SENTENZA N. 60
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 522, prima parte, del Codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1965 dal Pretore di Viterbo nel procedimento civile vertente tra Di Guglielmo Francesco ed altri contro la Società "La Surrina", iscritta al n. 59 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 118 del 14 maggio 1966.
Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1967 la relazione del Giudice Luigi Oggioni.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento per esecuzione mobiliare promosso avanti al Pretore di Viterbo da Di Guglielmo Francesco ed altri contro la Società "La Surrina", opponente, veniva nominata custode dei beni mobili pignorati Della Cà Paola alla quale, non avendone ella fatto richiesta, l'ufficiale giudiziario non riconosceva diritto al compenso, a norma dell'art. 522, primo comma, del Codice di procedura civile. Costei peraltro, nell'ulteriore corso del procedimento, chiedeva la liquidazione del compenso cui si opponevano i creditori procedenti osservando che nulla le era dovuto a norma del citato art. 522, primo comma, del Codice di procedura civile.
Il Pretore, con ordinanza emessa il 23 novembre 1965, sollevava di ufficio questione di legittimità costituzionale della predetta norma, per contrasto non solo col principio informatore della Costituzione secondo cui l'Italia é una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma anche con gli artt. 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, e riconoscono al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità del lavoro svolto.
Osserva il Pretore nell'ordinanza che indubbiamente l'esercizio della custodia comporta da parte del designato un'attività lavorativa per l'espletamento dei compiti di conservazione ed amministrazione dei beni affidatigli, la cui inosservanza, inoltre, induce responsabilità di ordine civile e perfino penale. Il custode pertanto avrebbe diritto al compenso, indipendentemente dalla sua richiesta che, in difetto di espresso interpello da parte dell'ufficiale giudiziario, non potrebbe d'altra parte considerarsi come rinuncia in quanto, nella maggioranza dei casi, sarebbe dovuta ad ignoranza della norma di legge.
Il Pretore poi, motivando sulla rilevanza della questione, ne afferma la pregiudizialità in quanto, contestualmente alla decisione sul procedimento esecutivo, si devono liquidare le relative spese di cui fa parte il compenso al custode.
L'ordinanza, notificata il 22 dicembre 1965 e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 118 del 14 maggio 1966. Non essendovi stata costituzione di parti avanti alla Corte costituzionale, la causa é stata decisa in camera di consiglio, a norma degli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale proposta con l'ordinanza in esame, solleva il dubbio che l'art. 522, prima parte, del Codice di procedura civile, condizionando il compenso al custode di beni mobili pignorati al riconoscimento della relativa spettanza da parte dell'ufficiale giudiziario procedente oltre che all'espressa richiesta del custode stesso, possa essere in contrasto con le norme costituzionali ordinate alla tutela di ogni genere di attività lavorativa e della conseguente retribuzione (artt. 1, 35, primo comma, 36, primo comma, della Costituzione). Per la soluzione di tale questione é indispensabile precisare preliminarmente la figura giuridica del custode di beni sottoposti ad esecuzione forzata e, in particolare, del custode di beni mobili.
L'art. 65 del Codice di procedura civile che fa menzione del custode é collocato sotto il Capo terzo del Libro primo del Codice e, mentre il titolo di questo Libro comprende la categoria generale degli organi giudiziari, il Capo terzo riguarda gli ausiliari del giudice.
Come tale, appunto, deve essere definito il custode: non già mandatario o rappresentante legale del debitore, a questi legato da un rapporto privatistico, ma incaricato dell'esercizio di funzioni a carattere pubblicistico, quale collaboratore dell'ufficio esecutivo a titolo di munus publicum nella conservazione dei beni pignorati.
2. - La ragione del fatto che il compenso al custode di beni mobili pignorati é attribuibile solo in via facoltativa e in misura discrezionale, risiede, secondo la concezione che ha ispirato la corrispondente norma del Codice di rito, nella particolare natura e modalità dell'incarico.
Il principio di facoltatività, già riconosciuto fin dall'art. 603 del precedente Codice di rito ed ora ribadito dall'art. 522, prima parte, é giustificato da quanto leggesi nella relazione del Guardasigilli: cioè mancanza, nella maggior parte dei casi, di alcun apprezzabile onere per i custodi ed esigenza di arginare lamentate pretese di custodi di professione.
D'altra parte, si é anche considerato che l'incarico di custode non può essere imposto ma é subordinato alla accettazione del designato, il quale, soltanto con l'accettazione volontaria, si sottopone alle conseguenze di legge e che, per la particolare fisionomia dell'istituto, il compenso, come può essere richiesto, così può essere anche validamente rinunciato.
3. - Ciò premesso e precisato, occorre accertare se queste ragioni che risultano come giustificatrici della norma di rito, contrastino o meno con i suindicati principi della Costituzione.
La Corte non ravvisa la dedotta incompatibilità.
Con la dichiarazione prima che pone il lavoro a fondamento della Repubblica, si é inteso affermare la preminenza di ogni attività lavorativa nel sistema dei diritti - doveri spettanti ai cittadini. Con le dichiarazioni 35 e 36, comprese sotto il titolo dei "rapporti economici" si é inteso garantire al lavoro, come sopra considerato, ampia tutela ed ai lavoratori subordinati, quale corrispettivo delle loro prestazioni, una retribuzione proporzionata ed in ogni caso sufficiente a soddisfare le esigenze, individuali e familiari, di un'esistenza libera e dignitosa.
La tutela della retribuzione del lavoro di cui all'art. 36, non si adegua al compenso attribuibile al custode di beni mobili pignorati. Tale compenso, infatti, si differenzia, per sua natura, dalla retribuzione, la cui tutela costituzionale ha la finalità, tutta propria, di far corrispondere alle prestazioni da cui il lavoratore debba trarre prevalentemente e continuativamente i mezzi di sussistenza il sufficiente profitto, a differenza dell'attività, del tutto occasionale e temporanea, del custode di beni mobili pignorati.
La questione proposta deve, quindi, dichiararsi non fondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 522, prima parte, del Codice di procedura civile, sollevata con ordinanza del Pretore di Viterbo, in relazione agli artt. 1, 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 5 maggio 1967.