi di una misura che il giudice può adottare per i cittadini e per gli stranieri. Né la legittimità di tale misura viene meno se essa sia imposta dalla legge, quando la norma che ne stabilisce l'obbligo faccia parte di un sistema che assicuri all'imputato la possibilità di essere liberato non appena vengano a mancare le basi di legittimità della custodia preventiva e quando la norma stessa fissi - come fa la disposizione impugnata - un termine massimo per tale detenzione.
Queste condizioni sussistono nel caso in esame.
L'art. 139 afferma espressamente che resta fermo quanto é disposto nel codice di procedura penale circa la libertà personale dell'imputato, salvo due eccezioni, una per il caso in cui non é nota la identità di lui, sia cittadino che straniero, l'altra, riguardante solo lo straniero, per il caso in cui egli non presti cauzione o malleveria. Ciò significa che anche in questi procedimenti si applica nei confronti dello straniero ogni norma che disciplina lo svolgimento della procedura con tutte le garanzie per i diritti dello imputato, quali la difesa, la protezione contro qualsiasi arbitrio, la imparzialità del giudice. Tra le norme ricordate giova richiamare in particolare quelle che dispongono di mettere in libertà il detenuto quando manchino sufficienti indizi o motivi di sospetto e quando intervenga quella declaratoria di non punibilità che deve essere emessa d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Tutto questo importa che il detenuto straniero non é lasciato senza tutela di fronte ad illimitate lungaggini delle procedure, né viene sottoposto ad una pena senza la condanna.
Ne consegue che la disposizione denunziata non viola un diritto fondamentale dell'uomo assicurato dall'art. 2 della Costituzione e dalle norme di diritto internazionale, richiamate dall'art. 10, secondo comma, della stessa Costituzione, quali risultano dagli artt. 5 e 6 della Convenzione europea e dagli artt. 9 e 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Dichiarazione qui richiamata prescindendo da ogni indagine, non necessaria ai fini del giudizio, circa il suo valore giuridico).
Ulteriore conseguenza é che non sussiste violazione del principio di eguaglianza, garantito anche allo straniero dall'art. 3 della Costituzione italiana in connessione, come si é detto, con l'art. 2 della Costituzione stessa e con le norme di diritto internazionale sopra richiamate. Non risulta neppure violato, in relazione allo art. 10, secondo comma, della Costituzione, l'art. 14 della Convenzione europea che sancisce il diritto dello straniero all'eguaglianza (diritto proclamato anche dagli artt. 2 e 7 della Dichiarazione universale).
Diversa é, nella situazione in esame, la posizione dello straniero rispetto a quella del cittadino. Costui può, é vero, rendersi latitante o recarsi all'estero, se non ne viene legittimamente impedito, ma resta sempre soggetto alla sovranità dello Stato, alla osservanza delle sue leggi ed ai mezzi di coercizione che le leggi consentono, mentre lo straniero può abbandonare il paese dove ha commesso il reato e non sempre e non facilmente se ne può ottenere l'estradizione. E quindi ragionevole che, in taluni casi dei quali il legislatore valuta la gravità, la legge prescriva che sia mantenuta la detenzione se l'imputato straniero non presti cauzione. Non si saprebbe contestare il buon fondamento di questa valutazione affidata al legislatore quando si tratti, come nei confronti del contrabbando, di reati che di solito sono commessi da esperti, i quali, particolarmente addestrati per sfuggire alla vigilanza della polizia fiscale, saprebbero assai bene sfuggire alle ricerche che se ne farebbero per ottenerne la presenza nell'istruttoria e nel dibattimento o per sottoporli all'esecuzione della pena, se questa sarà inflitta.
É da escludere, dunque, che la imposizione della particolare misura di salvaguardia disposta dalla norma denunziata costituisca una illegittima discriminazione per lo straniero.
3. - Le osservazioni esposte valgono pure per escludere la violazione del secondo comma dell'art. 27 della Costituzione, il quale dichiara che l'imputato non é considerato colpevole sino alla condanna definitiva: norma il cui contenuto é analogo a quello degli artt. 6, n. 2, della Convenzione europea e 11 della Dichiarazione universale.
L'imposizione, quando non si presti cauzione, di una detenzione preventiva fino al massimo della pena stabilita per il reato di cui lo straniero é accusato, non equivale ad una dichiarazione di colpevolezza prima della condanna, se, come si é detto sopra, la disposizione denunziata si inserisce in un sistema generale, che assicura anche all'imputato che trovasi nelle condizioni previste dall'art. 139 le garanzie della legge processuale penale circa la immediata cessazione dello stato di detenzione preventiva, quando ne vengano a mancare i presupposti stabiliti dalla legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 139 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, in riferimento agli artt. 3, 10, secondo comma, e 27 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Sondrio con ordinanza 16 dicembre 1966.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACI O - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 23 novembre 1967.