SENTENZA N. 14
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 108 del D.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, recante "Norme per la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio dei mosti, vini ed aceti", promossi con due ordinanze emesse il 17 ed il 22 settembre 1966 dal Pretore di Lugo nei procedimenti penali a carico di Piazza Giovanni e di Bertazzoli Dino e Gaspare, iscritte ai nn. 209 e 210 del Registro ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 229 del 26 novembre 1966.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 18 gennaio 1967 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Il Pretore di Lugo, con ordinanze di identico contenuto emesse il 17 e il 22 settembre 1966, notificate come per legge e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 26 novembre 1966, emesse nel corso di due distinti procedimenti penali a carico di Piazza Giovanni e di Bertazzoli Dino e Gaspare, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell'art. 108 del D.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, il quale dispone che il giudice, nel pronunciare la condanna, ne ordina la pubblicazione almeno su due giornali.
La legge di delegazione 9 ottobre 1964, n. 991, all'art. 2, ha soltanto genericamente previsto che con il decreto verranno stabilite le sanzioni penali per le infrazioni alle norme in esso previste. Con tale disposizione - si rileva nell'ordinanza - veniva concesso al Governo di scegliere tra le normali sanzioni penali e non anche tra quelle che - come la pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna - devono essere, caso per caso, tassativamente indicate dalla legge secondo il principio stabilito dall'art. 36 del Codice penale.
Che, del resto, la delega escludesse la comminazione di pene accessorie risulterebbe anche dal fatto che la legge, mentre non prevede tali pene, contempli espressamente la chiusura degli esercizi e la sospensione e la revoca delle licenze.
Pertanto, l'art. 108, nel comminare la pena accessoria della pubblicazione, avrebbe ecceduto i limiti della delega, in contrasto con l'art. 76 della Costituzione.
L'Avvocatura dello Stato, intervenuta nel giudizio, con memoria depositata il 15 dicembre 1966, ha sostenuto in primo luogo che la pubblicazione disposta dal denunziato art. 108 avrebbe natura risarcitoria della frode perpetrata in danno della collettività dei consumatori.
Comunque, il fatto che la legge delegante abbia stabilito i limiti massimi delle pene pecuniarie e detentive non induce a ritenere che la legge avrebbe delegato il Governo a stabilire soltanto pene principali e non anche pene accessorie. Poiché le une e le altre sono previste quali pene dagli articoli 17 e 19 del Codice penale, si deve ritenere che, in virtù della citata disposizione, secondo cui il Governo poteva stabilire "sanzioni penali", nella delega deve ritenersi legittimamente compreso anche il potere di comminare pene accessorie.
Considerato in diritto
La questione non é fondata.
La norma che, secondo l'art. 36 del Codice penale, deve determinare i casi di pubblicazione della sentenza di condanna, che non sia quella dell'ergastolo, può bene essere contenuta in una legge delegata. L'essenziale é che questa non ecceda i limiti della delega e sia valida sotto ogni altro aspetto. Ed é l'unica indagine da compiere ai fini del giudizio di legittimità costituzionale sottoposto alla Corte.
Nell'ordinanza si deduce che la norma denunziata sarebbe illegittima perché la legge delega non avrebbe previsto la comminazione di pene accessorie in quanto non avrebbe fatto alcuna menzione di tali sanzioni, anzi le avrebbe escluse, come si evincerebbe anche dalla considerazione che, mentre non si é accennato alla pubblicazione delle sentenze, sono state espressamente previste misure particolari, quali la chiusura degli esercizi e la sospensione o la revoca delle licenze.
La Corte osserva che nelle questioni del genere non possono valere canoni generali, ma bisogna interpretare caso per caso la volontà del legislatore delegante. E pertanto, mentre da una parte non si può negare valore all'argomento addotto dall'Avvocatura dello Stato nel senso che le pene accessorie possono considerarsi comprese nell'ambito della delega quando questa si riferisca genericamente alle pene o alle sanzioni penali, d'altra parte questo criterio d'interpretazione non può essere assunto come regola assoluta valevole in tutti i casi.
Nella specie sussistono valide ragioni per ritenere che nell'espressione sanzioni penali, usata nell'art. 2 della legge 9 ottobre 1964, n. 991, rientri anche la pena accessoria della pubblicazione della sentenza.
Nella complessa legislazione riguardante l'igiene degli alimenti la pubblicazione della sentenza di condanna é una sanzione che da molto tempo fa parte del sistema. Basti ricordare, fra altre analoghe disposizioni, l'art. 61 del R.D. L. 15 ottobre 1925, n. 2033, sulla repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario, e l'art. 4 della più recente legge 26 febbraio 1963, n. 441, sulla disciplina igienica della produzione e della vendita degli alimenti, cui si può aggiungere, nella specifica materia qui considerata - anche per mostrare l'anzianità di queste sanzioni - l'art. 22 del D. L. L. 12 aprile 1917, n. 729, contenente disposizioni per la preparazione, la vendita ed il commercio dei vini.
La pubblicazione della sentenza é uno strumento assai efficace ai fini della prevenzione e della repressione delle attività criminose in materia alimentare, giacché uno dei costanti obiettivi da raggiungere é quello di mettere in guardia il pubblico e specialmente la massa dei consumatori.
Non può, dunque, ritenersi che il legislatore, conferendo la delega, non avesse compreso nella espressione "sanzioni penali", una pena accessoria tradizionale e necessaria.
Né vale a scuotere questa considerazione il fatto che la legge, mentre non ha parlato di pubblicazione della sentenza, ha fatto espresso cenno di altre misure repressive. Questo argomento non é probante, giacché non sempre la inclusione di una previsione indica che un'altra previsione sia stata esclusa. Del resto, poiché le altre misure repressive corrispondono solo in parte ai tipi di pena accessoria previsti dal Codice penale, non sarebbe bastata la menzione delle sanzioni penali per comprendervi anche le dette misure. Con ciò la Corte non vuoi risolvere la questione - non rilevante in questa sede - circa il carattere di tali misure, ma vuole semplicemente trarre un argomento per dimostrare che la specifica previsione di esse era necessaria, mentre tale necessità non si presentava per la pena accessoria della pubblicazione della sentenza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 108 del D.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, contenente norme per la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio dei mosti, vini ed aceti, in relazione all'art. 2 della legge 9 ottobre 1964, n. 991, ed in riferimento all'art. 76 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 febbraio 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 9 febbraio 1967.