Sentenza n. 115 del 1967
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SENTENZA N. 115

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 206 del T. U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 30 marzo 1966 dal pretore di Arzignano nel procedimento civile vertente tra il fallimento della società Frida e l'Esattoria consorziale di Arzignano, iscritta al n. 85 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 118 del 14 maggio 1966;

2) ordinanza emessa il 12 luglio 1966 dal Tribunale di Livorno nel procedimento civile vertente tra il fallimento Federighi Marino e Adelago e l'Esattoria di Campiglia Marittima, iscritta al n. 184 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del 15 ottobre 1966.

Visti gli atti di costituzione del fallimento Federighi e dell'Esattoria di Campiglia Marittima e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 14 giugno 1967 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv. Mario Cassola, per il fallimento Federichi, l'avv. Leopoldo Ermetes, per l'Esattoria di Campiglia Marittima, e il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il pretore di Arzignano e il Tribunale di Livorno, provvedendo in due giudizi di opposizione ex art. 619, Codice di procedura civile, proposti rispettivamente dal curatore del fallimento Frida contro l'Esattoria consorziale di Arzignano e dal curatore del fallimento Federighi contro l'Esattoria di Campiglia Marittima, sollevarono questione di legittimità costituzionale dell'art. 206 del T. U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645.

Secondo il pretore (ordinanza 30 marzo 1966) la norma denunziata, consentendo al solo esattore di promuovere l'esecuzione nei confronti del debitore fallito, appare contraria al principio sancito dall'art. 51 della legge fallimentare, che fa divieto a tutti i creditori di procedere nell'espropriazione forzata; tale autonoma azione crea gravi problemi nel corretto andamento delle procedure fallimentari, anche in relazione ad un migliore realizzo da parte degli organi del fallimento, soprattutto per quanto concerne la vendita di beni mobili, e fa sì che l'esattore abbia prima di tutti gli altri creditori il soddisfacimento del proprio credito, senza attendere la predisposizione di un piano di riparto, creando una diversa posizione delle parti di fronte alla legge. La norma venne denunziata in relazione agli artt. 3, 25 e 102 della Costituzione.

Anche secondo il Tribunale (ordinanza 12 luglio 1966) la norma impugnata appare in contrasto col principio di eguaglianza. Si osserva inoltre che questo trattamento compromette il diritto di difesa degli altri creditori; e si soggiunge che l'esattore, con l'autonoma esecuzione, non mira tanto a realizzare, nella misura massima possibile, i tributi erariali, quanto ad ottenere sollecitamente dall'amministrazione finanziaria il discarico dei tributi non riscossi per ovviare alle sue esposizioni di capitali, cui é tenuto per la sua responsabilità del non riscosso per riscosso, onde la sua attività individuale si risolve quasi sempre in un grave danno sostanziale che si riflette sui creditori tutti, erario compreso, per i modesti realizzi cui di solito perviene e per i rilevanti danni che conseguono al patrimonio fallimentare anche per la disordinata realizzazione delle attività aziendali. Vennero invocati agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

La prima ordinanza é stata comunicata ai Presidenti delle Camere l'8 aprile 1966 e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 15 successivo; la seconda é stata comunicata ai Presidenti delle Camere il 5 e 6 agosto 1966 e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il giorno 9 successivo.

Le due ordinanze sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica rispettivamente del 14 maggio 1966 n. 118 e del 15 ottobre 1966 n. 258.

Nella prima causa nessuna delle parti si costituì; nella seconda si costituirono tanto il curatore del fallimento quanto l'Esattoria, con atti rispettivamente del 22 agosto e del 1 ottobre 1966. Il Presidente del Consiglio dei Ministri intervenne nella prima causa, come da atto depositato in cancelleria il 31 maggio 1966.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene che l'art. 3 della Costituzione sancisca il principio di eguaglianza fra i cittadini e non fra i cittadini e lo Stato; che la prerogativa attribuita all'esattore discende dalla natura del credito, che é derivante dai tributi e non é fonte di privilegio personale all'esattore, ma assicura la tutela del preminente interesse generale alla riscossione delle entrate fiscali. Aggiunge che, ai sensi dell'art. 85 del T. U. delle leggi sulla riscossione delle imposte dirette approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858, l'esattore che si avvale della procedura prevista dalla norma impugnata deve insinuare il proprio credito nel procedimento fallimentare o in quello di liquidazione coatta amministrativa, per cui anche il credito dell'esattore dovrà essere preso in considerazione dal giudice delegato ai fini del riparto. Il prezzo ricavato dall'esattore viene computato nel fallimento secondo le norme concorsuali, in modo che resti conciliato il principio della par condicio creditorum; e pertanto l'unico vantaggio riservato all'esattore consiste nel fatto che egli può realizzare il credito privilegiato senza attendere la chiusura del fallimento, ma non può mai riscuotere più di quanto in tale sede gli sarebbe spettato.

