Sentenza n. 25 del 1966
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 25

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma secondo, e 5, commi primo e quinto, della legge 5 ottobre 1962, n. 1539, promosso con ordinanza emessa il 9 luglio 1964 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Bonaiuti Luisa e Salvatori Ermelinda, iscritta al n. 168 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 del 14 novembre 1964.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Salvatori Ermelinda;

udita nell'udienza pubblica del 2 febbraio 1966 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per la Salvatori, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Antonino Terranova, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile promosso dalla sig.ra Luisa Bonaiuti contro la sig.ra Ermelinda Salvatori, il Pretore di Bologna, accogliendo un'eccezione sollevata dalla convenuta, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale relativa ad alcune disposizioni della legge 5 ottobre 1962, n. 1539, contenente "provvedimenti in favore dei mutilati ed invalidi civili".

Nell'ordinanza con la quale gli atti sono stati rimessi alla Corte, emessa il 9 luglio 1964, il Pretore rileva che l'art. 4 della legge designa, per la tenuta dei corsi di rieducazione professionale, anche, e specificamente, la "Libera associazione nazionale mutilati ed invalidi civili"; che l'art. 5 dispone che delle Commissioni provinciali, aventi competenza ad accertare la minorazione fisica, la causa invalidante ed il grado di residua capacità lavorativa, é chiamato a far parte un medico o della predetta "Libera associazione" o di altri enti o associazioni più rappresentative; che analoga disposizione lo stesso art. 5 detta per la composizione della Commissione centrale; mette, infine, in evidenza che l'art. 6 condiziona l'iscrizione nel ruolo del collocamento ad una dichiarazione della predetta Commissione provinciale comprovante l'entità della minorazione e l'assenza di cause di pregiudizio alla salute ed incolumità dei compagni di lavoro ed alla sicurezza degli impianti, e che l'art. 7 condiziona il licenziamento dell'invalido o del mutilato, nei casi ivi specificati, all'accertamento demandato all'Ispettorato del lavoro, previo parere della Commissione provinciale.

Secondo il Pretore di Bologna il complesso di tali norme attribuisce una posizione di non giustificata preminenza alla "Libera associazione", alla quale viene assicurato un potere di rappresentanza di tutta la categoria, e ciò in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 18 e 97 della Costituzione. In particolare si osserva: a) le norme impugnate determinano un incentivo alla iscrizione degli interessati alla "Libera associazione" a preferenza di altre, e violano, perciò, gli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione, i quali stabiliscono l'eguaglianza di tutti i cittadini e a tutti riconoscono il diritto al lavoro; b) il principio della libertà associativa é menomato, e l'art. 18 é violato giacché la legge non garantisce un regime di libera scelta dei cittadini di aderire o non aderire ad un'associazione (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 69 del 1962 e n. 71 del 1963); c) la presenza di un medico della "Libera associazione" nelle Commissioni provinciali e centrale non costituisce una garanzia di indipendenza, perché é presumibile che egli tutelerà gli interessi dei soli iscritti.

L'ordinanza ricorda, infine, che la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati ebbe ad esprimere il parere che la formulazione degli artt. 4 e 5 della legge non apparisse conforme al principio di eguaglianza.

2. - L'ordinanza, ritualmente comunicata ai Presidenti delle due Camere, notificata alle parti private ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 282 del 14 novembre 1964.

Nel presente giudizio si é costituita la sig.ra Ermelinda Salvatori, rappresentata dagli avvocati Tito Carnacini e Giuseppe Guarino, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

Nella comparsa depositata il 1 settembre 1964 la difesa della Salvatori, dopo aver fatto ampio richiamo alle circostanze di fatto dedotte nel giudizio di merito, mette in evidenza la posizione di preminenza o, quanto meno, di preferenza che le norme impugnate assicurano alla "Libera associazione" e chiede che queste vengano dichiarate costituzionalmente illegittime.

