Sentenza n. 98 del 1967
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SENTENZA N. 98

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D. P.R. 14 luglio 1960, n. 10ll, contenente "Norme sui licenziamenti individuali dei lavoratori dipendenti dalle imprese industriali", promosso con ordinanza emessa il 13 ottobre 1965 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la Società Vulcano e Ganzaroli Ermer, iscritta al n. 72 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 118 del 14 maggio 1966.

Udita nella camera di consiglio del 27 aprile 1967 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, promosso dalla Società Vulcano contro Ermer Ganzaroli, il Tribunale di Milano, in accoglimento di un'eccezione formulata dall'opponente, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale relativa al D.P.R. 14 luglio 1960, n. 101l, contenente "Norme sui licenziamenti individuali dei lavoratori dipendenti dalle imprese industriali".

Nell'ordinanza di rimessione, emessa il 13 ottobre 1965, il Tribunale, dopo aver compiuto con esito positivo l'accertamento della rilevanza, ha ritenuto che la questione non sia manifestamente infondata in riferimento agli artt. 76, 39 e 102 della Costituzione e conseguentemente ha sospeso il giudizio ed ha rimesso gli atti a questa Corte.

2. - Sui singoli profili della questione l'ordinanza osserva:

a) Il provvedimento impugnato, emanato dal Governo nell'esercizio della delega conferitagli dalla legge 14 luglio 1959, n. 741, appare contrastante con i principi ed i criteri direttivi impliciti, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, nel fine proposto dalla legge di delega, quello, cioè, che vengano assicurati minimi inderogabili di trattamento economico e normativo a tutti gli appartenenti ad una determinata categoria. E, difatti, l'accordo interconfederale del 18 ottobre 1950, recepito nella legge delegata, non ha ad oggetto la disciplina delle condizioni generali di lavoro, ma attraverso l'istituzione di un collegio arbitrale detta norme strumentali rispetto al rapporto di lavoro, destinate, per di più, ad operare solo dopo la risoluzione di quest'ultimo.

b) L'accordo interconfederale del 18 ottobre 1950 non contiene disposizioni che, valutate nella loro natura contrattuale, possano esser ritenute in contrasto con norme imperative di legge, ma da ciò non deriva affatto che la sua recezione nel decreto presidenziale impugnato non determini vizi di illegittimità costituzionale di questo. Dovendosi infatti escludere (e, in ogni caso, ciò sarebbe in contrasto con l'art. 39 della Costituzione) che la legge delegante abbia inteso conferire alle associazioni la rappresentanza di tutti i lavoratori e di tutti i datori di lavoro anche non iscritti, e dovendosi ritenere che a questi non é garantita la possibilità di scelta dei componenti del collegio arbitrale, non appare infondato il dubbio che l'obbligo legislativamente imposto ad ogni datore di lavoro, anche non iscritto, di soggiacere ai poteri decisori di un tal collegio concreti una violazione del principio di libertà sindacale e si risolva sostanzialmente nella istituzione di un giudice speciale.

3. - L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 14 maggio 1966.

Nel presente giudizio nessuna parte si é costituita e pertanto la causa, ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, viene decisa in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1011 - che in relazione alla delega conferita al Governo dalla legge 14 luglio 1959, n. 741 sottopone i licenziamenti individuali dei lavoratori dipendenti dalle imprese industriali a norme uniformi a quelle contenute nell'accordo interconfederale del 18 ottobre 1950 - ha già formato oggetto di esame da parte di questa Corte, e con sentenza n. 50 del 26 maggio 1966 ne é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale per la parte relativa all'intervento conciliativo delle associazioni di categoria. Nella stessa decisione la Corte ha ritenuto, invece, non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative ad altre norme dello stesso decreto legislativo e proposte in riferimento agli artt. 76, 77 e 102 della Costituzione.

Il Tribunale di Milano, chiamato in sede di opposizione a decreto ingiuntivo a decidere la controversia sul diritto di un lavoratore alla penale riconosciutagli dal collegio arbitrale previsto nel ricordato accordo (controversia sulla quale ovviamente nessuna incidenza può avere la sopravvenuta legge 15 luglio 1966, n. 604), ha ritenuto non manifestamente infondato il dubbio che il D.P.R. n. 1011 del 1960: a) sia incorso in un eccesso di delega per aver recepito una disciplina meramente strumentale e, quel che più conta, destinata ad operare solo dopo la risoluzione del rapporto di lavoro; 17) abbia violato l'art. 102 della Costituzione, per aver sostanzialmente istituito, più che un ar1itrato obbligatorio, un vero e proprio giudice speciale; c) sia in contrasto con l'art. 39 della Costituzione, per aver assoggettato ai poteri decisori e sanzionatori del collegio arbitrale anche il datore di lavoro non iscritto all'associazione che stipulò l'accordo.

