SENTENZA N. 44
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 4 maggio 1966, recante "Marchio di qualità e propaganda dei prodotti siciliani", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana notificato l'11 maggio 1966, depositato in cancelleria il 21 successivo ed iscritto al n. 12 del Registro ricorsi 1966.
Visto l'atto di costituzione della Regione siciliana;
udita nell'udienza pubblica del 18 gennaio 1967 la relazione del Giudice Costantino Mortati;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il ricorrente, e l'avv. Enzo Silvestri, per la Regione Siciliana.
Ritenuto in fatto
L'Assemblea regionale siciliana ha approvato, nella seduta del 4 maggio 1966, un disegno di legge, con il quale, fra l'altro, si consente all'assessore regionale per l'industria ed il commercio di autorizzare l'applicazione di apposito "marchio di qualità" sui prodotti siciliani e si predispongono i controlli, da effettuare sui luoghi di produzione e di consumo, dei prodotti così qualificati, giovandosi all'uopo, mediante apposite convenzioni, della opera degli organi statali o di enti pubblici più idonei ad accertare la rispondenza dei prodotti stessi alle caratteristiche di qualità garantite dal marchio.
Con tempestivo ricorso il Commissario dello Stato presso la Regione ha impugnato la legge predetta, nella considerazione: a) che essa viola i limiti di efficacia della potestà legislativa regionale, per effetto dei riflessi che determina al di là del territorio della Regione, richiedendo controlli da esperire nei luoghi di consumo mediante l'utilizzazione di uffici statali, mentre questi, per loro natura, non possono perseguire interessi particolari di singole regioni; b) che provvede a disciplinare rapporti commerciali della Regione con l'estero, materia che esula dalla competenza regionale; c) che non determina con sufficiente precisione le modalità per l'uso del marchio regionale e per l'esercizio dei controlli, così da compromettere l'unitarietà della regolamentazione dei marchi, che, specie riguardo al commercio con l'estero, é necessario per assicurare un'efficace tutela dei prodotti nazionali negli altri Stati; d) che é tale da determinare altresì violazione del principio dell'imparzialità dell'amministrazione e dell'eguaglianza del trattamento. Conclude chiedendo che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge impugnata.
Il ricorso, debitamente notificato l '11 maggio e depositato nella cancelleria della Corte il 21 dello stesso mese, é stato pubblicato nel n. 143 della Gazzetta Ufficiale e nel n. 28 della Gazzetta regionale, nello stesso giorno 11 giugno 1966.
Nel giudizio avanti alla Corte si é costituita la Regione, rappresentata e difesa dall'avv. Enzo Silvestri, che con deduzioni depositate il 6 giugno ha anzitutto fatto rilevare come l'art. 14, lett. d ed e, dello Statuto siciliano attribuisce alla Regione potestà legislativa esclusiva in materia di valorizzazione e difesa dei prodotti agricoli e industriali e delle attività commerciali, materia nella quale rientrano le norme di cui alla legge impugnata. Rileva inoltre che la Regione sarda, pur non godendo di una analoga specifica potestà in materia, ha già istituito un marchio ufficiale per i prodotti dell'artigianato sardo, sicché deve ritenersi che l'impugnativa non sia rivolta contro il potere della Regione di istituire e disciplinare marchi di qualità sui prodotti dell'Isola, bensì solo contro una presunta sua estensione oltre l'ambito della Regione. Ma tale censura é il risultato di un'errata valutazione della natura giuridica e della vigente disciplina dei marchi di qualità. Infatti il R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (comprendente nella disciplina dei brevetti per marchi di impresa pure quella dei marchi collettivi, in quanto applicabile), stabilisce che la registrazione di questi ultimi possa essere ottenuta anche da enti o associazioni legalmente riconosciute (art. 2); dizione nella quale sono da fare rientrare pure gli enti pubblici, secondo é confermato altresì dal disposto dell'art. 22, in base al quale é consentito l'acquisto della titolarità dei marchi collettivi da parte di amministrazioni dello Stato, delle province o dei comuni: dal che argomenta che di tale norma possano beneficiare anche le Regioni, senza che a ciò si opponga la violazione del limite territoriale. Risulta poi dalle disposizioni richiamate che l'efficacia giuridica dei marchi di qualità é subordinata ai procedimenti di brevettazione o di registrazione, e quindi trova fondamento non già nella volontà dei soggetti o enti che li istituiscono bensì nella legge. Proprio in aderenza a tale principio l'art. 10 della legge impugnata impone all'ufficio regionale del marchio di richiedere la registrazione dei marchi "secondo le norme di legge in materia, sia agli effetti nazionali che internazionali". Pertanto il marchio regionale di qualità potrà ottenere la necessaria registrazione, e con essa, l'effettivo rilievo giuridico, solo se gli uffici statali preposti a tale compito riscontreranno la corrispondenza del marchio stesso ai requisiti e prescrizioni (anche se relative al materiale documentale) richiesta dalla legge citata. Tenuto conto di ciò, si deve ritenere che, pel conseguimento dei risultati voluti perseguire dalla Regione, non sarebbe stata necessaria l'emanazione di apposita legge; sicché, se si é fatto ricorso ad essa, ciò é avvenuto solo per l'esigenza di organizzare gli appositi uffici regionali, in osservanza degli artt. 97 della Costituzione e 14, lett. p, dello Statuto siciliano.
