Sentenza n. 55 del 1967
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SENTENZA N. 55

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 2 aprile 1958, n. 322 (Ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai Eni dell'accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza), promosso con ordinanza emessa il 3 novembre 1964 dalla Corte di appello di Bari nel procedimento civile vertente tra Fortunato Saverio e il Banco di Napoli, iscritta al n. 193 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39 del 13 febbraio 1965.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Fortunato Saverio;

udita nell'udienza pubblica del 15 febbraio 1967 la relazione del Giudice Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, che condannava il Banco di Napoli al pagamento di una somma a favore del dott. Saverio Fortunato per residuo indennità relative a cessato rapporto di lavoro, il Tribunale di Bari revocava tale decreto affermando la legittimità della legge 2 aprile 1958, n. 322, la quale impone al Banco stesso l'obbligo di trattenere, nella liquidazione a favore del dott. Fortunato, l'ammontare dei contributi e degli interessi maturati per tutta la durata del periodo di lavoro, da versare all'I.N.P.S. agli effetti pensionistici.

In sede di appello, il dott. Fortunato riproponeva la questione di legittimità costituzionale della suindicata legge, in riferimento al quarto comma dell'art. 81 della Costituzione, in quanto prevederebbe oneri a carico dello Stato, senza indicare i mezzi per farvi fronte. E la Corte d'appello di Bari, con ordinanza del 3 novembre 1964, ritenuta la non manifesta infondatezza della questione e la sua rilevanza agli effetti della decisione, disponeva la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti a questa Corte.

Secondo l'ordinanza, premesso che lo Stato contribuisce alle prestazioni assicurative sociali, nei modi e nei limiti previsti dagli artt. 59 del R.D. L. 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, 35 del R.D. L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, 16 e 31 della legge 4 aprile 1952, n. 218 e 13 della legge 20 febbraio 1958, n. 55, la legge impugnata, ampliando il numero dei lavoratori aventi diritto all'assicurazione per l'invalidità, vecchiaia e superstiti impone allo Stato una maggiore spesa, per la quale non sono indicati i mezzi di copertura.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39 del 13 febbraio 1965. Nel presente giudizio si é costituito il dott. Saverio Fortunato ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Con l'atto di costituzione del 22 dicembre 1964, e con la memoria del 28 gennaio 1967, il dott. Fortunato rileva che lo Stato - nell'esplicazione della sua attività di assistenza sociale - pur avvalendosi dell'opera di diversi enti pubblici, che controlla e dirige, non si spoglia della responsabilità inerente ai suoi doveri, sicché ogni onere ricade sempre, o immediatamente o mediatamente, su di esso. La ripetuta legge, aumentando il numero degli aventi diritto alla assicurazione generale obbligatoria accresce la spesa dello Stato, che deve concorrere negli oneri relativi ai sensi della legge 4 aprile 1952, n. 218, e 20 febbraio 1958, n. 55, ed ai sensi dell'art. 59, primo comma, lett. a del R.D. L. 4 ottobre 1935, n. 1827, che ne concreta il concorso nella quota di lire 100 all'anno per ogni pensione.

L'Avvocatura generale dello Stato ritiene invece che la questione sia infondata. Osserva in primo luogo che il contenuto e la portata dell'unico articolo della legge non sono quelli indicati dalla ordinanza di rimessione: la norma si limiterebbe a prevedere il coordinamento, ai fini pensionistici, della assicurazione generale della previdenza sociale con le posizioni previdenziali già acquisite; ed all'uopo, stabilisce che l'ente il quale deve liquidare una indennità una tantum al dipendente che, al momento della cessazione dal servizio non abbia diritto a pensione, deve trattenere l'importo corrispondente al contributo da versare all'I.N.P.S. per costituire una posizione assicurativa per tutto il periodo di tempo del lavoro prestato.

