Sentenza n. 118 del 1967
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SENTENZA N. 118

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 159, terzo comma, del R.D. 18 dicembre 1941, n. 1368, contenente le disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile, promossi con le ordinanze emesse il 30 marzo 1966 dal pretore di Ancona nei procedimenti civili vertenti tra l'I.N.P.S. e Principi Giancarlo e tra l'I.N.A.M. e Bartola Alessandro, iscritto ai nn. 97 e 98 del Registro ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 9 luglio 1966.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 18 ottobre 1967 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con due ordinanze di identico contenuto, emesse il 30 marzo 1966 nei procedimenti esecutivi pendenti fra l'I.N.P.S. e Giancarlo Principi e fra l'I.N.A.M. e Alessandro Bartola, il pretore di Ancona ha sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente il terzo comma dell'art. 159 delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile (R.D. 18 dicembre 1941, n. 1368), in forza del quale al Ministro di grazia e giustizia viene attribuito il potere di stabilire le modalità ed i controlli degli incarichi affidati agli istituti autorizzati alle vendite all'incanto dei beni mobili oggetti di pignoramento.

Dopo aver ricordato che nelle due procedure innanzi a lui pendenti la vendita dei beni pignorati era stata fissata ai sensi del D. M. 20 giugno 1960 a mezzo dell'Istituto per le vendite giudiziarie di Ancona e che la misura esecutiva non era stata espletata a causa dell'impossibilità di funzionamento di detto istituto per difetto di personale, il pretore afferma che i due giudizi non possono essere definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale della norma di legge in base alla quale il ricordato decreto ministeriale venne a suo tempo emanato e sulla quale cade un dubbio non manifestamente infondato di legittimità costituzionale. Il giudice a quo osserva, infatti, che l'art. 87, comma quinto, della Costituzione dispone che il Presidente della Repubblica emana i regolamenti, sicché la partecipazione del Presidente del Consiglio dei Ministri o dei singoli ministri all'esercizio della potestà regolamentare non può realizzarsi se non nelle forme e nei modi previsti dal successivo art. 89: dal che, a suo parere, deriva il sospetto che non siano conformi alla Costituzione tutte quelle disposizioni legislative che assegnano a singoli ministri la funzione regolamentare.

Le ordinanze proseguono rilevando che il descritto dubbio di costituzionalità é rafforzato da ulteriori considerazioni relative alla disciplina cui sottostanno i regolamenti approvati con semplice decreto ministeriale. L'assenza di un obbligo di pubblicazione inconciliabile con la soggezione dei cittadini alle norme indipendentemente dalla loro effettiva conoscenza; l'incertezza del rapporto in cui le norme regolamentari ministeriali vengono a trovarsi nei confronti dei regolamenti emanati con decreti ministeriali (incertezza non dissipata dall'art. 4 delle disposizioni sulla legge in generale, atteso che questo disciplina solo la gerarchia fra regolamento governativo e regolamento di altra autorità); il difetto delle garanzie che in forza della legge 31 gennaio 1926, n. 100-, la quale non prevede affatto i decreti ministeriali - assistono il procedimento relativo alla formazione dei regolamenti presidenziali (parere del Consiglio di Stato e deliberazione del Consiglio dei Ministri); il venir meno anche del controllo della Corte dei Conti, tutte le volte in cui non ci sia impegno di spesa: tutto questo dimostra che nel precedente ordinamento le singole leggi attributive di potestà regolamentare al ministro erano di carattere eccezionale, e che, sopravvenuta la Costituzione, esse non sono conciliabili col sistema delle fonti da questa delineato né sono conformi ai principi regolatori dello stato di diritto che il legislatore costituente ha voluto riaffermare.

Dopo aver precisato che il dubbio prospettato non riguarda affatto le leggi che attribuiscono ai ministri il potere di emanare atti amministrativi generali, ma investe solo il diverso potere di emanare norme obbligatorie per la generalità dei cittadini e per i giudici, il pretore di Ancona rimette al giudizio di questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 159, terzo comma, delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile in riferimento all'art. 87, comma quinto della Costituzione, nonché ai principi costituzionali che regolano le fonti di produzione normativa.

2. - Le due ordinanze, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 168 del 9 luglio 1966, sono state notificate alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicato ai Presidenti delle due Camere.

Nel giudizio relativo all'ordinanza emessa nel procedimento tra l'I.N.P.S. e Giancarlo Principi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel relativo atto di Costituzione, depositato il 3 giugno 1966, l'Avvocatura dello Stato richiama preliminarmente l'attenzione della Corte sulla inadeguatezza della motivazione dell'ordinanza sul punto relativo alla rilevanza della questione ed osserva che gli artt. 530, 532 e 534 del Codice di procedura civile attribuiscono al giudice ampie facoltà circa l'esecuzione della vendita, la quale non deve, ma solo può essere affidata agli istituti autorizzati.

