Sentenza n. 93 del 1967
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SENTENZA N. 93

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 419 del Codice di procedura penale e dell'art. 28 del R.D. 28 maggio 1931, n. 602, contenente le norme di attuazione del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1966 dal pretore di Venezia nel procedimento penale a carico di Garganego Dante ed altro, iscritta al n. 38 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30 aprile 1966.

Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1967 la relazione del Giudice Michele Fragali.

 

Ritenuto in fatto

 

Un'ordinanza del 24 gennaio 1966, emessa dal pretore di Venezia, ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 419 del Codice di procedura penale, per la parte in cui dispone che l'imputato non ammesso al gratuito patrocinio deve anticipare le spese per le citazioni e per l'indennità ai testimoni di cui domanda l'escussione ai sensi del precedente art. 415. La questione é stata estesa all'art. 28 del R.D. 28 maggio 1931, n. 602, contenente le norme di attuazione del Codice di procedura penale, che stabilisce il procedimento di liquidazione di tali spese e il deposito della somma liquidata.

Il pretore ha rilevato che la norma denunciata é suscettibile di creare disparità fra l'imputato che sia e l'imputato che non sia nelle condizioni di effettuare il suddetto deposito e pone un ostacolo estrinseco all'esercizio della difesa in uno dei suoi aspetti più rilevanti, quale quello di introdurre testi a discarico.

L'istituto del gratuito patrocinio non elimina l'accennata disuguaglianza, perché l'ammissione al beneficio é subordinata alla valutazione dello stato di povertà da parte di un organo che é investito di funzioni amministrative e che decide previa informazione e parere di organi amministrativi; la prescrizione del previo deposito non inerisce ad alcuna esigenza interna al processo e si spiega perciò come un indiretto impedimento posto dalla legge processuale a presunti tentativi della difesa di decampare dall'oggetto del giudizio, impedimento, da un lato, inutile perché esiste nell'art. 420 del Codice di procedura penale, il mezzo per frustrare siffatti tentativi, e, dall'altro lato, in contrasto con la natura pubblicistica della difesa, in modo che vengono posti limiti all'acquisizione delle prove, creandosi una disparità fra l'accusa e la difesa.

L'ordinanza, essendo gli imputati presenti alla udienza pretoriale, é stata notificata soltanto al Presidente del Consiglio dei Ministri il 7 febbraio 1966 ed é stata comunicata ai Presidenti delle due Camere il giorno 2 febbraio stesso anno. É stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica 30 aprile 1966 n. 105.

Nessuno si é costituito o é intervenuto.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 419 del Codice di procedura penale é denunciato soltanto per quanto concerne l'onere, fatto all'imputato, di depositare l'importo delle spese per l'escussione dei testimoni compresi nelle liste ammesse ai sensi dell'art. 420 stesso Codice.

La ragione dell'onere sta nell'esigenza di stimolare la parte ad un uso cosciente del suo diritto di difesa ed a evitare che ne abusi per fini dilatori o sterili. Rimedio utile ad ovviare a tali eccessi é certo il potere dato al presidente del collegio o al pretore di ridurre le liste testimoniali sovrabbondanti e di eliminare le testimonianze inammissibili per legge o non pertinenti direttamente all'oggetto del giudizio (art. 420 del Codice di procedura penale); ma tal potere viene esercitato in una fase processuale in cui non può compiersi se non una deliberazione sommaria della pertinenza delle testimonianze addotte in lista, a differenza del caso in cui la necessità di assumere nuovi testi sorge nel corso del dibattimento (art. 457, secondo comma, del Codice di procedura penale), in cui é possibile una cognizione piena del carattere imprescindibile della nuova istruttoria.

In vista di ciò é ragionevole richiamare la parte ad una seria valutazione dell'opportunità di proporre il mezzo istruttorio, in modo da evitare semplici supposizioni, improvvide illazioni o sconsiderate e leggere determinazioni; le quali, se fossero di mala fede, altro non farebbero che interrompere l'ordinato svolgimento del processo e recare intralcio all'esercizio regolare della funzione giurisdizionale.

Deve essere respinto, quindi, l'assunto, profilato nell'ordinanza, che il Codice di procedura penale abbia voluto, con la norma impugnata, imprimere al processo una direzione informata al preconcetto di ritenere sufficienti le prove acquisite dagli uffici del pubblico ministero o da quelli dell'istruzione, o un indirizzo rivolto a porre limiti all'acquisizione di altre prove: questo assunto é smentito dal potere dato al giudice del dibattimento nel citato art. 457, secondo comma. Una valutazione del sistema che non guardi alla superficie pone in reciproca correlazione gli artt. 419 e 420 del Codice di procedura penale, e dà, all'onere imposto alla parte privata e al potere concesso al giudice, la portata di mezzi concorrenti alla soddisfazione del fine sopraindicato, di impedire smoderatezze e esorbitanze nell'impiego dei mezzi difensivi.