Le stesse considerazioni sono sufficienti, ad avviso della difesa della Regione, a mostrare l'infondatezza della censura con cui si contesta il potere della Regione di disciplinare i rapporti commerciali con l'estero, e così pure l'altra relativa all'attività di gestione ed a quella di controllo dei marchi, per la quale si denuncia l'utilizzazione di uffici statali da parte della Regione, perché tale utilizzazione si riferisce ad enti distinti dall'organizzazione dello Stato, ed in ogni caso é prevista solo in via eventuale, su base convenzionale, e quindi rimane subordinata al consenso dei medesimi, nei limiti in cui esso é reso possibile dalle norme che li disciplinano. Rileva infine che la partecipazione ad organi collegiali regionali di titolari di organi burocratici statali, o la possibilità di avvalersi di uffici statali da parte della Regione siciliana é previsto da numerose leggi della medesima, ed é stato sempre ritenuto conforme alla Costituzione. Nella specie esso, mentre giova a garantire il regolare ed imparziale espletamento delle funzioni regionali, offre la conferma di quanto prima sostenuto circa la estraneità della Regione al diretto espletamento di compiti fuori del suo territorio. Conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
Con note prodotte il 4 gennaio 1967 la difesa della Regione ribadisce i motivi già fatti valere avverso l'impugnativa, ed insiste nelle conclusioni già prese.
Si é costituito anche il Commissario dello Stato per la Regione siciliana rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, con deduzioni depositate il 5 gennaio, ha illustrato la fondatezza dei vari motivi del ricorso, facendo in particolare rilevare, per quanto riguarda il commercio con l'estero, che esso é riservato all'apposito dicastero, cui compete in modo esclusivo ogni specie di attribuzioni riguardanti tale materia, quali che ne siano i soggetti interessati, anche se pubbliche amministrazioni (con la sola salvezza delle attribuzioni del Ministero degli esteri). Aggiunge che non vale allegare il carattere convenzionale che, secondo la legge regionale, dovrebbero assumere i rapporti fra la Regione e l'Istituto nazionale pel commercio con l'estero, perché, data la natura pubblicistica di questo ultimo, non si rende possibile alla legge regionale di estenderne la competenza, come avverrebbe se si consentisse il potere, dalla medesima previsto, di stipulare con esso convenzioni per la diffusione all'estero di prodotti siciliani.
Mette infine in rilievo un terzo profilo di invalidità che si fa consistere nell'incidenza delle norme della legge denunciata sul regime di diritto privato. Ciò perché la legge stessa, pur richiamandosi alle norme vigenti in materia, fissa alcuni principi che contrastano con i diritti attribuiti ai singoli in materia di marchi dall'art. 2569 del Codice civile, in quanto dispone che la revoca dell'autorizzazione all'uso del marchio possa venire disposta dall'assessore regionale, mentre le norme generali in materia non prevedono quale motivo di revoca la sopravvenuta mancata rispondenza dei prodotti alle qualità originarie, ed in ogni caso, affidano al giudice ogni pronuncia al riguardo. Conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1. - La difesa della Regione assume che la legge denunciata, lungi dall'essere produttiva degli effetti di ultraterritorialità o di interferenza nei poteri propri dello Stato che il ricorso le addebita, ha una portata puramente interna, sicché gli scopi dalla medesima perseguiti si sarebbero potuti realizzare anche per opera di un semplice provvedimento amministrativo, mentre il ricorso alla forma legislativa é stato reso necessario per ottemperare alla prescrizione dell'art. 97 della Costituzione, dato che si doveva dar vita all'istituzione di nuovi uffici regionali. Per valutare la fondatezza di tale tesi si rende necessario ricercare la fonte dalla quale sia da far derivare il potere rivendicato per sé dalla Regione e gli effetti conseguibili dal suo esercizio. É da escludere che tale potere discenda dall'art. 14, lett. e, dello Statuto siciliano, come dalla difesa stessa si sostiene, in modo che sembra contrastante con le stesse premesse del suo ragionamento.