Nel merito l'Avvocatura dubita che l'art. 159 attribuisca al ministro un vero e proprio potere regolamentare e non già il potere di emanare un atto amministrativo generale. A diradare il dubbio non varrebbe l'espressione "regolamento" contenuta nella intitolazione del D. M. 20 giugno 1960, atteso che la terminologia usata non costituisce un valido criterio di qualificazione, mentre, di contro, vi sono elementi sufficienti per far ritenere che, nella specie, ci si trova di fronte ad un atto che ha natura amministrativa improntata a discrezionalità tecnica. L'Avvocatura osserva in proposito che nell'ipotesi di affidamento della vendita agli istituti autorizzati, trattandosi in sostanza dell'esplicazione di un'attività propria dell'amministrazione della giustizia a mezzo di soggetti a questa estranei, ricorre l'ipotesi di concessione di un pubblico servizio, sicché il decreto ministeriale previsto dall'art. 159 disp. att. non é altro che un "disciplinare" di carattere generale, di volta in volta richiamato in occasione delle singole concessioni. Comunque, anche a voler ritenere che al ministro venga attribuita una vera e propria potestà regolamentare, la questione - così prosegue l'Avvocatura - sarebbe egualmente infondata. La dottrina e la giurisprudenza, infatti, hanno escluso che i regolamenti ministeriali siano inconciliabili col nuovo assetto costituzionale, giacché l'art. 87 della Costituzione va interpretato solo nel senso che tutte le volte in cui, senza altre determinazioni, un regolamento venga attribuito alla competenza del potere esecutivo, esso debba essere emanato con decreto presidenziale, non già nel senso che alla partecipazione presidenziale alla funzione regolamentare venga assegnato un carattere tassativo ed inderogabile. L'Avvocatura conclude, pertanto, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.

3. - Nell'udienza pubblica la difesa del Presidente del Consiglio ha insistito nelle descritte osservazioni e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due ordinanze del pretore di Ancona propongono la stessa questione di legittimità costituzionale, e pertanto i giudizi, congiuntamente discussi nella pubblica udienza, vengono riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La norma impugnata - art. 159, comma terzo, delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile (D.R. 18 dicembre 1941, n. 1368) - conferisce al Ministro di grazia e giustizia il potere di stabilire le modalità e i controlli per l'esecuzione degli incarichi affidati agli istituti autorizzati all'incanto e all'amministrazione dei beni, ed essa viene denunziata a causa della supposta incompatibilità dei regolamenti ministeriali con l'art. 87, comma quinto, della Costituzione e, più in generale, coi principi costituzionali che regolano le fonti di produzione normativa.

Dal testo delle ordinanze di rimessione risulta, tuttavia, che il giudice a quo non ha sollevato la questione di legittimità costituzionale nel momento in cui si accingeva, in base all'art. 534 del Codice di procedura civile, ad esercitare la facoltà di affidare l'incanto al locale istituto autorizzato e, quindi, a dare l'avvio ad una fase dell'esecuzione le cui modalità cadono sotto la disciplina del decreto ministeriale (D.M. 20 giugno 1960) emanato in virtù della norma impugnata. Risulta, al contrario, che i provvedimenti di affidamento della vendita all'istituto di Ancona erano già stati adottati con precedenti ordinanze, ma erano divenuti - come testualmente si legge - "frustranei" a causa dell'impossibilità di darvi esecuzione, in cui il predetto istituto era venuto a trovarsi per mancanza di personale abilitato.

Tale circostanza appare inequivocabilmente inconciliabile col giudizio di rilevanza che il pretore esprime richiamando una considerazione di fatto - inidoneità della disciplina regolamentare a garantire il regolare espletamento dell'incarico ed ad assicurare il risultato dell'incanto - del tutto inadeguata a dimostrare che, nella fase in cui i due procedimenti esecutivi vengono a trovarsi, debba darsi applicazione alla norma impugnata. É da ritenere, perciò, che il potere di promuovere il processo incidentale di legittimità costituzionale é stato esercitato dal giudice a quo nell'assoluto difetto del presupposto voluto dal sistema (art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87). La questione deve essere conseguentemente dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 159, terzo comma, del R.D. 18 dicembre 1941, n. 1368 (contenente le disposizioni per l'attuazione del Codice di procedura civile), sollevata dal pretore di Ancona, con le ordinanze citate in epigrafe, in riferimento all'art. 87, comma quinto, della Costituzione nonché ai principi costituzionali che regolano le fonti di produzione normativa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

 

Depositata in cancelleria il 23 novembre 1967.