SENTENZA N. 86
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1 del R.D.L. 29 settembre 1931, n. 1207, convertito nella legge 11 gennaio 1932, n. 18, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 20 dicembre 1963 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Disertori Pietro e il Ministero del tesoro, iscritta al n. 73 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 132 del 30 maggio 1964;
2) ordinanza emessa il 26 febbraio 1965 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento civile vertente tra la società Albergo Regina e il Ministero del tesoro, iscritta al n. 77 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 139 del 5 giugno 1965.
Visti gli atti di costituzione di Disertori Pietro, della società Albergo Regina e del Ministero del tesoro;
udita nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1965 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi l'avv. Raffaele Cimmino, per Disertori Pietro e per la società Albergo Regina, e il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Ministero del tesoro.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento civile vertente davanti al Tribunale di Roma tra il signor Pietro Disertori e il Ministero del tesoro, l'attore impugnò di incostituzionalità l'art. 1 del R.D.L. 29 settembre 1931, n. 1207 (convertito nella legge 11 gennaio 1932, n. 18), il quale dispone: "É data facoltà al Ministro per le finanze di emanare con propri decreti provvedimenti diretti a disciplinare il commercio dei cambi". Sul fondamento di questa norma il Ministro per le finanze emanò in data 26 maggio 1934 un decreto che, all'art. 1, vietava ogni operazione in cambi e divise che non rispondesse "a reale necessità dell'industria e del commercio ed ai bisogni di chi viaggia all'estero" e all'art. 4 "a banche e banchieri, cambiavalute ecc. di eseguire per conto proprio o di altri l'acquisto su mercati esteri di titoli e valori sia esteri che italiani emessi all'estero..."; e in data 8 dicembre 1934 un altro decreto col quale riservava al solo Istituto nazionale per i cambi con l'estero il commercio di ogni mezzo che possa servire a pagamenti fuori d'Italia. A sua volta il Ministro per gli scambi e le valute in data 14 luglio 1943 emanava un terzo decreto, col quale si faceva obbligo alle persone di nazionalità italiana, aventi sede o residenza nel territorio italiano di offrire in cessione all'Istituto per i cambi con l'estero le valute di cui fossero o divenissero proprietarie, "fatta eccezione delle valute assegnate dall'Istituto fino a quando fosse durato lo scopo per il quale fosse stata disposta l'assegnazione". Fondato su questi decreti il Ministero del tesoro ha irrogato al signor Disertori, con decreto 15 ottobre 1959, una pena pecuniaria di lire 95 milioni per accertate illecite operazioni valutarie; e di questo decreto appunto l'attore ha chiesto la pronunzia giudiziale di illegittimità.
Il Tribunale ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità sollevata e, con ordinanza emessa il 20 dicembre 1963, ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti a questa Corte. L'ordinanza, dopo le notificazioni e comunicazioni di rito, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 132 del 30 maggio 1964.
Le ragioni che escludono la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sarebbero ad avviso del Tribunale di Roma le seguenti:
a) esposti preliminarmente i motivi per i quali il sindacato di legittimità costituzionale si estende anche alle norme anteriori all'entrata in vigore della Costituzione e a quelle abrogate - com'é del caso, il D.L. sopra citato essendo stato abrogato dall'art. 16 del D.L. 6 giugno 1956, n. 476 -, il Tribunale ritiene che la norma impugnata abbia violato l'art. 76 della Costituzione, che prevede la delega dell'esercizio della funzione legislativa dal Parlamento al Governo, non dal Governo (autore del D.L.) a un suo membro, nel caso il Ministro delle finanze; e se é vero che per deleghe anteriori alla Costituzione non é richiesta l'osservanza delle regole poste dall'art. 76 circa i principi direttivi e i termini, é vero altresì che anche nei confronti di deleghe siffatte debbono essere osservati principi generalmente validi in tutti gli ordinamenti in cui viga la divisione dei poteri. Né potrebbe sostenersi, prosegue l'ordinanza, che nel caso in esame la norma non abbia previsto una delega legislativa, ma abbia inteso riconoscere al Ministro per le finanze un potere amministrativo regolamentare: i decreti ministeriali, infatti, emanati in applicazione della norma, non si limitano a introdurre modalità di esercizio di preesistenti poteri in materia di limitazione dell'iniziativa privata nel settore del commercio valutario o a disporre il cosiddetto monopolio delle valute, ma dettano precetti generali ed astratti per la disciplina della complessa materia dei cambi e delle valute e prevedono particolari figure di illeciti valutari e le correlative sanzioni.