Quanto all'assunta violazione degli artt. 25 e 102 della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei Ministri osserva: che il procedimento esecutivo esattoriale é di carattere amministrativo ed é informato al principio dell'esecutorietà dell'atto dell'amministrazione; che il concetto di giudice naturale é quello precostituito per legge, al quale cioè la legge attribuisce una competenza senza alternativa, e non già il giudice ordinario; che nell'ordinanza del pretore non figurano i motivi per i quali la norma impugnata vulnererebbe l'art. 102 della Costituzione; che, a prescindere dalla legittimità delle giurisdizioni tributarie, nella specie non si può neppure parlare di attività giurisdizionali, tanto é vero che contro gli atti esecutivi dell'esattore é ammesso ricorso all'intendente di finanza, che decide con provvedimento definitivo.

3. - Il curatore del fallimento Federighi insiste nel porre in rilievo, da un lato, il divario fra la norma denunciata e l'art. 51 della legge fallimentare, e, dall'altro, il trattamento di disparità che ne risulta fra l'esattore e gli altri creditori del fallito; soggiunge che questi ultimi, dalla disparità stessa vedono compromesso il loro diritto di difesa, comprensivo non solo degli strumenti processuali, ma pure dei mezzi pratici idonei ad assicurare loro tutti i vantaggi che l'ordinamento giuridico predispone.

Né basta obiettare che l'art. 51 della legge fallimentare fa salva ogni diversa disposizione e che la norma intenda assicurare all'esattore la sollecita riscossione dell'ammontare dei tributi, che ha dovuto versare per loro conto allo Stato e agli altri enti impositori. Se l'esattore é tenuto a rispettare il principio della par condicio, e quindi a consentire che il curatore del fallimento acquisisca quanto realizzato dalla procedura esecutiva fiscale (art. 228 del T. U.), facendo valere nella stessa i crediti assistiti da un privilegio aventi grado inferiore a quello dell'esattore, e se quindi, anche in tal caso, l'esattore deve attendere, per l'effettiva riscossione, il compimento delle operazioni di riparto fallimentare, l'assurdità di quella giustificazione appare evidente; e appare ancor più evidente se si pone mente alla circostanza che il diritto dell'esattore di promuovere o di proseguire l'azione esecutiva a carico del fallito dovrebbe essere riconosciuto anche per il credito non assistito da privilegio. Inammissibile ed inconcepibile appare una sfiducia nelle possibilità realizzatrici dell'amministrazione fallimentare, ben potendo l'esecuzione esattoriale distruggere la possibilità di una conveniente alienazione, come il più delle volte accade, con un danno, non solo per la massa, ma pure per le casse dello Stato che, per il non recuperato, sgrava l'esattore. Dal momento che il soddisfacimento dei diritti della collettività, e quindi anche dell'esattore, sono garantiti dalla disciplina fallimentare, l'esecuzione dell'esattore, dovendo riguardare i medesimi beni oggetto dell'apprensione fallimentare, dà luogo ad una duplicazione di azioni esecutive, e si pone in contrasto con la norma fallimentare per cui la liquidazione dell'attivo deve avvenire attraverso il curatore, sotto la direzione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori.