Infatti la disciplina dei marchi (assunto questo termine in un senso generico, comprensivo dei vari istituti designati dalla vigente legislazione con denominazioni molteplici, come quelle di marchi di impresa, marchi collettivi, denominazioni di origine, o denominazioni di provenienza, e con funzioni in parte diverse, e cioè o prevalentemente di tutela dei produttori contro la concorrenza sleale, o invece di certificazione della qualità del prodotto avente lo scopo, almeno in via principale, di garanzia del consumatore), non può che essere disposta in modo unitario, sul piano nazionale, anche per i riflessi che essa ha nel commercio internazionale ed in quello comunitario, e quindi deve trovare regolamentazione esclusiva per opera delle autorità statali. Consegue da ciò che la citata disposizione statutaria non abilita la Regione a disporre un'autonoma regolamentazione dei marchi in parola, neppure con efficacia limitata al suo ambito territoriale, visto che la Regione stessa non costituisce un mercato chiuso, ma invece aperto alla libera circolazione dei prodotti di tutte le Regioni che devono trovarvi protezione sulla base di una disciplina uniforme. Nessuna influenza può esercitare sull'interpretazione accolta il riferimento della difesa regionale all'art. 2, lett. g, dello statuto dell'istituto sardo di organizzazione del lavoro artigiano, approvato con la legge regionale 2 marzo 1957, n. 6, che consente all'istituto stesso di istituire un marchio ufficiale per i prodotti dell'artigianato, ai sensi dell'art. 6 del R.D.L. 13 agosto 1926, n. 1490, perché (a prescindere dalla considerazione che l'incostituzionalità in cui eventualmente possa ritenersi incorsa una legge non impugnata avanti alla Corte non può incidere sul giudizio ch'essa é chiamata a dare su norme che possono ritenersi di contenuto analogo) anche per tale disposizione debbono valere le considerazioni prima formulate, ed i limiti alla potestà regionale che da esse discendono.
2. - L'art. 14, lett. e, può pertanto venire in considerazione, per ciò che attiene alla materia che é oggetto della legge impugnata, solo in quanto attribuisce alla Regione la cura del conseguimento di quelle finalità di tutela e di valorizzazione dei prodotti agricoli e industriali dell'Isola, che formano il presupposto necessario affinché si possa conferire ad enti, anche pubblici, la facoltà di ottenere marchi collettivi, secondo la precisa prescrizione dell'art. 2 della legge 21 giugno 1942, n. 929. Presupposto che può ritenersi realizzato anche nei casi, come quello in esame, che la tutela dei prodotti non costituisca il fine esclusivo affidato istituzionalmente all'ente, ma concorra anche con altri fini. Non é quindi da escludere che la Regione, quale titolare dell'interesse voluto assicurare dal citato art. 14, lett. e, possa ritenersi abilitata a richiedere in nome proprio, "brevetti per appositi marchi", ai sensi dell'art. 2 della legge n. 929 del 1942, per poi concederne l'uso a produttori o commercianti. Ma la condizione necessaria a realizzarsi per rendere valida l'assunzione di tale compito é che la Regione agisca ponendosi su un piano di assoluta parità con qualsiasi altro ente o associazione cui fa riferimento il citato art. 2. Posizione di parità che importa precise conseguenze, delle quali occorre rendersi esatto conto, perché all'accertamento della verificabilità delle medesime é legata la pronuncia sull'impugnativa.