b) La norma violerebbe anche l'art. 77 della Costituzione, dato che il Governo non ha emanato disposizioni normative per disciplinare la materia dei cambi, come sarebbe stato necessario, se fosse sussistita l'assoluta necessità ed urgenza dell'intervento legislativo, ma si é limitato a delegare ad un altro organo il potere di disciplinarla, potere per di più esercitato soltanto alcuni anni dopo. E questo contrasto, che riguarda la legittimità costituzionale della norma, non già la sua opportunità politica, non può ritenersi sanato con la successiva conversione in legge, la quale non comporta una radicale sanatoria di tutti i vizi del D. L. sotto il profilo della costituzionalità, quali la inesistenza della necessità ed urgenza, risultante dal medesimo decreto legge, la delega legislativa disposta con decreto legge, l'approvazione ed autorizzazione di provvedimenti governativi a mezzo di decreti-legge e via.
c) Violato risulterebbe l'art. 41 della Costituzione per il fatto che la norma impugnata costituì il fondamento di una serie di disposizioni che limitarono gravemente l'iniziativa economica privata. L'art. 41 introduce una riserva di legge; la norma impugnata, viceversa, non soltanto non contiene alcuna diretta disciplina normativa del settore valutario, ma non ha nemmeno segnato al Ministro per le finanze i fini da raggiungere e i criteri da seguire nel dettare la nuova disciplina, lasciando così il nuovo assetto normativo all'arbitrio della amministrazione.
Il Tribunale ha, viceversa, ritenute manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del D. L. citato in riferimento agli artt. 23 e 43 della Costituzione, e ne ha assegnato le ragioni.
2. - Nel presente giudizio si é costituito il signor Pietro Disertori, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Cimmino, con deduzioni depositate il 18 giugno 1964.
La difesa del Disertori - dopo alcune osservazioni preliminari circa il regime stabilito coi decreti ministeriali ricordati in materia di cambi, l'ammissibilità del sindacato di costituzionalità relativamente a norme anteriori alla Costituzione o abrogate, e dopo aver precisato che la questione di legittimità costituzionale investe anche la legge di conversione con la conseguenza che, anche se si ritenessero insussistenti le violazioni degli artt. 76 e 77 della Costituzione, resterebbe in piedi la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 41 della Costituzione -, sostiene nel merito quanto segue.
La violazione dell'art. 76 della Costituzione non potrebbe essere superata col rilievo che i decreti ministeriali in questione si presentano nelle loro forme come atti regolamentari e non come veri e propri decreti delegati. La linea di demarcazione tra decretazione delegata e regolamenti sarebbe evanescente; per identificare gli atti che assumono forza di legge, il criterio meramente formale sarebbe insufficiente e si dovrebbe tenere l'occhio al carattere innovativo delle statuizioni contenute nell'atto; né potrebbe negarsi la forza di legge ad atti formalmente regolamentari che, nella mancanza di atti legislativi, assumono, come i decreti in esame, la funzione di disciplinare ex novo materie o parti di materie, ponendosi così come fonte diretta ed esclusiva di nuovi doveri, diritti o interessi legittimi dei singoli. Da ciò risulterebbe evidente il contrasto con l'art. 76: la norma in esso contenuta, interpretata in rapporto col primo comma dell'art. 77, stabilisce che l'attribuzione del potere di emanare atti con forza di legge può avvenire solo con legge delle Camere e solo a favore del Governo. E questa disposizione rappresenta un principio già in vigore nell'ordinamento precostituzionale (art. 3, n. 1, della legge 31 gennaio 1926, n. 100) ed é manifestazione dell'altro e più generale principio della divisione dei poteri.
