Sentenza n. 81 del 1966
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SENTENZA N. 81

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:  

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, settimo comma, della legge 29 dicembre 1962, n. 1745, istitutiva di una ritenuta di acconto o di imposta sugli utili distribuiti dalle società, promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1964 dalla Commissione distrettuale delle imposte di Milano sul ricorso della Fondazione Giuseppe e Carlo Girola e Ida Stucchi vedova Girola contro l'Intendenza di finanza di Milano, iscritta al n. 36 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 109 del 30 aprile 1965.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione della Fondazione Girola;

udita nell'udienza pubblica del 4 maggio 1966 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;

uditi gli avvocati Antonio Nonnis e Giancarlo Mazzullo, per la Fondazione, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

La Fondazione Girola per la protezione e l'assistenza degli orfani delle Province lombarde, é proprietaria di un notevole complesso di titoli azionari sui quali, per gli esercizi sociali chiusi, al 31 dicembre 1962 e al 31 dicembre 1963, é stata operata la ritenuta a titolo d'imposta stabilita dall'art. 3, comma settimo, della legge 29 dicembre 1962, n. 1745, istitutiva di una ritenuta di acconto o di imposta sugli utili distribuiti dalle società.

Contro tale ritenuta la Fondazione ha proposto ricorso all'Intendente di finanza di Milano chiedendone il rimborso. L'Intendente, ritenendo di non poter accogliere il ricorso, lo ha trasmesso per la decisione, alla Commissione distrettuale delle imposte.

In tale sede la Fondazione Girola ha sollevato la questione di incostituzionalità della disposizione contenuta nell'art. 3, settimo comma, della legge innanzi ricordata, assumendo che essa col disporre che sugli utili spettanti ai soggetti tassabili in base a bilancio esenti dall'imposta sulle società la ritenuta di cui al precedente art. 1 della legge é operata a titolo d'imposta, avrebbe introdotto, a carico di una sola categoria di contribuenti, una nuova imposta, determinando così una disparità di trattamento. Tale disparità sussisterebbe sia sotto il profilo della violazione dell'art. 3 della Costituzione, per il fatto che la ritenuta sui dividendi stabilita dalla legge n. 1745 del 1962 per le altre persone fisiche e giuridiche consiste in un acconto sull'imposta complementare e sull'imposta sulle società, sia sotto l'aspetto del contrasto con l'art. 53 della Costituzione, nella considerazione che gli enti di beneficenza tassabili in base a bilancio vengono ad essere colpiti dalla nuova imposta in misura più onerosa degli altri enti che pagano l'imposta sulle società.

La Commissione distrettuale delle imposte di Milano ritenuta non manifestamente infondata e rilevante la questione, con ordinanza 24 novembre 1964 ha rimesso gli atti a questa Corte osservando che oltre alla violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione la norma appare in contrasto con l'art. 31, secondo cui la Repubblica protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù favorendo gli Istituti necessari a tale scopo; l'art. 32 che riconosce essere la salute fondamentale diritto dell'individuo nell'interesse della collettività; gli artt. 33 e 34, che riconoscono quali fondamentali interessi dello Stato il favorire l'arte, la scienza e l'istruzione.

L'ordinanza regolarmente notificata e comunicata é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 109 del 30 aprile 1965.

Nel giudizio davanti a questa Corte si é costituita la Fondazione Girola rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Nonnis e Giancarlo Mazzullo.