La norma prevede in astratto un ampliamento del numero dei lavoratori aventi diritto alla assicurazione generale, ma l'onere relativo per lo Stato é meramente ipotetico ed eventuale, siccome connesso alla gestione mutualistica. E non é né immediato né determinabile nell'importo e nei mezzi per farvi fronte in quanto la legge impugnata non dà luogo a prestazioni immediate. Anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, la norma costituzionale circa la indicazione del mezzo di copertura di una nuova spesa presuppone che questa sia determinata, o quanto meno determinabile.

 

Considerato in diritto

 

La Corte ritiene che la legge 2 aprile 1958, n. 322, si inserisce nel complesso delle norme della gestione della previdenza sociale, senza un contenuto innovativo rispetto alle precedenti leggi di spesa, e che quindi non sussiste la denunziata violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione.

L'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti é obbligatoria per tutte le persone di una determinata età, che prestano lavoro retribuito alle dipendenze di altri, con esclusione soltanto di alcune categorie espressamente indicate dal R.D. L. 14 aprile 1939, n. 636 (artt. 3 e 4), convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272. Nel caso di particolari trattamenti di quiescenza o di previdenza, é previsto l'esonero dall'obbligo della assicurazione generale, da concedersi con decreto ministeriale, e sottoposto a varie condizioni, fra le quali quella "che sia stabilito il trasferimento all'assicurazione obbligatoria dell'intera riserva matematica relativa ai contributi dell'assicurazione stessa nei casi di cessazione dalla iscrizione o di soppressione della cassa, fondo o gestione speciale" (art. 28 del R.D. L. n. 636 del 1939, modificato dalla legge n. 1272 del 1939). In altri termini, poiché la detta assicurazione ha per scopo l'assegnazione di una pensione agli assicurati nel caso di invalidità o di vecchiaia, e di una pensione ai superstiti nel caso di morte dell'assicurato o del pensionato, con le norme sopraindicate si intende assicurare la pensione anche ai lavoratori dipendenti da enti esonerati, qualora le forme sostitutive di previdenza non garantiscano un trattamento pensionistico. Ed, in applicazione di siffatti principi, la legge impugnata coordina le due posizioni assicurative, ricongiungendo quella sostitutiva alla assicurazione generale, mediante il versamento alla previdenza sociale dei contributi relativi a tutto il periodo del cessato rapporto di lavoro. Il datore di lavoro deve detrarre l'ammontare di tali contributi dalle indennità spettanti al dipendente al momento della cessazione del rapporto per effetto del trattamento sostitutivo. Appare pertanto evidente che questa legge non ha un contenuto nuovo o diverso dalle precedenti previsioni legislative, ma si limita a dare una particolare regolamentazione, rientrante nella gestione della previdenza sociale e nelle previsioni economiche finanziarie della stessa.

Occorre altresì considerare che l'aumento del numero degli iscritti all'assicurazione generale non é, di per sé solo, elemento decisivo al fine della indagine per accertare se la legge in esame sia generatrice di una nuova spesa per l'Erario. Ed invero tale numero é soggetto a continue variazioni, incerte ed imprevedibili, in aumento o in diminuzione, per il continuo affluire di nuovi assicurati come per i diversi eventi che seguono le vicende della vita di costoro, onde, nella grande massa degli iscritti, si verificano compensazioni, in virtù delle quali le differenze eventuali di spesa perdono di rilevanza. Comunque, per le ragioni esposte sopra, il contributo dello Stato per il futuro eventuale trattamento pensionistico é da ritenersi già compreso nelle previsioni di spese contenute nelle leggi sopraindicate del 1939, rientrando nei complessi rapporti generali fra Stato e Istituto della previdenza sociale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'unico articolo della legge 2 aprile 1958, n. 322 (Ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai fini dell'accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza) proposta con ordinanza della Corte d'appello di Bari del 3 novembre 1964, in riferimento all'art. 81, comma quarto, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

 

 

Depositata in cancelleria il 5 maggio 1967.