Sentenza n. 100 del 1966
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SENTENZA N. 100

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 327 del Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 1965 dal Tribunale di Rovigo nel procedimento penale a carico di Mantovani Gino, iscritta al n. 153 del Registro ordinanze 1965 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 216 del 28 agosto 1965.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 15 giugno 1966 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Sindaco del Comune di Ceneselli, Mantovani Gino, in una lettera inviata a persone iscritte nell'elenco dei poveri, comunicava che la Prefettura aveva disposto la sospensione del sussidio mensile "in conseguenza delle misure anticongiunturali messe in atto dal Governo, che mirano a far pagare ai poveri le spese della difficile situazione economica del paese". Per questo fatto, veniva condannato dal Pretore di Ficarolo, quale responsabile del reato di eccitamento al dispregio delle istituzioni, previsto dall'art. 327 del Codice penale. Ma, nel giudizio di appello, il Tribunale di Rovigo, con ordinanza del 21 giugno 1965 - di ufficio -, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta in tale articolo, in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione, assumendo che essa limiterebbe il diritto di libera manifestazione del pensiero, e porrebbe i pubblici ufficiali (compresi quelli non legati da rapporto organico con la pubblica Amministrazione) in posizione di non giustificata disparità con gli altri cittadini, ai quali é riconosciuto il diritto di critica nei confronti delle istituzioni, senza alcuna limitazione che non sia quella di cui all'art. 290 del Codice penale.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 216 del 28 agosto 1965.

Nel presente giudizio si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Con atto d'intervento del 25 luglio 1965, l'Avvocato dello Stato osserva che l'art. 327, a tutela del prestigio della pubblica Amministrazione in senso lato, impone al pubblico ufficiale, in conseguenza della natura delle funzioni esercitate, un comportamento di rispetto e di soggezione all'ordine politico giuridico generale dello Stato, alle leggi, alle disposizioni dell'autorità ed agli obblighi inerenti ai pubblici uffici e servizi.

Non é fondata la distinzione posta dal Tribunale per la ipotesi di pubblico ufficiale non legato da rapporto organico con la pubblica Amministrazione, in quanto il suindicato dovere di rispetto e di soggezione non é esclusiva proiezione del cennato rapporto, ma altresì della natura dell'attività esplicata.

Per la definizione del processo principale ha rilevanza soltanto l'esame della costituzionalità della parte dell'art. 327 relativa alla previsione criminosa dell'eccitamento al dispregio delle istituzioni. Questo non é mera critica, condotta in termini democratici, ma cosa ben più grave che urta contro il dovere dei cittadini di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione, che prevede le istituzioni e ne dà l'ordinamento (art. 54, primo comma, della Costituzione). E, secondo l'insegnamento di questa Corte, anche le libertà cosiddette privilegiate non possono sottrarsi ai principi essenziali dell'ordinamento giuridico, i quali impongono limiti naturali all'espansione di qualsiasi diritto.

 

Considerato in diritto

 

L'ordinanza di rimessione propone la questione di legittimità costituzionale per una sola delle previsioni criminose contenute nell'art. 327 del Codice penale, quella dell'eccitamento al dispregio delle istituzioni, alla quale quindi la Corte deve limitare il suo esame. Mentre il diritto di critica nei confronti delle istituzioni é riconosciuto a tutti i cittadini, la norma impugnata vieterebbe l'esercizio di tale diritto al pubblico ufficiale, anche se non legato da rapporto organico con la pubblica Amministrazione, onde sarebbero violati sia il diritto di libera manifestazione del pensiero, sia il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, garantiti dagli artt. 3 e 21 della Costituzione.

La questione é infondata.

La norma impugnata non punisce la critica, consentita a tutti, bensì l'eccitamento al dispregio delle istituzioni, che é cosa ben diversa. Questo eccitamento si concreta in un impulso diretto a determinare una particolare condotta, od a creare uno stato d'animo in altre persone: mira ad ottenere lo scopo preciso di portare offesa alle istituzioni, nei loro organi e nella loro attività.

Il fatto é punito se ed in quanto posto in essere "nell'esercizio delle funzioni". E ciò sia per l'obbligo che incombe al pubblico ufficiale di tenere un comportamento conforme ai doveri di ufficio, allorquando forma ed attua la volontà dell'ente pubblico (art. 54, secondo comma, della Costituzione), sia per la entità del danno che deriva alla pubblica Amministrazione da un incitamento al dispregio delle istituzioni che provenga da un suo organo in quel particolare momento.

I privati cittadini, come tali, si trovano in una posizione completamente diversa da quella del pubblico ufficiale, non potendo per essi ricorrere giammai le situazioni suddette, onde non si può configurare quella violazione del principio di eguaglianza, prospettata dall'ordinanza di rimessione.

Ed é ovvio che non ha alcuna rilevanza che il pubblico ufficiale sia legato o meno da un rapporto organico con la pubblica Amministrazione, dal momento che, per la sussistenza del reato, occorre soltanto l'esercizio di pubbliche funzioni.

La norma impugnata non viola neppure l'art. 21 della Costituzione. L'eccitamento al dispregio delle istituzioni, inteso nel senso sopraindicato, si può estrinsecare con mezzi diversi, ma, anche allorquando si attui con la parola e con mezzi di persuasione, non perde quel carattere di impulso, e di principio di azione, diretto ad offendere, che lo qualifica e vale a differenziarlo nettamente dalla manifestazione del pensiero.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 327 del Codice penale, sollevata con ordinanza del 21 giugno 1965 del Tribunale di Rovigo, per la parte relativa all'eccitamento al dispregio delle istituzioni, in riferimento agli artt. 3 e 21, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA  - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI 

 

 

Depositata in cancelleria il 11 luglio 1966.