SENTENZA N. 118
ANNO 1966
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso dal Presidente della Regione Trentino-Alto Adige con ricorso notificato il 23 agosto 1965, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 26 successivo ed iscritto al n. 20 del Registro ricorsi 1965, per conflitto di attribuzione tra la Regione Trentino-Alto Adige e lo Stato sulla spettanza del potere di dichiarazione di pubblica utilità, nonché di indifferibilità ed urgenza, delle opere relative alla costruzione, da parte dell'E.N.E.L. di un elettrodotto nella Provincia di Bolzano.
Udita nell'udienza pubblica del 26 ottobre 1966 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;
udito l'avv. Mario Barbato, per la Regione Trentino-Alto Adige.
Ritenuto in fatto
Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 23 agosto 1965, il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, in conformità di delibera della Giunta regionale 5 agosto 1965, n. 1384, ha chiesto a questa Corte il regolamento di un conflitto di attribuzioni sorto tra la Regione e lo Stato per effetto della comunicazione fatta alla Giunta provinciale di Bolzano dall'ingegnere capo del Genio civile di quella provincia con nota dell'11 giugno 1965, n. 6096/E/581, della quale invano il Presidente della Regione aveva chiesto la revisione rivolgendosi, con nota del 7 luglio 1965, n. 643/P/Pres., all'autore della comunicazione e al Ministero dei lavori pubblici.
Con l'anzidetta nota l'ufficio del Genio civile di Bolzano, con riguardo alla costruzione di una linea elettrica della tensione di 220 chilovolts progettata dall'Ente nazionale per l'energia elettrica (E.N.E.L.) per la trasmissione di energia da una centrale a un'altra, nella Provincia di Bolzano, e in riferimento alla pretesa del Presidente della Giunta provinciale, cui l'E.N.E.L. si era rivolto per ottenere la dichiarazione di pubblica utilità delle opere, di avere competenza anche in ordine al rilascio della dichiarazione di urgenza e indifferibilità delle stesse (nota 3 maggio 1965, n. 9529/TV/f), precisava che, ai sensi dell'art. 9 del sopravvenuto D.P.R. 18 marzo 1965, n. 342, i decreti di autorizzazione degli elettrodotti dell'E.N.E.L. "hanno efficacia di dichiarazione di pubblica utilità nonché di indifferibilità ed urgenza delle opere relative", onde "anche la istruttoria relativa al riconoscimento di pubblica utilità relativa all'elettrodotto in oggetto dovrà seguire le nuove norme fissate con il D.P.R. sopra citato".
Con la nota 7 luglio 1965 sopra menzionata, con cui aveva chiesto il riesame di tale punto di vista, il Presidente della Regione aveva comunicato agli organi statali "il proprio diverso avviso" circa l'applicabilità nella Regione dell'art. 9 del D.P.R. 18 marzo 1965, "ove esso detta una nuova disciplina contrastante con quella vigente in forza della legge regionale 17 maggio 1956, n. 7, modificata con legge regionale 14 maggio 1963, n. 16, in materia di dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza e indifferibilità delle opere e della conseguente costituzione forzosa della servitù ed autorizzazione alla occupazione temporanea".
Col ricorso presentato a questa Corte si denuncia un contrasto dell'atto impugnato con l'art. 4, nn. 4 e 5, e con l'art. 5, n. 5, dello Statuto regionale in connessione con l'art. 13, comma primo - dai quali risulta la competenza legislativa e amministrativa della Regione in materia di espropriazione per pubblica utilità non riguardante opere a carico dello Stato e di utilizzazione delle acque pubbliche -, nonché con l'art. 8 delle norme di attuazione dello statuto approvato con D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574. Si aggiunge che la materia é regolata dalla legge regionale 17 maggio 1956, n. 7, modificata con legge regionale 14 maggio 1963, n. 16, emanate in base alle anzidette disposizioni statutarie e di attuazione, facendosi espresso richiamo agli artt. 1, 8, 59, 60 della prima di tali leggi e all'art. 2 della seconda, e osservandosi che, nel Trentino-Alto Adige, in base alle leggi stesse sono di spettanza della Regione o delle Province, nella materia delle acque pubbliche e degli impianti elettrici, le competenze riguardanti le dichiarazioni di pubblica utilità e indifferibilità ed urgenza delle opere, nonché i provvedimenti cui si collega ipso jure una dichiarazione di pubblica utilità.