4. - L'Esattoria di Campiglia Marittima rileva che, secondo un principio fermissimo in giurisprudenza oltre che in dottrina, in sede di distribuzione del prezzo ricavato dalla vendita fiscale, all'esattore non può essere attribuito più di quanto gli spetti, in concorso con gli altri creditori, in via privilegiata o chirografaria, per cui, anche se l'esattore abbia riscosso l'intero suo credito attraverso la sua esecuzione, é fatto salvo al curatore il diritto di richiedere in restituzione quanto risulti percepito in eccedenza alla somma attribuitagli nel riparto fallimentare. É allora irrilevante che, per la realizzazione dei rispettivi crediti, lo strumento processuale a disposizione dell'esattore sia diverso da quello che é a disposizione degli altri creditori, perché l'essenziale, agli effetti che ne occupa, é che in ogni caso la realizzazione stessa sia effettuata nel comune interesse. E poiché gli artt. 51 e 52 della legge fallimentare lasciano salve diverse disposizioni, la questione della compatibilità della norma denunciata con il sistema concorsuale potrebbe rientrare, tutt'al più, nella competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria, giammai costituire oggetto di giudizio di legittimità costituzionale.

Con riferimento all'art. 24 della Costituzione, l'esattore osserva che la tutela dei creditori ordinari non é esclusa dalla legge speciale, ma é realizzata attraverso la procedura fallimentare mediante la confluenza in questa di quella esattoriale; egli oppone inoltre, come la Presidenza del Consiglio, il principio dell'esecutorietà dell'atto amministrativo da cui é assistito anche il ruolo, e la particolarità del rapporto che si stabilisce fra lo Stato creditore (e, per esso, nella fase esecutiva, l'esattore) e il contribuente o più generalmente l'obbligato d'imposta. L'interesse alla riscossione dei tributi é pur sempre dello Stato, tenuto a rimborsare all'esattore le quote inesigibili. E non risponde a realtà che dalle vendite esattoriali conseguano realizzi inferiori a quelli della vendita fallimentare: la rapidità cui é informata la procedura speciale consente maggiori realizzi, perché la vendita é effettuata quando i beni sono in buono stato di conservazione; e il prezzo base del secondo incanto non può essere inferiore alla metà del prezzo di stima (art. 225 cpv. del T.U. citato), mentre, per la vendita giudiziale, é ammessa qualsiasi offerta (art. 538 cpv. C.P.C.) e, in tutti i casi in cui la stima non appaia adeguata, ne può essere chiesta la revisione a mezzo di apposito stimatore (art. 225 del T.U. predetto).

5. - All'udienza del 14 giugno 1967 le difese delle parti hanno ribadito le rispettive tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due ordinanze propongono un'identica questione e pertanto sulle stesse può essere emessa un'unica sentenza.

Le ordinanze hanno discusso sull'art. 206 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, per ciò che concerne il potere dell'esattore di procedere individualmente contro il contribuente in fallimento o in liquidazione coatta, in relazione ad obbligazioni tributarie verso lo Stato; ed entro questi limiti la Corte deve mantenere la sua pronunzia.

2. - Deve anzitutto escludersi che la norma impugnata pregiudichi il diritto di difesa dei creditori del contribuente e distolga dal giudice naturale. Già la Corte ha avvertito (sentenza 3 luglio 1962, n. 87) che l'esecuzione esattoriale é regolata come un procedimento, nel quale si manifesta, sia pure più energicamente che in altri casi, il principio della esecutorietà dell'atto amministrativo; e l'art. 113, ultimo comma, della Costituzione ammette che al giudice ordinario sia sottratto il potere di annullare gli atti della pubblica amministrazione. Il sistema della legge sulla riscossione delle imposte garantisce la tutela del giudice ordinario contro gli atti dell'esattore; ma la garantisce con mezzi che tengono conto del carattere amministrativo del procedimento, i quali sostituiscono quelli apprestati per il procedimento ordinario, e che altre volte la Corte ha ritenuto del tutto conformi ai precetti costituzionali oggi invocati (stessa sentenza precitata).

