SENTENZA N. 70
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 177 bis del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 21 gennaio 1966 dal Pretore di Castiglione delle Stiviere nel procedimento penale a carico di Perdomini Piero, iscritta al n. 52 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30 aprile 1966.
Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1967 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 21 gennaio 1966, emessa nel procedimento penale contro Perdomini Piero, il Pretore di Castiglione delle Stiviere, accogliendo l'eccezione della difesa dell'imputato, ha sollevato, in riferimento al primo comma dell'art. 3 ed al secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 177 bis del Codice di procedura penale nella parte in cui dispone che la formalità dell'avviso di procedimento inviato all'imputato residente all'estero non sospende né ritarda il procedimento.
Secondo l'ordinanza, l'imputato residente all'estero si troverebbe in condizioni di ingiustificato disfavore e di menomata difesa, in quanto, in virtù della norma impugnata, potrebbe, nei casi limite, avere notizia del procedimento a suo carico quando sia stato già emesso decreto di citazione a giudizio, o sia stato addirittura celebrato il dibattimento di primo grado.
L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30 aprile 1966.
Nel presente giudizio, le parti non si sono costituite né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Considerato in diritto
1. - La norma dell'art. 177 bis del Codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che la formalità dell'avviso di procedimento all'imputato residente all'estero non sospende né ritarda il procedimento, sarebbe, secondo la ordinanza di rimessione, in contrasto col principio di eguaglianza, creando per gli imputati residenti all'estero un trattamento più sfavorevole, non giustificato da una effettiva diversità di situazioni. Poiché, inoltre, l'imputato potrebbe venire a conoscenza del procedimento quando é stato già emesso il decreto di citazione a giudizio, oppure é stato addirittura celebrato il dibattimento, la norma suindicata comprometterebbe il diritto di difesa garantito dal secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, non sembrando all'uopo sufficiente garanzia l'emissione del decreto di cui all'art. 170 del Codice di procedura penale.
2. - La Corte ritiene che la norma impugnata non viola il primo comma dell'art. 3 della Costituzione. Ed invero, il fatto di risiedere all'estero, pone - ai fini che qui interessano - l'imputato in una situazione obiettivamente diversa, la quale, per il principio della territorialità della giurisdizione, determina l'impossibilità di notificargli gli atti nelle forme ordinarie e, quindi, la necessità, per il legislatore, di predisporre discrezionalmente una disciplina particolare, atta a consentire l'esercizio del diritto di difesa. Il che vale a legittimare la norma impugnata. Ed é superfluo aggiungere che il caso in esame presenta aspetti giuridici ben diversi da quello che forma oggetto della sentenza n. 31 del 1965 di questa Corte, riguardante una ingiustificata limitazione alla libertà di scelta del domicilio nel territorio nazionale.
3. - La questione appare invece parzialmente fondata, in riferimento al secondo comma dell'art. 24 della Costituzione. Vanno tenute presenti le ragioni, per le quali, tanto il legislatore del 1913, quanto quello del 1955, che ha riprodotto la norma impugnata, hanno ritenuto che il procedimento non possa essere sospeso né ritardato dalle formalità dell'avviso di esso e della elezione di domicilio nel territorio nazionale. Indiscutibili esigenze processuali non tollerano che in attesa dell'elezione di domicilio da parte dell'imputato, sia paralizzata l'attività del giudice, siano sospese la ricerca e la raccolta delle prove, siano danneggiati altri eventuali imputati, i quali potrebbero trovarsi anche in stato di detenzione preventiva. Appare pertanto legittima la norma la quale afferma, in via generale, che un atto dipendente esclusivamente dalla volontà dell'imputato non possa influire negativamente sul corso del procedimento.
Va tuttavia rilevato che l'avviso di procedimento con invito alla elezione di un domicilio non può essere considerato una pura formalità oppure un semplice monito, ma é destinato a raggiungere determinati, precisi effetti, che possono compendiarsi nel trovare un punto di incontro nel territorio nazionale fra l'autorità procedente e lo stesso imputato al fine di consentire a questo ultimo l'esercizio del diritto di difesa. E poiché tutto ciò richiede un certo tempo, che a volte può essere anche di non breve durata a causa della distanza dello Stato estero in cui il giudicabile si trovi, é evidente che il giudizio - pur non sospendendo la attività istruttoria - non può, senza frustrare gli scopi dell'avviso, emettere immediatamente il decreto di irreperibilità preveduto dall'art. 170 e procedere ad atti cui l'imputato abbia diritto di assistere. Il che trova altresì conferma nella norma del secondo comma dell'art. 177 bis, secondo la quale il giudice non può emettere il decreto di cui all'art. 170 se prima non abbia accertato la mancanza di elezione di domicilio da parte dell'imputato e se, quindi, non sia trascorso un congruo termine dalla spedizione dell'avviso di procedimento. Siffatta esigenza venne riconosciuta anche nel corso dei lavori preparatori della legge del 1955, allorquando fu avanzata la proposta - non accolta - che l'imputato dovesse procedere alla elezione di domicilio entro il termine di trenta giorni.
La Corte non può tuttavia disconoscere che la prescrizione di un termine sia necessaria onde evitare che, sia pure nei casi limite, possano verificarsi gli inconvenienti lamentati dall'ordinanza di rimessione, con grave pregiudizio del diritto di difesa garantito dalla Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale, in riferimento al secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, dell'art. 177 bis del Codice di procedura penale, nei limiti in cui consente al giudice di emettere il decreto di cui all'art. 170 dello stesso Codice, prima che sia trascorso un congruo termine per la elezione di domicilio da parte dell'imputato.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 9 giugno 1967.