Di qui la conseguenza della inapplicabilità, in materia, nel Trentino-Alto Adige, dell'art. 9 del D.P.R. 18 marzo 1965, n. 342; o, meglio, se, in correlazione coi limiti fissati negli articoli 4 e 5 dello Statuto regionale - relativi all'obbligo della Regione di non legiferare in contrasto con gli interessi nazionali, le riforme economico-sociali della Repubblica, i principi stabiliti dalle leggi dello Stato -, può comprendersi il trattamento privilegiato fatto dall'anzidetto art. 9 all'E.N.E.L. a proposito del collegamento della dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità e urgenza delle opere a certi provvedimenti di autorizzazione di opere e lavori, tale trattamento differenziato non può comportare, senza che ne vengano lese le autonomie costituzionali, uno spostamento delle competenze dalla Regione e le Province allo Stato.
Deduce anzi la Regione che, ove dovesse ritenersi che l'art. 9 sia destinato ad avere puntuale applicazione anche nel suo territorio quando si tratti di costruire elettrodotti dell'E.N.E.L. senza che le opere possano considerarsi a carico dello Stato, con conseguente venir meno delle competenze della Regione e delle Province risultanti dalla preesistente ricordata normativa, l'art. 9 contrasterebbe col "combinato disposto degli artt. 4, 5, 13 dello Statuto regionale e 8 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, in relazione con gli artt. 1, 8, 59, 60 (modificato) della legge regionale 17 maggio 1956, n. 7": onde alla Corte spetterebbe di rilevarne in via incidentale l'illegittimità costituzionale.
Il ricorso conclude pertanto, in via principale, per l'affermazione della invasione della sfera di competenza della Regione da parte della nota dell'ufficio del Genio civile che ha dato origine al conflitto, della quale chiede l'annullamento; in via subordinata, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del più volte ricordato art. 9, previa proposizione della relativa questione in via di incidente, e con conseguente pronuncia nei sensi già riferiti nei confronti della denunciata nota dell'ufficio del Genio civile.
Non vi é stata costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri, né di alcuna altra parte.
Il giudizio, originariamente fissato per l'udienza del 16 febbraio 1966, fu rinviato a nuovo ruolo a richiesta della difesa della Regione.
Nell'imminenza della nuova udienza, questa ultima ha presentato il 12 ottobre 1966 una memoria.
In essa si contrasta, a titolo preventivo, l'eventuale obiezione di incostituzionalità della legge regionale n. 7 del 1956 per essere stata emanata nonostante la mancanza di norme statali di attuazione delle disposizioni statutarie della materia. In proposito la Regione si appella al fatto che nella materia contemplata dall'art. 4, n. 4, del suo Statuto essa dispone di una legislazione "d'ordine primario", che "prescinde dai principi stabiliti dalle leggi dello Stato", e perciò anche da norme statali di attuazione. Essa aggiunge che, del resto, la controversia in oggetto non verte in materia di espropriazione (art. 4, n. 4, dello Statuto regionale), bensì in materia di utilizzazione di acque pubbliche - da ritenere comprensiva anche di quella degli impianti elettrici e degli elettrodotti -, per la quale le norme di attuazione furono emanate col D.P.R. 574 del 1951, e, pur non contenendo, nel campo che interessa il presente giudizio, una espressa previsione di trasferimento dei poteri alla Regione, non contengono tuttavia neppure alcuna riserva di competenza allo Stato.
Pertanto esclude che la legge regionale del 1956 possa esser considerata illegittima, e insiste per l'accoglimento del ricorso.
A tal fine essa fa richiamo anche alla sentenza di questa Corte n. 13 del 1964 - intervenuta nei giudizi promossi dalle Regioni della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige in occasione della nazionalizzazione dell'energia elettrica -, nella quale si affermava che se quella riforma aveva compresso taluni poteri e diritti regionali, tuttavia questi ultimi "non devono essere sacrificati oltre i limiti richiesti dall'attuazione e dal pieno funzionamento della riforma", dovendo il legislatore nazionale assicurare alle Regioni, naturalmente nel quadro statutario, "il massimo di autonomia compatibile con la nuova disciplina unitaria". Osserva la Regione che dopo quella sentenza il legislatore statale, lungi dal fare venir meno lo stato di disagio posto in evidenza dalla Corte, ha emanato il provvedimento legislativo in applicazione del quale sono stati poi adottati gli atti che hanno provocato il presente giudizio, determinando così una ulteriore compressione dei poteri regionali e fornendo esca alla accesa polemica politica, che si trascina sul piano interno e su quello internazionale, a proposito dell'Alto Adige.