L'Avvocatura dello Stato nell'atto di intervento depositato il 21 agosto 1964 assume che il presupposto dal quale l'ordinanza di rimessione ha dedotto il dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme in esame non sussiste, perché la legge non conferisce alla L.A.N.M.I.C. alcuna particolare preminenza sulle altre associazioni. L'art. 4, infatti, indica la "Libera associazione" fra numerosi altri enti, senza in alcun modo limitare la piena discrezionalità con la quale il Ministro del lavoro può valutare l'efficienza dei vari centri di rieducazione; né l'art. 5 assicura che proprio il medico della L.A.N.M.I.C. Venga scelto fra quelli indicati anche da altri enti ed altre associazioni. Non c'é, secondo l'Avvocatura, né violazione dell'art. 2 della Costituzione, giacché nessuna delle norme impugnate si pone in contrasto con norme costituzionali che tutelino i diritti inviolabili dell'uomo, né violazione dell'art. 4 della Costituzione. Quanto al principio di eguaglianza, si osserva, anzitutto, che il parere della Commissione affari costituzionali della Camera fu espresso su una formulazione degli artt. 4 e 5 del disegno di legge diversa da quella che fu poi definitivamente adottata con l'inserimento, appunto, della menzione di "altri enti o associazioni più rappresentative" (aggiunta pienamente conforme al suggerimento contenuto nel suddetto parere); nel merito si assume che la questione é infondata perché, anche a voler ammettere che l'art. 3 della Costituzione sia applicabile anche agli enti, nessuna preminenza é stata accordata alla "Libera associazione".

L'Avvocatura sostiene, infine, che le norme impugnate non ledono né l'art. 18 né l'art. 97 della Costituzione: non il primo, perché la legge non comporta un inquadramento obbligatorio nella L.A.N.M.I.C., e perciò il richiamo alle sentenze n. 69 del 1962 e n. 71 del 1963 non é pertinente; non il secondo, perché in generale la presenza in determinate commissioni di membri designati da enti od associazioni del settore, consentendo che la pubblica Amministrazione si avvalga dell'esperienza necessaria per l'obbiettivo apprezzamento delle situazioni sottoposte al suo esame, rafforza l'imparzialità dell'azione amministrativa.

3. - Nella memoria depositata il 18 novembre 1965 la difesa della Sig.ra Salvatori premette che l'esistenza di una pluralità di associazioni operanti nel settore della tutela dei mutilati ed invalidi civili determina, anche a causa di diversità negli indirizzi assistenziali, una costante attività di concorrenza, e che la L.A.N.M.I.C. - come si rileverebbe da alcune circolari testualmente riportate - si avvale della speciale situazione riservatale dalla legge per affermare di essere "l'unica organizzazione di categoria riconosciuta giuridicamente" o di essere "riconosciuta come l'unica associazione rappresentativa e qualificata della categoria" o, addirittura, per sostenere che "senza l'iscrizione alla L.A.N.M.I.C. non si può beneficiare della legge n. 1539". Dopo aver ricordato che all'epoca dell'emanazione della legge impugnata la L.A.N.M.I.C. era, al pari delle altre, un'associazione di fatto e che la successiva fusione con l'Associazione nazionale mutilati civili é stato un espediente per conseguire la personalità giuridica, la difesa assume che la posizione di preminenza fatta ad essa dalla legge si desume dalle seguenti circostanze: a) alla L.A.N.M.I.C. viene conferita una particolare dignità sociale per il fatto stesso di essere specificamente indicata dalla legge; b) si esclude che la L.A.N.M.I.C. debba dar prova della sua rappresentatività, prova invece richiesta per le altre associazioni ed enti; c) Prefetto e Ministro, rispettivamente competenti alla nomina delle Commissioni provinciali e centrale, non sono tenuti a motivare la loro scelta, allorché questa cada su un medico della L.A.N.M.I.C., mentre hanno l'obbligo di motivare in tutti gli altri casi; d) la specifica menzione nella legge attribuisce, infine, alla L.A.N.M.I.C. un'aspettativa tutelata al riconoscimento.