Il contrasto con l'art. 77 riprodurrebbe un contrasto già esistente nel precedente ordinamento, nel quale (art. 3 della mentovata legge 31 gennaio 1926, n. 100) la necessità e l'urgenza di provvedere costituivano essenziale presupposto per l'emanazione dei decreti legge. Nel caso in esame la insussistenza del prescritto presupposto, che la difesa qualifica, come già l'ordinanza, un vero e proprio vizio di legittimità costituzionale, risulterebbe obiettivamente dal medesimo decreto legge, che attribuisce al Ministro una facoltà, subordinandone l'esercizio all'arbitrio di questo, che può disporre non soltanto il come, ma addirittura il se di una normativa, della quale, tuttavia, si presuppone la necessità e l'urgenza. Aggiunge la difesa che, anche se si volessero ritenere non sufficienti tali rilievi, bisognerebbe richiamare la tesi, autorevolmente sostenuta, che vi sono casi nei quali, come quelli in cui vi sia riserva di legge, non é sufficiente una generica e astratta necessità di provvedere, ma é richiesta invece una particolare necessità di fatto, una necessità pratica e concreta, che non può essere soddisfatta se non con la diretta disciplina della materia riservata.
Quanto alla terza questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 41 della Costituzione, la difesa della parte privata, illustrato il principio costituzionale della riserva di legge in generale e con riferimento agli artt. 41-47 della Costituzione, osserva che la violazione di tale principio risulta nel caso dalle seguenti considerazioni: a) la norma impugnata riguarda un'attività sicuramente "economica" ai sensi e agli effetti dell'art. 41 della Costituzione; b) essa assoggetta l'iniziativa e lo svolgimento dell'attività economica del singolo a un'amplissima possibilità di limitazioni, senza disporre alcunché quanto al merito di esse, limitandosi soltanto ad attribuire ad un organo non legislativo il potere di disporle se, come e quando vorrà; c) la norma rivela la totale mancanza di quella predeterminazione legislativa di fini, criteri e mezzi richiesta inderogabilmente in ogni ipotesi di riserva di legge, consentendo così alla prevista decretazione ministeriale di giungere alla gravissima ed estrema conseguenza non solo di limitare l'iniziativa economica privata, ma anche di eliminarla del tutto, contro il principio secondo il quale l'art. 41 ammette solo limitazioni, non divieti assoluti dell'iniziativa economica privata.
3. - Nel giudizio si é costituita l'Amministrazione del tesoro, nella persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, che ha depositato deduzioni il 18 giugno del 1964.
La tesi di fondo dell'Avvocatura é che la norma impugnata non contenga una delega legislativa, ma soltanto un'attribuzione di potestà regolamentare. Tuttavia l'Avvocatura espone in primo luogo gli argomenti che a suo avviso dimostrano l'infondatezza di quelli coi quali l'ordinanza del Tribunale di Roma ha motivato la non manifesta infondatezza delle tre sollevate questioni di costituzionalità.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte il sindacato di costituzionalità delle delegazioni legislative anteriori alla Costituzione, dovrebbe limitarsi a stabilire: a) l'esistenza di una delega, b) l'osservanza di essa da parte del Governo, nel senso che questo deve essersi tenuto nei confini della delegazione. Tutti e due questi limiti sarebbero stati osservati nel caso in esame. Né si potrebbe sostenere che l'illegittimità del decreto legge impugnato derivi dalla incompetenza sia dell'organo delegante (Governo), sia dell'organo delegato (Ministro). Il decreto legge fu infatti convertito in legge nei termini fissati dall'ordinamento costituzionale dell'epoca e i provvedimenti delegati non furono emanati prima di codesta conversione. D'altra parte in quel medesimo ordinamento costituzionale erano ammessi i decreti legislativi di urgenza, senza che se ne delimitasse il possibile contenuto. Sotto il vigore di una Costituzione elastica, si vuol dire, non v'era possibilità di differenziazioni rilevanti costituzionalmente fra il contenuto di un decreto legge e quello di una legge formale. Né, sempre nell'ordinamento precostituzionale, era possibile un giudizio sull'urgenza e la necessità della decretazione governativa altro da quello politico del Parlamento (art. 3, n. 2), il quale fu esercitato al momento della conversione, ed é perciò precluso a qualsiasi organo successivamente competente in base a nuove norme costituzionali.