All'udienza di trattazione della causa il difensore della Regione ha insistito nelle precedenti tesi e conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La Regione sostiene che, in base alle disposizioni statutarie (art. 13, comma primo, dello Statuto regionale in riferimento all'art. 4, n. 4 e n. 5, e all'art. 5, n. 5), all'art. 8 delle norme di attuazione emanate con D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, e alla legge regionale 17 maggio 1956, n. 7, sulle espropriazioni per pubblica utilità, modificata e integrata con legge regionale 14 maggio 1963, n. 16, sarebbe di sua esclusiva spettanza il potere di dichiarare di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti, ai fini delle necessarie espropriazioni, le opere inerenti agli elettrodotti da realizzarsi nel suo territorio da parte dell'Ente nazionale per l'energia elettrica (E.N.E.L.): onde sarebbe lesiva della sua sfera di attribuzioni la pretesa statale - espressa nella impugnata nota dell'ufficio del Genio civile di Bolzano -, secondo cui i decreti di autorizzazione degli elettrodotti dell'E.N.E.L. dovrebbero avere, ai sensi dell'art. 9, comma ottavo, del D.P.R. 18 marzo 1965, n. 342, efficacia di dichiarazione di pubblica utilità nonché di indifferibilità ed urgenza delle relative opere, anche quando riguardino impianti da realizzare nel territorio regionale. Sostiene inoltre che, ove questa ultima disposizione dovesse essere ritenuta applicabile anche nel suo territorio, sarebbe da considerare lesiva delle norme dello Statuto e delle norme statali e regionali applicative di questo, più sopra indicate.
2. - Siccome l'atto impugnato si basa appunto sulla ricordata disposizione del D.P.R. 18 marzo 1965, n. 342, emanato in virtù della delegazione di potestà legislativa conferita al Governo con legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e rinnovata con legge 27 giugno 1964, n. 452, e siccome tale decreto é sicuramente applicabile in tutto il territorio in cui opera l'E.N.E.L. , e perciò in tutto il territorio dello Stato, occorre preliminarmente portare l'esame in via delibativa (ai sensi e per gli effetti dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87) sulla questione di legittimità costituzionale della disposizione stessa - prospettata in via subordinata dalla Regione -, ai fini della eventuale elevazione di un giudizio di legittimità nei confronti della medesima.
La Corte ritiene però che la questione sia manifestamente infondata.
3. - A torto la Regione si richiama alle ricordate disposizioni statutarie.
L'art. 4, n. 4, dello Statuto attribuisce alla Regione la materia della "espropriazione per pubblica utilità non riguardante opere a carico dello Stato". Quando pur dovesse ammettersi che le dichiarazioni di pubblica utilità e di urgenza e indifferibilità delle opere pubbliche rientrino nella materia di tale numero - e non in quella del successivo n. 5, che si riferisce ai "lavori pubblici" (si tenga presente che la tendenza della legislazione statale, a partire dalla legge 18 dicembre 1879, n. 5188, appare sempre più orientata in questo ultimo senso) - sta di fatto che, essendo l'E.N.E.L. - in quanto preposto alla gestione di un servizio pubblico nazionalizzato (legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e D.P.R. 15 dicembre 1962, n. 1670) - un ente di Stato, le opere relative al servizio cui esso é preposto non possono non esser considerate, ai fini del n. 4 in esame, "opere a carico dello Stato", e perciò estranee alla materia cui il numero stesso si riferisce.
4. - L'art. 4, n. 5, dello Statuto considera, a sua volta, materia di spettanza della Regione, oltre alla viabilità e agli acquedotti, i "lavori pubblici di interesse regionale". É chiaro però che la specificazione di tale categoria di lavori non può essere effettuata se non attraverso norme di attuazione (come é avvenuto per le altre Regioni: vedi, per la Sicilia, l'art. 3 del D.P.R. 30 luglio 1950, n. 878, e, per la Sardegna, l'art. 9 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327). Per il Trentino-Alto Adige le necessarie norme di attuazione sono, finora, mancate: infatti l'unica norma di attuazione finora emanata in materia di lavori pubblici é l'art. 37 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, attinente al settore urbanistico.