La difesa passa poi ad un ampio esame del principio di eguaglianza. L'art. 3 della Costituzione non fonda, ma conferma l'esistenza di siffatto principio, che si ricava da svariate norme costituzionali, e se alcune delle condizioni contemplate nella disposizione si riferiscono solo alla persona fisica, altre invece sono riferibili anche alle formazioni sociali nelle quali l'uomo opera: ed in ogni caso il diverso trattamento di questo si risolverebbe necessariamente in un diverso trattamento dei soggetti che vi partecipano. Lo stesso art. 18 della Costituzione implica un regime di eguaglianza, perché la libertà non é tale se non é eguale. L'analisi dell'art. 3 della Costituzione non solo comporta la irrilevanza giuridica delle condizioni tassativamente elencate, ma richiede anche l'eguale trattamento di coloro che si trovano in condizioni eguali. E ciò implica una proporzione fra gli elementi inclusi nella fattispecie giuridica e gli elementi della realtà che ne restano fuori, nel senso, cioé, di proporzione tra la disciplina assicurata a coloro per i quali sussistono tutti gli elementi della fattispecie giuridica, e solo questi, e coloro per i quali, invece, vi siano nella realtà elementi o in più o in meno rispetto a quelli considerati nella norma: in queste ipotesi la differenza fra le situazioni di fatto si ripercuote su quella giuridica, perché un caso (e cioè se vi siano elementi naturali in più) solo alcuni elementi di fatto concorrono alla produzione degli effetti, nell'altro (se, cioè, vi sono elementi naturali in meno) gli effetti giuridici non si producono affatto. Relativamente alla sussistenza della necessaria proporzione messa in evidenza, tre impostazioni sono possibili: a) riconoscere al legislatore il libero giudizio di congruità tra le diversità in fatto e le diversità nella produzione degli effetti (e in questo senso vanno intese le prime decisioni della Corte); b) esigere che tra le due diversità corra un nesso logico, ed affermare il sindacato sul legislatore che non lo rispetti (e questo é il significato, in genere, della più recente giurisprudenza costituzionale); c) riconoscere al giudice costituzionale il potere di un giudizio non meramente negativo, ma positivo, nel senso cioè di accertare che la diversità disposta dal legislatore concretamente corrisponda alla diversità delle situazioni sostanziali (ed a questo indirizzo sembrano ispirarsi alcune recentissime sentenze di questa Corte).

Sulla base di queste considerazioni la difesa della Salvatori, dopo aver rilevato che la L.A.N.M.I.C. non si trova in situazione di fatto diversa da quella di altre associazioni del settore, sostiene l'illegittimità della disciplina legislativa non fondata su alcuna diversità sostanziale: la manifesta arbitrarietà del legislatore si manifesterebbe, peraltro, anche nel conferimento alla L.A.N.M.I.C. di una dignità pari a quella di enti pubblici, quali l'I.N.P.S. o l'I.N.A.I.L. La conferma dell'ingiustificato privilegio si troverebbe nei lavori parlamentari e nel parere espresso dalla Commissione affari costituzionali.

La memoria ribadisce, infine, che l'affidare la nomina di un componente di pubblico ufficio ad una associazione privata, non soggetta a controlli ed in concorrenza con altre, fa venir meno ogni garanzia di imparzialità dell'organo. Ed a conferma, in fatto, di tale pericolo, si riporta il testo di una circolare diramata da una delle sedi della L.A.N.M.I.C., dalla quale si rileverebbe che il potere di nomina del medico componente della Commissione provinciale viene utilizzato come strumento di propaganda e di tutela di interessi di parte.

4. - Nelle ulteriori deduzioni depositate il 17 gennaio 1966 l'Avvocatura dello Stato, ribadendo le tesi già prospettate nell'atto di intervento, osserva che il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione fa espresso riferimento ai soggetti fisici e, poiché la norma ivi contenuta ha lo scopo di assicurare la rimozione dei limiti al godimento del bene tutelato nel primo comma, ne risulta che l'intero articolo é dettato ad esclusiva garanzia della persona fisica. Il che troverebbe conferma anche se si volesse operare un collegamento fra l'art. 3 e l'art. 2 della Costituzione, giacche il concetto di "dignità sociale", sul quale si sofferma la controparte, non appare idoneo ad essere riferito alle formazioni sociali (fra le quali, peraltro, non potrebbero rientrare le associazioni non riconosciute).

In linea subordinata l'Avvocatura rileva che in ogni caso il principio di eguaglianza non sarebbe violato dalle norme impugnate e, richiamato il parere espresso dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, secondo il quale il contrasto con l'art. 3 della Costituzione era determinato dall'esclusiva menzione della "Libera associazione", mette in evidenza che il testo definitivo della legge, invece, ricomprende nella previsione normativa tutti gli enti e tutte le associazioni più rappresentative, facendo con ciò vien meno il presupposto di una pretesa situazione di disparità di trattamento.

5. - Nella discussione orale le parti hanno insistito nelle rispettive tesi e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Dall'esame complessivo dell'ordinanza di rimessione risulta che il Pretore di Bologna collega vari vizi di legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate - art. 4, comma secondo, art. 5, commi primo e quinto, legge 5 ottobre 1962, n. 1539 - ad un'unica e comune premessa: le norme non assicurerebbero la necessaria parità di trattamento delle varie associazioni operanti nel settore dell'assistenza dei mutilati ed invalidi civili, e dalla conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione discenderebbe l'ulteriore loro contrasto con altri precetti costituzionali.