Quanto al secondo profilo - quello cioè dell'incompetenza dell'organo delegato -, l'Avvocatura osserva che non sarebbe stato violato alcuno dei principi essenziali dei regimi che accolgono la divisione dei poteri, dato che sia il Governo sia il Ministro appartengono al potere esecutivo. Non risulterebbe violato nemmeno l'art. 41 della Costituzione. Se la norma impugnata infatti contiene una vera e propria delega legislativa, come si sostiene ex adverso, le eventuali limitazioni della libera iniziativa economica privata sarebbero state apportate con leggi, "tali dovendo ritenersi i decreti ministeriali delegati", i quali, d'altra parte, sarebbero stati recepiti o se si vuole convalidati dal R.D.L.5 dicembre 1938, n. 1928, convertito nella legge 2 giugno 1939, col quale sono state emanate le norme per la repressione delle violazioni della legge valutaria. E di questa legge non é contestata la costituzionalità.
4. - Tutto ciò premesso, l'Avvocatura svolge la tesi, che si é detta di fondo, che col D. L. impugnato e con la legge di conversione si volle attribuire al Ministro per le finanze la potestà di emanare regolamenti delegati, dei quali sono descritti il carattere, la natura e l'efficacia giuridica. Nel caso in esame, sarebbero ricorse le circostanze che di solito giustificano il ricorso ai regolamenti delegati e le stesse espressioni testuali del decreto impugnato e dei provvedimenti che ne derivano confermerebbero che ci si trova in presenza di regolamenti di questo genere. Vero é, continua l'Avvocatura, che la dottrina più recente ritiene che la figura dei regolamenti delegati sia da ammettere solo in quanto essi non invadano la sfera normativa riservata dalla legge alla Costituzione; e che quindi nel caso la riserva di legge posta dall'art. 41 costituirebbe un ostacolo alla legittimità di regolamenti siffatti; ma occorre osservare in contrario che la richiamata riserva di legge, introdotta ex novo dalla Costituzione attuale, non potrebbe vincolare il legislatore del 1931-32.
Quanto, infine, al contrasto con l'art. 41, la Corte costituzionale, pur avendo ammesso che la riserva di legge posta da questo precetto riguardi anche i provvedimenti legislativi anteriori alla Costituzione, avrebbe ritenuto tuttavia, "seppure per implicito", che si tratterebbe di riserva relativa, non assoluta, nel senso che l'intervento del legislatore nell'applicazione di limitazioni all'iniziativa economica privata non può esaurire l'intera regolamentazione della materia.
Ciò premesso, l'Avvocatura osserva che il principio fondamentale della disciplina dei cambi fu stabilito con legge, precisamente col decreto legge e la legge di conversione ora impugnati, che tutti i decreti ministeriali emanati per l'attuazione del D. L. 1207 del 1931 e dei successivi provvedimenti in materia valutaria furono, come s'é visto, recepiti dal R.D.L. 12 maggio 1938, n. 794, convertito nella legge 9 gennaio 1939, n. 380, e dal R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739.
5. - Nel corso di un procedimento civile davanti alla Corte d'appello di Roma tra la Società Albergo Regina e il Ministero del tesoro furono sollevate le medesime questioni di legittimità costituzionale del R.D.L. 29 settembre 1931, n. 1207, convertito nella legge 11 gennaio 1932, n. 18, in relazione agli articoli 76, 77, 41, 23 e 43 della Costituzione.
