SENTENZA N. 71
ANNO 1966
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 260, secondo comma, del Codice civile, promosso con ordinanza emessa il 15 maggio 1965 dal Tribunale dei minorenni di Torino su ricorso di Minuto Michele, iscritta al n. 108 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 178 del 17 luglio 1965.
Udita nella camera di consiglio del 3 marzo 1966 la relazione del Giudice Costantino Mortati.
Ritenuto in fatto
Con ricorso prodotto al Tribunale dei minorenni di Torino il sig. Minuto Michele, quale padre naturale dei minori Ivo e Elio da lui riconosciuti, faceva istanza di affidamento di costoro, chiedendo che fossero sottratti alla madre presso cui convivevano.
Il Tribunale, accertato che non ricorrevano gli estremi per l'emissione di provvedimenti sanzionatori a carico di nessuno dei due genitori, entrambi adempienti in modo conveniente ai propri doveri, e che quindi la vertenza riguardava solo un'ipotesi di contrasto fra i predetti in ordine al modo di allevamento dei figli, da risolvere a tenore dell'art. 260 del Codice civile, che attribuisce l'esercizio della patria potestà al padre naturale, e solo in via eccezionale alla madre, ha, con ordinanza 15 maggio 1965, elevato d'ufficio questione sulla legittimità costituzionale del secondo comma di detto articolo, per contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, in considerazione della sua non manifesta infondatezza, nonché della sua rilevanza ai fini del decidere. Ciò perché l'applicazione della misura eccezionale del terzo comma dell'art. 260 predetto esige che si accerti preliminarmente la conformità del precedente secondo comma al principio d'eguaglianza dei coniugi; principio che dovrebbe trovare applicazione anche nei confronti dei genitori naturali, tanto più quando, come nella specie, la non convivenza dei medesimi fa venir meno le esigenze di salvaguardia dell'unità familiare, dalle quali potrebbe risultare giustificata l'attribuzione al marito dell'esercizio della patria potestà, ai sensi dell'art. 316 del Codice civile.
L'ordinanza debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 17 luglio 1965.
Nessuna delle parti interessate si é costituita nel giudizio avanti a questa Corte, e pertanto, a tenore degli artt. 26, secondo comma della legge n. 87 del 1953 e 9 delle Norme integrative del 16 marzo 1956, esso viene deciso in camera di consiglio.
Considerato in diritto
É stato denunciato l'art. 260, comma secondo, del Codice civile in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione: la norma stabilisce che, se un figlio naturale é riconosciuto da entrambi i genitori, i diritti derivanti dalla patria potestà sono esercitati di regola dal padre; perciò, secondo l'ordinanza di rinvio, contrasterebbe col principio generale d'eguaglianza (art. 3) e in particolare col principio d'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29).
La questione é infondata, anche se si deve ancora una volta osservare che la norma impugnata e le altre che disciplinano i rapporti familiari richiedono ormai una revisione legislativa.
Poiché i genitori naturali non costituiscono una famiglia e tanto meno una famiglia legittima, l'art. 29 della Costituzione, che riguarda solo la "società naturale fondata sul matrimonio", é male invocato.
Quanto poi all'art. 3, sia che lo si guardi da solo sia che lo si legga insieme con l'art. 29, se ne potrebbe vedere la violazione qualora la norma denunciata apparisse arbitraria. Ma ciò deve escludersi quando si pensi che la patria potestà non é soltanto un diritto, ma notoriamente un potere da esercitarsi nell'interesse del figlio e che questo é un motivo per cui, anche nella famiglia legittima, il Codice ne attribuisce l'esercizio di regola al padre.
Il legislatore ha voluto evitare tra l'altro che il dissenso dei genitori possa compromettere l'educazione o l'amministrazione dei beni dei figli. La norma, come che se ne giudichi il contenuto, non é irrazionale perché, considerato pericoloso per i figli l'esercizio collegiale della patria potestà là dove non esiste neanche l'unità familiare, non si poteva che attribuirlo ad uno dei genitori; salvo a sostituirlo con l'altro o comunque a prevedere l'intervento del giudice "se l'interesse del figlio lo esige" (art. 260, comma terzo).
Questo é anche argomento per escludere che la norma violi l'art. 30 della Costituzione (peraltro non richiamato nell'ordinanza di rinvio). Il diritto-dovere dei genitori naturali di mantenere, educare e istruire i figli non significa che, sempre, esso debba esercitarsi da entrambi e che, in caso di dissenso, debba intervenire il giudice, come invece sembra riferire il Tribunale di Torino.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, secondo comma, del Codice civile, proposta, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, con l'ordinanza citata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1966.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO
Depositata in cancelleria il 21 giugno 1966.