Va perciò anzitutto presa in esame l'eccezione formulata dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale il principio di eguaglianza andrebbe riferito soltanto alle persone fisiche e, di conseguenza, non potrebbe essere invocato come parametro di legittimità di norme che, come nella specie, riguardino soggetti diversi da quelle.

Tale tesi non può essere accolta. L'eguaglianza, infatti, é principio generale che condiziona tutto l'ordinamento nella sua obbiettiva struttura: esso vieta, cioè, che la legge ponga in essere una disciplina che direttamente o indirettamente dia vita ad una non giustificata disparità di trattamento delle situazioni giuridiche, indipendentemente dalla natura e dalla qualificazione dei soggetti ai quali queste vengano imputate. A siffatta conclusione non osta il rilievo che alcune delle discriminazioni esplicitamente vietate dall'art. 3, primo comma, della Costituzione non sono ipotizzabili se non in riferimento alla persona fisica, giacché ciò significa solo che il principio di eguaglianza si atteggia, quanto al contenuto, diversamente secondo la varietà dei dati disciplinati dal legislatore, ma non comporta che esso diventi inoperante quando in via immediata vengano in considerazione soggetti diversi dall'uomo. E va infine rilevato che nel caso in esame una illegittima disparità fra le varie associazioni inevitabilmente si ripercuoterebbe sulla sfera giuridica degli iscritti e perciò si risolverebbe, sia pur mediatamente, in una violazione dell'eguaglianza del cittadino.

2. - L'art. 4 della legge impugnata prevede (comma secondo) che i mutilati ed invalidi civili, impossibilitati a frequentare i normali corsi di addestramento a causa di particolari menomazioni fisiche, possono essere avviati dal Ministero del lavoro a speciali corsi istituiti presso i centri di rieducazione professionale dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, dell'Opera nazionale invalidi di guerra e "della Libera associazione nazionale mutilati ed invalidi civili o di altri enti o associazioni".

La Corte ritiene che le censure mosse a questa norma non siano fondate. É sufficiente rilevare in proposito che le associazioni diverse dalla L.A.N.M.I.C. non sono affatto escluse dal concorrere all'opera di rieducazione degli invalidi e mutilati civili, atteso che la legge consente al Ministero di avviare gli interessati non solo ai centri professionali della "Libera associazione", ma anche a quelli istituiti eventualmente da altri enti o associazioni. Nessun privilegio viene fatto alla prima, giacché il legislatore, con giudizio di merito sottratto al sindacato di questa Corte, si limita a prendere atto che presso quell'associazione sono in funzione centri di rieducazione idonei allo svolgimento degli speciali corsi di addestramento: e non si può ritenere, come sostiene la difesa della Salvatori, che la semplice circostanza che la legge espressamente menziona la L.A.N.M.I.C. sia per sé sufficiente a dar vita ad una non consentita disparità di trattamento.

3. - L'art. 5, commi primo e quinto, regola la composizione di Commissioni provinciali e di una Commissione centrale, alle quali la legge affida delicate funzioni nel procedimento predisposto per l'avviamento al lavoro dei mutilati e invalidi civili e per la risoluzione del relativo rapporto. Le norme prevedono che delle une e dell'altra faccia parte "un medico o della Libera associazione nazionale mutilati e invalidi civili o di altri enti o associazioni più rappresentativi".

É evidente che le due disposizioni vanno interpretate nel senso che l'autorità competente a costituire le commissioni (Prefetto per quelle provinciali, Ministro del lavoro per quella centrale) debba chiamare a farne parte - oltre gli altri componenti tassativamente specificati dalla legge - un medico della L.A.N.M.I.C. ovvero, ove vi sia altra associazione (o ente) più di quella rappresentativa, un medico di quest'ultima. Non appare perciò esatto quanto sostiene la difesa della Salvatori, secondo la quale a favore della L.A.N.M.I.C. verrebbe ad essere stabilita una presunzione di rappresentatività, laddove sulle altre associazioni ricadrebbe l'onere di darne prova: la legge, infatti, lungi dall'attribuire alla "Libera associazione" una diretta legittimazione alla designazione di un componente delle commissioni, disciplina il potere del Prefetto e del Ministro, che sono tenuti ad accertare di volta in volta quale associazione o quale ente abbia, fra tutti, il maggior grado di rappresentatività. La legge, in definitiva, collega la norma ad un criterio del tutto obbiettivo, in base al quale le varie associazioni del settore vengono poste in una posizione di parità.