Può essere anzi opportuno tener presente in proposito che l'art. 3, lett. g, delle norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di opere pubbliche, emanate col ricordato D.P.R. 30 luglio 1950, n. 878, qualifica "grandi opere pubbliche di prevalente interesse nazionale" nell'ambito di quella Regione (ai sensi dell'art. 14, lett. g, del relativo Statuto) le linee elettriche di trasporto con tensione non inferiore a 15.000 volts. E può essere utile ricordare che la linea in occasione della cui realizzazione é sorto il presente giudizio é della tensione di ben 220 chilovolts.
5. - L'art. 5, n. 5, dello Statuto, infine, attribuisce alla Regione la materia della utilizzazione delle acque pubbliche. In questa materia sono state emanate, con D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574 (e precisamente con gli artt. 8-16 di esso), le norme di attuazione, le quali riflettono anche le disposizioni degli artt. 9-10 dello Statuto, interessanti le ingerenze e i diritti regionali in materia di concessioni, da parte dello Stato, di grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico. Ma tale materia sicuramente non comprende gli elettrodotti.
A parte la lettera della disposizione statutaria, é il caso di ricordare, in proposito, che, secondo la costante giurisprudenza formatasi in riferimento all'art. 143 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici, la materia delle acque pubbliche non si estende agli impianti di trasmissione dell'energia elettrica (i quali non attengono alla utilizzazione diretta e immediata dell'acqua). E tale concetto risulta puntualmente applicato nelle ricordate norme di attuazione, le quali non si occupano di tutti gli impianti elettrici, bensì unicamente degli impianti di derivazione di acque a scopi idroelettrici.
Risulta perciò ictu oculi destituita di fondamento altresì l'affermazione che la disposizione dell'ottavo comma dell'art. 9 del D.P.R. 18 marzo 1965, n. 342, contrasterebbe con le ricordate norme di attuazione, e, più specificamente, con l'art. 8 di esse (il quale si riferisce soltanto al riconoscimento, alla concessione e alla rinnovazione delle derivazioni di acque).
6. - Dimostrata l'evidente insussistenza di qualsiasi contrasto della denunciata disposizione del decreto legislativo del 1965 con le norme statutarie e con quelle di attuazione di esse, non é il caso - né é possibile - saggiarne la legittimità costituzionale rispetto alla legge regionale sulle espropriazioni per pubblica utilità emanata nel 1956 e modificata e integrata nel 1963. Il problema della prevalenza tra norme legislative di pari grado si risolve infatti in termini di successione temporale lex posterior derogat priori e non in termini di legittimità costituzionale.
Si può prescindere quindi anche da ogni considerazione circa il carattere speciale della legislazione sull'E.N.E.L. , destinata a realizzare (come questa Corte ha avuto occasione di affermare nella sentenza n. 13 del 1964) una di quelle riforme economico-sociali dalle quali l'art. 4 dello Statuto del Trentino-Alto Adige vuole che i poteri regionali siano condizionati.
Una volta esclusa ogni possibilità di prevalenza della legge regionale rispetto al successivo decreto legislativo statale non occorre poi affrontare la questione - che la stessa Regione non ha mancato di considerare - della illegittimità della legge regionale per essere stata emanata nonostante la mancanza di norme di attuazione delle disposizioni statutarie in materia di espropriazione per pubblica utilità e di lavori pubblici di interesse regionale.
7. - Dalla dimostrazione della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma ottavo, del decreto legislativo sulla base del quale lo Stato ha affermato la propria competenza nel caso in esame, e dalla conformità di tale affermazione all'anzidetta disposizione legislativa - che la stessa Regione non contesta -, discende che la pretesa fatta valere dalla Regione con l'elevato conflitto di attribuzioni é da dichiarare infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che il potere di dichiarazione di pubblica utilità nonché di indifferibilità ed urgenza delle opere dell'elettrodotto di 220 chilovolts tra le centrali dell'E.N.E.L. di S. Valburga e di Pracomune, in provincia di Bolzano, spetta allo Stato;
respinge in conseguenza il ricorso della Regione indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1966.
Gaspare AMBROSINI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1966.