Le prime due denunzie prospettano questioni di legittimità costituzionale che, proposte da altre ordinanze in termini del tutto identici a quelli ora formulati dal giudice a quo, furono già decise con la sentenza n. 50 del 1966. Esse vanno, perciò, dichiarate manifestamente infondate.

Nuova é, invece, la terza questione, giacché nella precedente occasione la Corte, nell'individuare l'oggetto e i limiti del giudizio allora promosso, escluse che le ordinanze di rimessione avessero denunciato, sotto un autonomo profilo di eccesso di delega ovvero sotto quello di un diretto contrasto con l'art. 39 della Costituzione, la violazione del principio di libertà sindacale.

2. - La Corte ritiene che la questione non sia fondata. Il giudice a quo, nel formularla nei termini innanzi riferiti, parte evidentemente dal presupposto che la soggezione ope legis dei lavoratori e dei datori di lavoro ai "poteri decisori e sanzionatori" del collegio arbitrale previsto dall'art. 4 dell'accordo interconfederale equivalga alla loro soggezione ad associazioni alle quali essi sono estranei. Se così fosse, patente sarebbe la violazione dell'art. 39, primo comma, della Costituzione, perché la libertà sindacale garantita dalla norma costituzionale, come esclude la legittimità di una legge che direttamente o indirettamente coarti la libertà di non associarsi, così impedisce che lavoratori e datori di lavoro possano essere sottoposti a poteri dispositivi conferiti ad organizzazioni sindacali alle quali non abbiano liberamente aderito. Ma, nel caso in esame, ciò non si verifica. Già nella ricordata sentenza n. 50 del 1966 la Corte affermò che la funzione demandata al collegio arbitrale si collega, per la sua stessa natura, con la disciplina sostanziale del licenziamento, sicché le varie norme dettate dall'accordo interconfederale con corrono, in una indissolubile unità, a regolare una vicenda del rapporto individuale di lavoro. Per dissipare i dubbi ora espressi dal Tribunale di Milano giova aggiungere che il potere di valutare le ragioni esposte dal datore di lavoro a giustificazione del licenziamento e di adottare i conseguenti provvedimenti non spetta alle associazioni che stipularono l'accordo - così come, ad es., a queste spettava il potere di conciliare, con effetti vincolanti per i soggetti interessati, le vertenze sui licenziamenti collettivi, secondo il D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1019 per questa parte dichiarato illegittimo con la sentenza n. 8 del 1966 - ma ad un collegio arbitrale che é tenuto a pronunziarsi secondo criteri obbiettivi ed in una posizione di assoluta indipendenza. Né a diversa conclusione può condurre la circostanza che i due arbitri sono designati dalle rispettive organizzazioni di categoria ed il presidente del collegio deve essere scelto, mediante sorteggio, nell'ambito di un elenco di nomi da queste predisposte. Le modalità di nomina, infatti, non creano un rapporto di rappresentanza fra arbitri ed associazioni, non rendono i primi strumenti delle seconde e non incidono sulla indipendenza della funzione affidata al collegio, che deve essere esercitata non nell'ossequio di istruzioni impartite da chi ha proceduto alla nomina, ma nel rispetto di direttive generali astrattamente previste nelle disposizioni dell'accordo e, quindi, della legge. E come i provvedimenti adottati a conclusione del procedimento vanno imputati agli arbitri e non alle associazioni (le quali, quindi, restano estranee al concreto regolamento del rapporto fra i due soggetti interessati alla vicenda), così l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere la penale in caso di licenziamento riconosciuto ingiustificato e di mancata riassunzione del lavoratore non trova la sua fonte in una funzione attribuita alle organizzazioni sindacali, bensì in un potere della legge conferito al collegio arbitrale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 101l, sollevata dal Tribunale di Milano con l'ordinanza di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 76 e 102 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione sollevata dalla stessa ordinanza in riferimento allart. 39, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 8 luglio 1967.