É pure intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa della Fondazione, nelle deduzioni costitutive ed in una successiva memoria, ha anzitutto ricordato che nel 1954, venne istituita l'imposta sulle società, avente la finalità di colpire in modo globale il reddito netto degli enti, corpi morali, società commerciali, enti e associazioni di ogni specie "non assoggettati all'imposta complementare" ma "tenuti a presentare il bilancio o il rendiconto a corredo della dichiarazione dei redditi"; che, però le Opere Pie, le Istituzioni di assistenza e beneficenza (cui appartiene la Fondazione Girola) nonché enti di cultura, accademie ed enti similari, benché tenuti a presentare bilancio e dichiarazione dei redditi, furono espressamente esentati dal pagamento dell'imposta sulle società in forza dell'art. 3 della legge 6 agosto 1954, n. 603, ora riprodotto nell'art. 151 del vigente T.U. delle leggi sulle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645. Tale esenzione venne evidentemente dettata dall'intento del legislatore di sottrarre all'onere fiscale, e quindi di agevolare lo sviluppo di particolari attività di pubblico generale interesse, quali sono la beneficenza e l'assistenza, la cultura, la scienza e l'istruzione.

Con la legge 29 dicembre 1962, n. 1745, fu poi istituita una ritenuta d'acconto o d'imposta sugli utili distribuiti dalle società il cui scopo fu quello di eliminare le evasioni dalla imposta complementare e da quella sulle società.

La ritenuta non é e non doveva essere una nuova imposta riferibile a tutte le persone fisiche e a tutte le persone giuridiche: é per tutti - salvo poche ingiustificate eccezioni nelle quali la ritenuta é a titolo d'imposta - una ritenuta d'acconto sugli utili distribuiti dalle società.

Il comma settimo dell'art. 3 della legge impugnata introduce a carico soltanto degli enti morali esenti dalla imposta sulle società una nuova imposta, molto più onerosa dell'imposta sulle società che é dello 0,75 per cento del patrimonio netto imponibile e del 15 per cento sulla parte di reddito eccedente il 6 per cento del patrimonio imponibile, mentre la "nuova imposta" fissata nella misura del 15 per cento é stata successivamente elevata, con il D. L. 23 febbraio 1964, n. 27, convertito nella legge 12 aprile 1964, n. 191, al 30 per cento.

I motivi di incostituzionalità della norma in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, consistono quindi in una evidente disparità di trattamento tributario, disparità che si é maggiormente aggravata per effetto della legge 27 del 1964, la quale ha dato facoltà ai contribuenti soggetti alla ritenuta d'acconto di scegliere il modo e la misura del pagamento della cedolare consentendo loro di optare per l'una o l'altra forma della ritenuta d'acconto (ridotta dal 15 per cento al 5 per cento) o della ritenuta d'imposta (del 30 per cento), facoltà della quale non possono fruire gli enti morali poiché essi sono soggetti soltanto alla ritenuta d'imposta.

Altro motivo di incostituzionalità viene poi ravvisato nella non conformità della norma all'art. 31 della Costituzione, per il quale "la Repubblica protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo". Nella specie, infatti, nessuna protezione da parte dello Stato vi sarebbe stata data la notevole pressione fiscale che per effetto della legge del 1962 si é venuta a determinare nei confronti degli enti di assistenza e beneficenza.

Per tali considerazioni la difesa della Fondazione chiede che sia dichiarato incostituzionale l'art. 3, settimo comma, della legge n. 1745 del 1962 nei riguardi delle opere pie, delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e degli enti similari, tassati in base a bilancio, esonerati dall'imposta sulle società.

L'Avvocatura dello Stato, nell'atto di intervento e in una memoria illustrativa, sostiene invece che il legislatore nell'esercizio della sua potestà tributaria, ha legittimamente differenziato il regime tributario degli utili azionari di pertinenza di soggetti diversi, stabilendo la ritenuta di acconto, o d'imposta, a seconda che gli utili stessi siano assoggettabili o meno ad imposta sulle società.

Non contesta l'Avvocatura che nei confronti dei soggetti esenti da detta imposta, la ritenuta si configura come prelievo definitivo e, quindi, come nuovo ed autonomo tributo; ma osserva che il sistema della ritenuta sugli utili azionari, considerate le finalità che con esso il legislatore ha inteso raggiungere, non ha consentito di introdurre esenzioni soggettive a favore dei percettori degli utili, qualunque sia la loro natura giuridica e il fine perseguito.