In conseguenza rimane altresì contestato che il sistema determini una disparità fra l'accusa e la difesa: la garanzia contro gli eccessi della prima é nella posizione fatta dall'ordinamento costituzionale al pubblico ministero e, del resto, anche lo Stato é tenuto ad anticipare la spesa delle testimonianze dedotte dal pubblico ministero mediante la presentazione delle liste di cui all'art. 415, comma primo, del Codice di procedura penale; così risultando, a favore del pubblico ministero, la sola differenza dell'esonero dal deposito, che é una differenza di ovvia ragione.

Non si vede pertanto come, sotto i profili contrastati, la questione preposta possa trovare fondamento.

2. - La questione é priva di base anche con riguardo all'ipotesi in cui la parte privata non sia in condizioni economiche tali da tollerare l'anticipazione della spesa: per essa soccorre il beneficio del gratuito patrocinio. Ciò é rilevato nella ordinanza di rimessione; ma essa non ne trae le logiche conseguenze.

Il gratuito patrocinio, nella materia penale, può essere consentito alla sola condizione della prova dello stato di povertà, senza cioè far luogo ad indagini sulla probabilità in un esito del processo favorevole all'istante, com'é per la materia civile (art. 15, sesto comma, del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, sul gratuito patrocinio); e il giudice a quo inutilmente obietta che la valutazione dello stato di povertà del ricorrente é fatta discrezionalmente da un organo investito di funzioni amministrative, il quale decide su informazioni e su pareri di organi amministrativi (art. 15, terzo comma, e art. 16, secondo, terzo e quinto comma, del predetto R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282). Le commissioni di gratuito patrocinio sono organi ausiliari di quelli giurisdizionali presso i quali operano, e hanno il compito di accertare l'esistenza dei presupposti richiesti dalla legge per l'ammissione ad un servizio pubblico com'é quello di gratuito patrocinio. La pronunzia é emessa da un collegio che assicura imparzialità di giudizio perché composto oltre che da magistrati, da rappresentanti del foro i quali apportano, all'esame da compiere, il contributo di chi fa, del diritto di difesa, oggetto di continua preoccupazione; ed é assurdo opinare che, per essere liberati dall'onere di anticipare le spese di un futuro processo giurisdizionale, l'ordinamento debba apprestare a colui che richiede il beneficio della difesa gratuita un altro procedimento di identica natura. Un procedimento del genere sarebbe una inutile anticipazione di quello che la parte vuole instaurare, o nel quale essa é chiamata a contraddire, e, comunque, sarebbe causa di lunga remora alla definizione del processo.

3. - É opportuno inoltre rilevare che l'onere imposto alla parte privata dalla norma denunciata é temperato dall'attribuzione al giudice del dibattimento del potere, di cui si é fatto parola, di disporre che siano citati i testimoni dei quali risulti la necessità di assunzione (art. 457, secondo comma, del Codice di procedura penale).

L'esercizio di quel potere é certamente discrezionale; ma la discrezionalità del giudice é suscettibile di controllo, sia di merito che di legittimità, essendo correlativa al carattere del procedimento penale, che, dominato dal principio di indisponibilità, impone al giudice di formare il materiale di cognizione prescindendo dalla condotta processuale delle parti, in modo da tendere soltanto alla verità materiale.

L'inosservanza dell'onere al quale si riferisce l'ordinanza del pretore di Venezia non può pertanto recare alcun pregiudizio alla difesa della parte, ove nel dibattimento emerga l'imprescindibilità di quegli stessi esami testimoniali che sono stati chiesti ai sensi dell'art. 415, primo comma, del Codice suddetto; e la notizia di tale necessità può venire al giudice anche dalla lettura dell'istanza rimasta senza effetto per la mancanza del deposito prescritto dal successivo articolo 419. Nocumento alla parte viene, in tal caso, non dalla norma impugnata, ma dal vizio dell'attività del giudice del dibattimento; ed esso é rimediabile con i mezzi apprestati per l'impugnazione della sentenza.

Il vero é, come altra volta ha deciso questa Corte (18 marzo 1964, n. 30), che nessuna norma costituzionale garantisce la gratuità della prestazione giudiziaria. Né si può far differenza tra materia civile e materia penale, come assume il giudice a quo, perché l'art. 24, terzo comma, della Costituzione che non ha un contenuto assoluto, non distingue, e perché questa distinzione non é desumibile dal principio dell'officialità e da quello dell'obbligatorietà dell'azione penale, consacrati nell'art. 112 della Costituzione, i quali non intendono assorbire, com'é noto, né escludere, né sostituire tutta l'attività processuale privata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale proposta dal pretore di Venezia con ordinanza 24 gennaio 1966, in relazione all'art. 419 del Codice di procedura penale e all'art. 28 delle disposizioni di attuazione dello stesso Codice approvato con R.D. 28 maggio 1931, n. 602, in quanto impongono all'imputato non ammesso al gratuito patrocinio di anticipare le spese per le citazioni e le indennità ai testimoni da lui richiesti, ed in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 8 luglio 1967.