Non si può ritenere, peraltro, che la facoltà data all'esattore di procedere individualmente non ostante l'apertura del processo concorsuale escluda la tutela giurisdizionale e la difesa degli altri creditori del contribuente. La distribuzione del prezzo ricavato dalla vendita seguita per autorità dell'esattore avviene secondo un procedimento che si svolge innanzi al pretore e al quale possono partecipare tutti i creditori del contribuente (art. 228 del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645), quindi anche coloro che hanno presentato domanda di ammissione al passivo del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa; ma, a sua volta, la facoltà di agire individualmente non ostante la pendenza del procedimento concorsuale non esime l'esattore dall'insinuarvi il credito proprio (art. 85 del D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858). Pertanto non v'é, in definitiva, spostamento della competenza, dall'organo giurisdizionale concorsuale, al pretore: il prezzo riscosso dall'esattore a seguito del riparto disposto dal pretore subisce nel processo concorsuale un riesame alla stregua delle esigenze di questo, così che può ben dire la giurisprudenza che l'esattore non viene a conseguire, non ostante il suo potere di esecuzione autonoma, più di quanto avrebbe percepito ove non gli fosse stato dato quel potere. I creditori ammessi al passivo concorsuale hanno dunque la medesima tutela che riceverebbero ove all'esattore fosse inibita l'esecuzione diretta; la quale peraltro non si può dire discordante dal sistema concorsuale, perché questo non pone un divieto assoluto di azioni esecutive individuali, ma fa salva ogni diversa disposizione di legge (art. 51 e 201, primo comma, della legge fallimentare). La giurisprudenza ordinaria ha riconosciuto che l'esecuzione esattoriale s'inquadra in questa salvezza, non ostante qualche accenno in senso contrario contenuto nei lavori preparatori della legge fallimentare.

3. - Nemmeno si può dire che la facoltà concessa all'esattore ferisca il principio di eguaglianza. In quanto essa mira alla sollecita riscossione dei tributi erariali, la Corte ha ritenuto che il conseguenziale risultato di disuguaglianza non é ingiustificato; e non é il caso di ripetere le ragioni che a tal fine essa ha addotto.

Nemmeno é il caso di distinguere fra crediti tributari privilegiati e crediti tributari chirografari, perché la diversità di situazione é in funzione della qualità del creditore e di quella sostanziale del credito. Non vale obiettare che, dovendo l'esattore versare allo Stato anche il non riscosso, il credito tributario é esclusivamente esattoriale: l'esattore é un organo riscuotitore dell'imposta, e la titolarità del credito tributario é perciò sempre dell'erario. Né la speciale protezione che al credito tributario dà la norma denunciata perde giustificazione sol perché lo Stato é garantito dall'estensione al non riscosso dell'obbligazione esattoriale; ché, se mai, quella protezione potrebbe essere un razionale temperamento del rigore con cui é regolato il rapporto fra Stato ed esattore, in modo che l'obiezione suddetta, più che incidere sulla legittimità costituzionale del vantaggio attribuito dalla norma denunciata, gli conferisce ragionevolezza. Si noti, peraltro, che l'esattore é tenuto per il non riscosso, non in via definitiva, tanto vero che lo Stato é obbligato a rimborsargli le quote inesigibili, e che l'esigenza di un procedimento esattoriale accelerato é in funzione della necessità di evitare quel rimborso o di ridurre l'entità; quindi di evitare che la realizzazione forzata del credito erariale resti pregiudicata da remore processuali, ove sopravvenga l'insolvenza e l'insolvibilità del contribuente.

Si oppongono inconvenienti di ordine pratico come conseguenza della separata esecuzione esattoriale: uno scarso risultato economico delle vendite disposte dall'esattore, un intralcio al procedimento concorsuale, una duplicità dei procedimenti di riparto del ricavato della vendita esattoriale, una possibilità che l'esecuzione esattoriale scinda il complesso dell'azienda sottoposta ad esecuzione concorsuale impedendone o rendendone difficile la vendita nella sua unità o impedendo o rendendo difficile un concordato, e via enumerando. Gli inconvenienti pratici di una norma, la Corte l'ha proclamato spesse volte, non influiscono sulla sua legittimità costituzionale, che va accertata soltanto al confronto con il dettato della Costituzione; potrebbero, se mai, essere presi in considerazione dal legislatore per una riforma del sistema, ove egli riconoscesse che hanno consistenza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 206 del T. U. delle leggi sulle imposte dirette, approvato con D. P. R 29 gennaio 1958, n. 645, proposta dal pretore di Arzignano con ordinanza 30 marzo 1966 e dal Tribunale di Livorno con ordinanza 12 luglio 1966, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

 

 

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe VERZÌ - Giuseppe CHIARELLI - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

 

 

 

 

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1967.