Nega, pertanto, qualsiasi contrasto tra la norma denunciata e i principi di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e della capacità contributiva, sanciti, rispettivamente, dagli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Il fatto che la configurazione della ritenuta d'imposta comporti per i soggetti tassabili in base a bilancio, esenti dalla imposta sulle società, una concreta limitazione della esenzione da tale tributo, non costituisce una violazione dell'invocato principio di eguaglianza, bensì una riaffermazione del principio stesso, rispetto al quale la immunità tributaria concessa in sede d'imposta sulle società dalla citata norma di esenzione, deve considerarsi una deroga. Né vale eccepire la violazione del principio di eguaglianza per il fatto che i soggetti esenti dall'imposta sulle società devono necessariamente subire la ritenuta nella misura del 30 per cento, mentre i percettori di utili tenuti al pagamento dell'imposta sulle società possono optare, o per la ritenuta d'acconto del 5 per cento o per quella d'imposta del 30 per cento, restando, in quest'ultima ipotesi esonerati dal dichiarare i dividendi ai fini dell'imposta sulle società.

Invero, nessun valido raffronto é possibile stabilire tra il carico tributario che grava i dividendi percepiti dai soggetti esenti dall'imposta sulle società e i dividendi percepiti dai soggetti tenuti al pagamento, in quanto i dividendi di questi ultimi, ai fini dell'applicazione del tributo, si cumulano con tutti gli altri redditi, mentre nei confronti dei soggetti esenti dall'imposta sulle società sono colpiti soltanto i dividendi.

Neppure il richiamo al principio della capacità contributiva appare pertinente, essendo evidente che la disponibilità dei dividendi da parte dei soggetti esenti dall'imposta sulle società costituisce un indice di capacità contributiva al quale il legislatore ha attribuito particolare rilevanza, anche in relazione alla immunità tributaria concessa ai predetti soggetti in sede d'imposta sulle società.

Per ciò che attiene alla pretesa violazione degli artt. 31, 32, 33 e 34 della Costituzione l'Avvocatura rileva che, trattandosi di norme aventi carattere direttivo, i tempi, i modi e la misura dell'attuazione dei principi etico-sociali in esse contenuti sono demandati al libero apprezzamento del legislatore ordinario.

L'Avvocatura conclude chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione prospettata dall'ordinanza di rinvio non é fondata.

Il giudice a quo ha ravvisato un contrasto tra la disposizione contenuta nell'art. 3, comma settimo, della legge 29 dicembre 1962, n. 1745, e gli artt. 3 e 53, comma primo, della Costituzione perché ha ritenuto sussistente una identità di situazione tra gli enti soggetti all'imposta sulle società nei confronti dei quali la ritenuta istituita con tale legge é operata a titolo di acconto, e gli enti esenti dall'anzidetto tributo nei confronti dei quali la norma impugnata dispone che la ritenuta sia eseguita a titolo d'imposta.

É però evidente che trattasi di situazioni così diverse che legittimano una disparità di trattamento normativo sotto l'aspetto tributario qui considerato.

Infatti la ritenuta d'acconto sugli utili spettanti ai soggetti tassabili in base a bilancio non é un tributo autonomo, ma costituisce una parte dell'imposta sulle società e perciò viene dedotta dall'ammontare dell'imposta dovuta per l'esercizio sociale nel corso del quale il diritto agli utili é stato acquisito.

La ritenuta d'imposta, invece, costituisce un nuovo tributo basato su presupposti diversi da quelli che hanno giustificato la ritenuta d'acconto in quanto richiede che il soggetto passivo sia esente dall'imposta sulle società.

La ritenuta a titolo d'imposta istituita con la norma impugnata non comporta quindi violazione dei principi di eguaglianza e della capacità contributiva. Basterà all'uopo rilevare, che prima della sua istituzione, gli utili spettanti agli enti esenti dall'imposta sulle società non erano soggetti ad alcun tributo, mentre gli utili sui quali é effettuata la ritenuta di acconto erano già assoggettati a tributo, costituendo uno degli elementi del reddito complessivo sul quale viene applicata l'imposta sulle società.