L'esegesi delle disposizioni impugnate esclude la validità del rilievo, pure prospettato dalla difesa privata, che la L.A.N.M.I.C., in quanto espressamente menzionata, venga in definitiva parificata agli enti pubblici che sono chiamati a concorrere alla composizione delle commissioni: ed infatti, mentre tassativamente é prescritta la nomina di un medico dell'I.N.P.S. e di un medico dell'O.N.I.G., per la "Libera associazione" si determina il concorso con le altre associazioni o enti, da risolversi, come si é detto, con l'applicazione del criterio della maggiore rappresentatività. E per queste stesse ragioni é da escludere l'ipotesi che, a causa dell'espresso riferimento che la legge fa alla L.A.N.M.I.C., possa essere prescelto il medico di questa anche dopo la eventuale perdita di ogni sua capacità rappresentativa.

4. - Nell'ambito delle questioni fin qui considerate non sussiste, pertanto, disparità di trattamento tra la L.A.N.M.I.C. e le altre associazioni, e poiché il giudice a quo ricollega a tale ipotizzata disparità la violazione non solo dell'art. 3, ma anche degli artt. 2, 4 e 18 della Costituzione, viene meno la premessa che avrebbe reso necessario esaminare se la denunziata disuguaglianza comporti anche una lesione dei beni protetti da tali norme.

Ma una questione più ampia, e sostanzialmente diversa, viene sollevata dall'ordinanza di rimessione allorché, in sede di motivazione della violazione dell'art. 97 della Costituzione, si osserva che la presenza di un medico della L.A.N.M.I.C. nelle commissioni non costituisce "una sicura garanzia di indipendenza e di serenità di giudizio", atteso che "se egli é medico della Libera associazione, dovrà di tale organismo tutelare e difendere i diritti". É chiaro che la censura, anche se esemplificata con riferimento alla L.A.N.M.I.C., investe il sistema stesso predisposto dalla legge: denunzia, cioè, il pericolo di parzialità dell'azione amministrativa e la disparità fra le varie associazioni determinati dal fatto che queste non concorrono nella designazione e che il medico di una sola di esse viene nominato componente delle commissioni.

La questione appare fondata.

Non vi é dubbio che, al fine di assicurare il buon andamento dei pubblici uffici, il legislatore può legittimamente disporre che determinati organi collegiali vengano composti anche con la partecipazione di membri che provengano da gruppi sociali operanti nel settore, e ciò al fine di rendere possibile una più efficiente rilevazione degli interessi da soddisfare e di consentire l'apporto di concrete esperienze relative alla materia sulla quale la pubblica Amministrazione é chiamata a provvedere. Tuttavia, quando nella realtà sociale agisca una pluralità di gruppi, in contrapposizione o in concorrenza fra loro, la legge, ad evitare che i componenti abbiano ad agire nell'interesse particolare del gruppo di provenienza piuttosto che nell'interesse obbiettivo dell'Amministrazione, deve predisporre un sistema che assicuri la parità fra i gruppi stessi: questa, infatti, diventa condizione essenziale di un'organizzazione che, come l'art. 97 della Costituzione richiede, garantisca l'imparzialità amministrativa.

Nel caso in esame manca ogni concorso delle varie associazioni nella designazione del componente delle Commissioni provinciali o centrale, la cui nomina deve essere effettuata, secondo quanto innanzi si é detto, esclusivamente in base al maggior grado di rappresentatività di una sola associazione rispetto a ciascuna delle altre: e ciò comporta la conseguenza che queste ultime vengono del tutto escluse dal procedimento di formazione dell'organo anche se, per ipotesi, fossero in grado, mediante accordi, di offrire una designazione più ampiamente rappresentativa; mentre, di contro, l'associazione relativamente più rappresentativa viene in certa guisa riconosciuta come unico centro di rappresentazione degli interessi dell'intero settore. Da ciò discende che il componente del collegio, scelto esclusivamente in virtù della sua appartenenza ad una determinata associazione, non offre le necessarie garanzie di imparzialità e che, di conseguenza, l'organizzazione dell'ufficio non risponde al canone prescritto dall'art. 97, comma primo, della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 5, commi primo e quinto, della legge 5 ottobre 1962, n. 1539, contenente "provvedimenti in favore dei mutilati e invalidi civili", nella parte in cui dispone che un medico nominato componente delle Commissioni provinciali e della Commissione centrale sia "della Libera associazione nazionale mutilati e invalidi civili o di altri enti o associazioni più rappresentativi";

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma secondo, della legge 5 ottobre 1962, n. 1539, in riferimento agli artt. 3, 2, 4 e 18 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 marzo 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

 

 

Depositata in cancelleria il 23 marzo 1966.