La prima di tali conseguenze riguarda il carattere del tutto volontario dell'adesione delle singole imprese alla iniziativa regionale. Se é vero che, a tenore dell'art. 22 della legge citata, anche enti pubblici possono ottenere brevetti per marchi, é altrettanto vero che essi sono presi in considerazione non già nella loro veste pubblicistica, ma in quanto risultino essere assuntori in modo diretto di attività imprenditoriali (come nel caso che richiedano marchi di impresa), oppure rappresentanti di gruppi di produttori interessati alla tutela di dati prodotti. L'articolo 2570 del Codice civile, quando menziona, accanto alle imprese "associate", quelle "dipendenti", quali possibili beneficiarie di marchi collettivi ottenuti da enti o da associazioni, non presuppone la sussistenza di un rapporto di dipendenza di indole pubblicistica, ma ha riguardo alle imprese create direttamente dagli enti o dalle associazioni medesime, e ad esse in tal modo collegate da porsi in una situazione non diversa da quella rivestita dai produttori "appartenenti" agli enti, cui fa riferimento l'art. 2 della legge n. 929.
Rimane quindi confermata la mancanza nella Regione di qualsiasi potere di coazione sui produttori per indurli a richiedere la protezione da essa organizzata (ciò che del resto risulta testualmente dall'art. 5 della legge denunciata, che condiziona l'attività degli organi regionali alla "richiesta" degli enti e ditte interessate); e parimenti dell'altro potere di assumere le attività previste dalle leggi medesime in regime di monopolio, precludendo ad altre associazioni o enti la possibilità di costituirsi allo scopo di realizzare, per determinati prodotti, gli stessi fini che essa si propone, promuovendo le procedure dirette ad ottenere il riconoscimento di propri marchi.
Inoltre la necessaria conformità dell'attività della Regione ad ogni specie di modalità prescritta dalle leggi nazionali per potere ottenere la registrazione del marchio proposto, e, con esso, l'attribuzione del controllo rivolto a garantire il possesso dei requisiti di qualità dei prodotti secondo la finalità propria dei marchi collettivi e di quelli di origine, importa che si predisponga un apposito "statuto", che, a tenore dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 929 del 1942 e dell'art. 9 del regolamento 8 maggio 1948, n. 795, deve essere allegato alla domanda di concessione del brevetto da presentare all'ufficio centrale dei brevetti. Tale "statuto" dovrà ovviamente regolare l'apposita struttura organizzativa dell'ente che si ritenesse di dover creare, ed in confronto al quale la Regione verrebbe ad assumere funzioni di promotore. Che se invece essa intendesse gestire in proprio siffatto compito si renderebbe sempre necessaria la predisposizione di un corpo organico di norme comprendenti, oltre all'apposito ordinamento nel quale siano rappresentati gli associati, la determinazione delle condizioni relative all'ammissione dell'uso dei marchi, nonché dei diritti e dei doveri degli associati medesimi.
3. - Analoghe esigenze di conformità alle norme generali in materia conducono a far ritenere che, tenuta presente la diversità della disciplina dei marchi e delle denominazioni, secondo la diversità dei prodotti, non si potrà aspirare ad ottenere un unico marchio per qualsiasi specie di prodotto. Infatti (pure ammesso che tutti i prodotti che siano oggetto dei marchi collettivi richiesti in virtù dell'iniziativa regionale possano recare un contrassegno attestante la loro provenienza dalla produzione siciliana), non solo non si potranno in nessun modo apportare modifiche alle denominazioni di prodotti tipici della stessa Regione siciliana i quali siano già oggetto di apposite leggi protettive (come quelle relative al "marsala", o al "moscato di Pantelleria"), ma si dovrà curare l'adeguazione alle particolari discipline imposte dalle norme generali le quali si propongono di fornire tutele specifiche differenziate riguardo a singoli prodotti, oppure a specie tipizzate diverse di uno stesso prodotto, mediante l'apposizione di marchi descritti dalle norme stesse. così é da dire, a titolo esemplificativo, per quanto riguarda la tutela dei vini tipici designati con denominazioni di origine. Appare chiaro che essa debba, anche nei confronti dei vini siciliani, effettuarsi con l'osservanza del decreto presidenziale delegato 12 luglio 1963, n. 930, sotto il riguardo sia della distinzione tra le varie categorie di denominazioni (art. 2), sia degli obblighi da sancire nei disciplinari (art. 5), sia del provvedimento necessario ad ottenere il riconoscimento di quelle fra le denominazioni per le quali é richiesta la previa adesione di un numero minimo di produttori (art. 6, terzo comma), il parere preventivo del comitato nazionale per la tutela delle denominazioni stesse (art. 17), nonché l'emanazione di apposito decreto del Capo dello Stato (art. 4); e sia infine delle modalità di immissione al consumo, quando a tal fine sia richiesta l'apposizione sui recipienti di un "contrassegno di Stato" completato con la denominazione di origine. Anche il controllo, ai fini perseguiti dalla legge richiamata, potrà essere assunto dall'ente, o dagli enti promossi dalla Regione, o eventualmente da quest'ultima, solo alle condizioni previste dall'art. 21, e previo apposito decreto del Ministro dell'agricoltura. Analoghe considerazioni sono da far valere: a) per i prodotti regolati dalla legge n. 864 del 1938, che impone l'apposizione di un marchio nazionale per la frutta fresca e secca, degli agrumi e degli ortaggi destinati all'esportazione, per i quali si richiede il possesso dei requisiti di qualità selezione, condizionamento ed imballaggio, da determinarsi con decreto ministeriale, previo parere dell'istituto pel commercio con l'estero, che potrà anche deferire i controlli a determinati soggetti, sui quali incombe l'obbligo di riferire agli organi centrali. Ed é chiaro che anche in questo caso la denominazione di origine siciliana potrebbe essere consentita solo ad integrazione del disegno stabilito pel marchio nazionale; b) per i formaggi per i quali sia richiesta la tutela delle denominazioni di origine e tipiche, possibile ad essere accordata nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge 10 aprile 1954, n. 125, con decreto del Capo dello Stato, su parere del comitato nazionale costituito al fine della tutela predetta, cui competono i controlli relativi, suscettibili di venire trasferiti ad altri enti solo in virtù di apposito provvedimento.
4. - Precisati così i presupposti e le condizioni cui rimane subordinata la facoltà di richiedere marchi collettivi e di concederne l'uso, si tratta ora di accertare se l'atto normativo denunciato contenga disposizioni che vi contrastino e che possano far ritenere fondate le censure denunciate nel ricorso.
Rilievo fondamentale riveste, sotto tale riguardo, il secondo comma dell'art. 10 il quale dispone che la registrazione del marchio é effettuata a cura dell'ufficio "secondo le vigenti norme in materia, sia agli effetti nazionali che a quelli internazionali". Poiché la registrazione é l'atto costitutivo dal quale solamente derivano gli effetti relativi all'uso legittimo del marchio, e poiché non può effettuarsi se non a patto di seguire tutto il procedimento, qual é regolato dal titolo III della legge, e che ha inizio con la presentazione della domanda all'ufficio centrale dei brevetti, ne discende che la disciplina dettata dalla legge regionale nessun altro rilievo giuridico può assumere se non quello di predisposizione, di carattere meramente interno, delle attività necessarie a rendere possibile la presentazione di una valida domanda per l'ottenimento di marchi collettivi. così essendo (né potendo esser altrimenti se non a patto di far ritenere le norme regionali inutiliter datae), le formule che in queste si leggono relative al potere dell'assessore di "autorizzare" l'applicazione del marchio, o di revocarla, o di decidere i ricorsi avverso il rifiuto di autorizzazione o la revoca, riguardano facoltà esercitabili nei confronti dei produttori che, per loro spontanea iniziativa, entrano a far parte dell'organizzazione che fa capo all'ente titolare del marchio medesimo, e che sono tali da inerire ad ogni struttura organizzativa, comunque costituita, che persegua i fini dell'art. 2 della legge del 1942. Pertanto nessun fondamento può riconoscersi a quella parte dell'impugnativa dello Stato che sembra denunciare l'imposizione a carico dei produttori isolani di un trattamento differenziato rispetto a quello delle altre Regioni, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, e ciò perché i diritti e doveri dei quali essi divengono titolari, in virtù della loro volontaria adesione all'organizzazione concessionaria del marchio collettivo e della sottoscrizione del disciplinare che regola la loro posizione, non possono contrastare con i principi vigenti in materia, e ricevono comunque la comune tutela da parte dei competenti organi giurisdizionali, ordinari ed amministrativi.
Le stesse considerazioni sono invocabili per contestare l'esattezza di quei rilievi del ricorso che imputano alla legislazione regionale la non rispondenza ai requisiti di precisione circa la determinazione delle qualità dei prodotti, dato che tale determinazione può essere oggetto solo di proposta da parte della Regione, mentre la decisione finale in ordine ad essi compete all'ufficio centrale dei brevetti, o, in caso di ricorso della Regione o di terzi, alla commissione dei ricorsi, di cui all'art. 53 della legge sui marchi, che in materia esercita funzioni di giurisdizione speciale.