Del pari erroneo é sostenere che sarebbero stati violati i suddetti principi perché l'aliquota della ritenuta d'imposta, elevata dal 15 al 30 per cento per il triennio nel quale hanno efficacia le disposizioni del decreto-legge 23 febbraio 1964, n. 27, é più alta dell'aliquota dell'imposta sulle società e perciò a parità di reddito non corrisponderebbe parità d'imposizione fiscale.

L'ordinanza vorrebbe istituire un raffronto tra l'onere tributario che grava sugli utili soggetti alla ritenuta in conto dell'imposta sulle società e quello che grava sugli utili soggetti alla ritenuta prevista dalla norma impugnata.

L'inammissibilità del raffronto é però evidente perché gli utili soggetti alla prima forma di ritenuta si cumulano, agli effetti dell'applicazione del tributo, con gli altri redditi immobiliari e mobiliari del contribuente (art. 148 del testo unico delle leggi sulle imposte dirette), mentre l'obbligazione tributaria dei soggetti esenti dall'imposta sulle società é limitata agli utili azionari.

Nessun rilievo può poi essere attribuito alla circostanza che tra i soggetti colpiti dalla ritenuta d'imposta vi siano enti - come la Fondazione Girola - le cui finalità assistenziali avevano rappresentato valido motivo per la concessione della esenzione dall'imposta sulle società. Non può, infatti, configurarsi come violazione del principio di eguaglianza il fatto che il legislatore non abbia ritenuto, nella sua discrezionale valutazione, concedere l'esenzione anche in ordine al tributo ora in questione.

L'istituzione della cedolare d'acconto e d'imposta fu originata dalla necessità di colpire il fenomeno di evasione fiscale degli utili derivanti dai titoli azionari, fenomeno che la legge istitutiva della nominatività obbligatoria di tali titoli e successive modifiche (leggi 9 febbraio 1942, n. 962, e 5 gennaio 1956, n. 1) non erano riuscite ad eliminare. E fu proprio in relazione alla gravità e generalità di tale fenomeno che la norma denunciata non ritenne di disporre esenzioni in favore di soggetti percettori di dividendi azionari ed istituì, in forma di autonoma imposta, il tributo di cui trattasi anche nei confronti di quegli enti che erano stati originariamente esentati dall'imposta sulle società in considerazione della loro natura giuridica e dei fini perseguiti.

2. - Neppure fondate sono le censure in ordine alle pretese violazioni delle norme costituzionali contenute negli artt. 31, secondo cui la Repubblica protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo; 32, che riconosce essere la salute fondamentale diritto dell'individuo; 33 e 34 nelle parti in cui riconoscono quali fondamentali interessi dello Stato il favorire l'arte, la scienza e l'istruzione. La stessa difesa della Fondazione Girola, avvertendo lo scarso rilievo di tali precetti sulla questione in esame, si é brevemente soffermata nella propria memoria sulla violazione del solo art. 31 della Costituzione.

I precetti richiamati si limitano ad enunciare dei principi etico-sociali la cui attuazione, come esattamente osserva l'Avvocatura, può assumere modalità e misure in ordine alle quali il legislatore ha una ampia e libera facoltà di scelta. Da ciò discende che l'incoraggiamento e la tutela di una attività assistenziale, come quella della Fondazione in causa, non si realizzano soltanto attraverso la concessione di una esenzione fiscale ed, in ogni caso, non é possibile basare il dedotto vizio di incostituzionalità nei riguardi di una legge tributaria, sul rilievo che in essa il legislatore non abbia ravvisato l'occasione di proteggere e favorire i fini assistenziali di taluni enti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma settimo, della legge 29 dicembre 1962, n. 1745, nella parte in cui dispone che la ritenuta sugli utili spettanti ai soggetti tassabili in base a bilancio esenti dalla imposta sulle società sia operata a titolo d'imposta, in riferimento agli artt. 3, 53, 31, 32, 33 e 34 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 2 luglio 1966.