La Corte d'appello, sulla base degli argomenti svolti già nell'ordinanza del Tribunale di Roma, ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni relative agli artt. 76, 77 e 41 della Costituzione, manifestamente infondate le altre.
L'ordinanza, emessa il 26 febbraio 1965, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 139 del 5 giugno 1965.
6. - Nel presente giudizio si é costituita la Società per azioni Albergo Regina, in persona dell'amministratore unico sig. Marino Magli, rappresentata e difesa dall'avv. Raffaele Cimmino. Nelle deduzioni depositate il 21 giugno 1965 la difesa dell'Albergo Regina ripropone le medesime tesi fatte valere nel giudizio introdotto con l'ordinanza del Tribunale di Roma e già riferite.
Lo stesso é da dire delle deduzioni, che, in difesa del Ministero del tesoro, l'Avvocatura dello Stato, che lo rappresenta ex lege, ha depositato il 31 maggio 1965.
7. - Tanto la difesa del signor Disertori e della s.p.a. Albergo Regina, quanto l'Avvocatura dello Stato hanno ribadite le loro tesi e respinte quelle avversarie in memorie depositate, rispettivamente il 13 ottobre e il 9 ottobre 1965.
8. - Nell'udienza del 27 ottobre 1965 le difese delle parti hanno illustrato le tesi già proposte negli scritti difensivi e insistito nelle già prese conclusioni.
Considerato in diritto
1. - I due giudizi, che hanno ad oggetto le medesime questioni di legittimità costituzionale e sono stati trattati congiuntamente nella pubblica udienza del 27 ottobre 1965, vanno decisi con unica sentenza.
2. - Ai fini dell'esatta definizione dei presenti giudizi di costituzionalità, occorre fare qualche precisazione. Non é esatto, in primo luogo, che i tre decreti dai quali ha preso le mosse il Tribunale di Roma per sottoporre alla Corte la questione di legittimità costituzionale, siano fondati esclusivamente sul D. L. 29 settembre 1931, n. 1207, convertito nella legge 11 gennaio 1932, n. 18, giacché il D. M. 26 maggio 1934 intitolato "Norme che regolano le operazioni in cambi o divise" e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n. 124 dello stesso giorno, fu emanato dal Ministro delle finanze nell'esercizio di poteri che gli derivavano, oltre che dal decreto legge impugnato, anche dal D. L. 26 maggio 1934, n. 804; e il D.M. 14 luglio 1943, intitolato "Cessione obbligatoria delle valute estere", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n. 168 del 14 luglio 1943, emanato dal Ministro per gli scambi e per le valute, fa richiamo oltre che al decreto legge impugnato, anche al D.L. 8 dicembre 1934, n. 1942, convertito con modificazioni nella legge 9 gennaio 1936, n. 103, "contenente provvedimenti concernenti la cessione delle divise e la dichiarazione del possesso di titoli emessi all'estero". Vero é che il D.M. 8 dicembre 1934, intitolato "Obbligatorietà della cessione dei mezzi di pagamento derivanti da esportazione e norme per il commercio di ogni mezzo che possa servire a pagamenti all'estero" fa richiamo al solo decreto legge impugnato, ma occorre tener presente che esso reca la stessa data del decreto legge ora citato, che regolava, per lo meno parzialmente, la medesima materia.