5. - Allo stesso modo infondato si deve ritenere il motivo con cui si denuncia il vizio di ultraterritorialità. Ciò é chiaro ove detta censura voglia riferirsi al fatto della circolazione nel territorio nazionale dei prodotti muniti del marchio di origine siciliano, dato che essa avviene in virtù dello stesso titolo valevole per ogni altra specie di marchio. Ma egualmente priva di fondamento appare quando si rivolge contro quella parte dell'art. 5 che prevede l'espletamento di controlli nei luoghi ove si effettua il consumo dei prodotti medesimi mediante l'utilizzazione di uffici statali o di enti pubblici. Si potrebbe giungere a diversa conclusione solo se la disposizione richiamata pretendesse di affidare agli uffici predetti l'esercizio di poteri d'indole pubblicistica, mentre ciò é escluso dal suo tenore letterale da cui risulta che l'assunzione dell'incarico di esercitare i controlli nell'interesse della Regione rimane subordinata alla stipulazione di apposite "convenzioni" con gli uffici e gli enti medesimi. E poiché il controllo in parola non ha altro oggetto se non la raccolta di notizie e l'espletamento di accertamenti tecnici, nessun ostacolo si oppone che esso, anziché da privati, come pure sarebbe possibile, venga effettuato da enti pubblici, sempre che le norme che ne regolano le funzioni consentano loro l'assunzione di tale specie di compiti. Non é poi superfluo aggiungere che ulteriore condizione per l'espletamento dei controlli in parola (valevole, del resto, anche per quegli altri che sono esercitati nello stesso ambito interno della Regione) é l'assenza di norme generali imperative che consentano il loro esercizio solo a determinati soggetti e lo sottopongono a determinate modalità.
6. - Maggiore pregio non può riconoscersi alla doglianza che si rivolge contro una presunta invasione della Regione nella materia riguardante i rapporti commerciali con l'estero. A parte la considerazione che manca alla Regione la soggettività di diritto internazionale, che sarebbe il presupposto per dare concreta efficacia alla regolamentazione della materia stessa, e che inoltre essa non può non rimanere vincolata, in ogni loro parte, alle convenzioni stipulate dallo Stato con altri Stati per la disciplina dei marchi (e così, per esempio a quella di Lisbona, relativa alle denominazioni di origine ed alla loro "registrazione internazionale"), nonché agli eventuali accordi con la comunità economica europea, e che pertanto nessun pregiudizio può derivare dalla legge denunciata all'unitarietà della disciplina del commercio estero dello Stato, che il ricorso ritiene possa risultare compromessa, sta di fatto che anche i controlli per i quali si prevede il ricorso alla collaborazione dell'Istituto pel commercio con l'estero, alla pari di quelli da affidare ad enti o ad uffici all'interno dello Stato, si rendono possibili solo se e nella misura in cui si realizzi l'intervento ministeriale di cui all'art. 1, ultimo comma, del D. L. C. P. S. 2 gennaio 1947, n. 8.
Attribuendo tale disposizione all'Istituto predetto tutti i compiti che il Ministro del commercio con l'estero ritenga dovergli affidare, é chiaro che la Regione potrebbe giovarsi dell'opera del medesimo solo dietro apposito consenso del Ministro predetto, e sempre limitatamente a quelle stesse attività di informazione e di accertamento prima menzionate (fra le quali rientrano le indagini di mercato previste dall'art. 15), da svolgersi quindi senza che dal loro esercizio derivi un qualsiasi ampliamento delle attribuzioni e dei poteri propri dell'Istituto stesso. Con più forte ragione le precedenti considerazioni sono da far valere per le campagne pubblicitarie e propagandistiche cui fa riferimento l'art. 17, poiché per l'assunzione di siffatte attività da parte dell'Istituto basta l'intesa con le amministrazioni interessate (art. 1, secondo comma) fra le quali devono ritenersi comprese anche quelle regionali.
La conclusione alla quale si deve giungere é dunque che le eccezioni rivolte contro la validità della legge, quando questa venga valutata nella sua esatta portata ed efficacia, sono da ritenere prive di fondamento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, ai sensi di cui in motivazione, la questione proposta dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con ricorso notificato l'11 maggio 1966 sulla legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 4 maggio 1966, concernente "Marchio di qualità e propaganda dei prodotti siciliani".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 18 aprile 1967.