In secondo luogo, il decreto del Ministro delle finanze che inflisse la pena al signor Disertori, contesta a costui infrazioni previste, oltre che dall'art. 2 del D. M. 8 dicembre 1934 - il quale dispone che "é riservato al solo Istituto nazionale per i cambi con l'estero il commercio di ogni mezzo che possa servire ai pagamenti fuori d'Italia" (norma che compare anche in altri provvedimenti legislativi) -, anche dagli artt. 3 del D.L. 8 dicembre 1934, n. 1942,1 del D.L. 7 agosto 1936, n. 1631, 1 e 4 del D.M. 26 maggio 1934 e 1 del D.M. 14 luglio 1943 combinati fra loro - e si richiama per l'irrogazione della pena all'art. 1 del D. L. 5 dicembre 1938, n. 1928, e all'art. 2 del D.L. 12 maggio 1938, n. 794; e il decreto che inflisse la sanzione pecuniaria alla Società "Albergo Regina", soltanto nei confronti di uno dei trasgressori, un certo signor Vaccaro, si fondò sulla norma contenuta nell'art. 9 del già citato D.M. 8 dicembre 1934.
Tutto questo si richiama non già per rifare in questa sede il giudizio di rilevanza delle sollevate questioni di costituzionalità della legge impugnata e degli atti che soltanto parzialmente ne derivano, - giudizio che é di competenza del giudice a quo e che, nel caso presente, é stato tale da introdurre legittimamente il giudizio di costituzionalità -, quanto per constatare come la legge impugnata e i relativi decreti ministeriali si inseriscono in un complesso sistema organizzatorio e normativo dell'importante settore dei cambi e delle valute, del quale i decreti legge e ministeriali citati costituiscono soltanto la parte minore, laddove la maggiore restò in vigore anche dopo la promulgazione della cosiddetta legge valutaria 25 luglio 1956, n. 786, che convertì con modifiche il D. L. 6 giugno 1956, n. 476.
3. - In tale complesso sistema le norme dei decreti ministeriali impugnati sono state recepite nella contemporanea o successiva legislazione anteriore alla legge valutaria che abrogò, insieme con altre leggi, anche quella oggetto del presente giudizio. E in effetti molte delle norme che concretano i decreti ministeriali ricordati si ritrovano, con modifiche o senza modifiche, in atti della cui forza di legge non é possibile dubitare, con un procedimento non raro nel regime precostituzionale, sotto il quale le disposizioni che regolavano la produzione delle norme giuridiche e stabilivano le relative competenze non avevano la "forza" che le nuove norme costituzionali in materia hanno, viceversa, in un regime di costituzione rigida, tanto che l'osservanza di quelle può essere controllata in sede di legittimità costituzionale soltanto in un ambito ed entro limiti ridotti, come é stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte.
Nel caso attuale, in particolare, occorre tener presenti le "Norme per l'accertamento delle trasgressioni in materia valutaria e di scambi con l'estero" e le "Norme per la repressione delle violazioni delle leggi valutarie" emanate con i decreti legge 12 maggio 1938, n. 794, e 5 dicembre 1938, n. 1928, convertiti, rispettivamente, nelle leggi 9 gennaio 1938, n. 380, e 2 giugno 1939, n. 739, le quali non soltanto regolarono ex novo la materia dell'accertamento e della repressione delle trasgressioni valutarie, innovando per quanto attiene alle sanzioni pecuniarie irrogate dalle precedenti leggi e decreti, ma recepirono anche le norme di comportamento contenute nei decreti legge e nei decreti ministeriali enumerati nell'art. 1 del R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928, tra i quali il D. L. 29 settembre 1931, n. 1207, e i decreti ministeriali che ne discendono, che devono essere ricompresi tra "tutti i decreti ministeriali emanati per l'attuazione dei citati provvedimenti legislativi", dei quali fa parola esplicitamente la norma ora citata.
Se così stanno le cose, restano assorbite non soltanto le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, ma anche quella relativa alla riserva di legge prevista dall'art. 41, riserva di legge puntualmente osservata, una volta che la materia oggetto dei decreti ministeriali sia stata recepita in atti aventi forza di legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni sollevate con ordinanze 20 dicembre 1963 dal Tribunale di Roma e 26 febbraio 1965 dalla Corte d'appello di Roma, sulla legittimità costituzionale del R.D.L. 29 settembre 1931, n. 1207, convertito nella legge 11 gennaio 1932, n. 18, in riferimento agli artt. 76, 77 e 41 della Costituzione,
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 1965.