SENTENZA N. 75
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale di norme contenute negli artt. 2, secondo comma, n. 5, e 3, secondo comma, della legge 5 luglio 1965, n. 798, recante modifiche alle leggi 8 gennaio 1952, n. 6, e 25 febbraio 1963, n. 289, riguardanti la previdenza ed assistenza forense, promosso con ordinanza emessa dalla Corte costituzionale l'11 novembre 1965 nel corso del giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, secondo comma, del R.D.L. 5 marzo 1942, n. 186, iscritta al n. 208 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 284 del 13 novembre 1965.
Visto l'atto di costituzione dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;
udita nell'udienza pubblica del 1 dicembre 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna per l'Amministrazione finanziaria.
Ritenuto in fatto
1. - La Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette di Ascoli Piceno, con ordinanza del 20 giugno 1963, aveva denunciato, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, l'art. 4, secondo comma, della legge 5 marzo 1942, n. 186.
L'Amministrazione finanziaria dello Stato si era costituita con atto del 4 agosto 1964 contestando le affermazioni dell'ordinanza di rinvio.
2. - La causa é andata in udienza il 10 novembre 1965, ma successivamente la Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio per deciderla, con ordinanza 11 novembre 1965 ha sollevato davanti a se stessa, come pregiudiziale, la questione di costituzionalità degli artt. 2, secondo comma, n. 5, e 3, secondo comma, della legge 5 luglio 1965, n. 798.
Queste norme impongono la corresponsione di due tipi di contributi, uno dei quali colpisce anche i difensori che esercitano il proprio ministero presso la Corte costituzionale (art. 2) e l'altro si riferisce anche ai provvedimenti della stessa Corte (prima copia) e grava su chi é tenuto a pagare o ad anticipare le spese del giudizio (art. 3). Le due disposizioni sono state denunciate da questa Corte per contrasto con l'assoluta gratuità degli atti del procedimento di legittimità costituzionale, e cioé con un principio che sarebbe desumibile dagli artt. 134 e 137 della Costituzione e dalle leggi costituzionali 9 febbraio 1948, n. 1, e 11 marzo 1953, n. 1, e recepito nell'art. 21 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e nell'art. 3 della legge 18 marzo 1958, n. 265.
3. - Nelle deduzioni del 23 novembre 1965 l'Amministrazione finanziaria dello Stato aderisce ai rilievi contenuti nella predetta ordinanza di questa Corte.
Considerato in diritto
1. - I due giudizi, quello promosso incidentalmente dalla Corte costituzionale e quello promosso dalla Commissione delle imposte di Ascoli Piceno, devono essere decisi con due sentenze separate: essi infatti hanno oggetti diversi, anche se la pregiudizialità dell'uno rispetto all'altro ne ha reso opportuna la discussione congiunta.
2. - La questione, sollevata incidentalmente dalla Corte costituzionale e relativa agli artt. 2 e 3 della legge 5 luglio 1965, n. 798, é fondata.
L'art. 2 impone, fra l'altro, agli avvocati, che esercitano il proprio ministero presso la Corte costituzionale, un contributo che si riscuote evidentemente con l'applicazione di marche da parte della cancelleria; l'art. 3 fa gravare, su chi deve pagare o anticipare le spese di giudizio, un altro contributo, che si riferisce anche ai provvedimenti della Corte costituzionale (prima copia) e si riscuote in modo analogo. Le due disposizioni, come già la legge 25 febbraio 1963, n. 289, hanno dunque derogato all'assoluta gratuità che caratterizza i giudizi davanti a questa Corte.
Che tali procedimenti debbano essere del tutto gratuiti é principio connaturato al sistema della giustizia costituzionale (art. 134 e segg. della Costituzione); nella quale appunto l'interesse, che si deve tutelare, é quello obiettivo e generale di eliminare dall'ordinamento gli atti contrari a norme costituzionali. Non si nega infatti che le parti, comunque esse si vogliano qualificare, siano o possano essere mosse da interessi propri o personali; ma si vuol dire che questi interessi, pur essendo presenti, non affiorano nell'arco del giudizio, tutto spiegato verso la sola attuazione di quel fine obiettivo. Ne sono conferma le norme che riservano la proposizione del giudizio di legittimità costituzionale solo all'autorità giudiziaria (giudizio promosso in via incidentale anche d'ufficio) o a soggetti muniti di potestà legislativa (giudizio proposto in via principale) e consentono al Presidente del Consiglio dei Ministri o della Giunta regionale di intervenirvi.
3. - Dato ciò, il giudizio di legittimità costituzionale, pur ammettendo la partecipazione di parti private, si svolge al di sopra dei loro interessi e non consente ostacoli, anche lievi o indiretti, al proprio svolgimento. Ne deriva che ad esso é naturalmente estraneo ogni concetto di soccombenza: non vi sono né vincitori né vinti, rispetto al fine che lo domina, mentre qualunque adempimento pecuniario, anche esiguo, può costituire una remora a quella ampia collaborazione che, nei limiti previsti dalla legge, é innegabilmente utile o perfino necessaria.
Questo spiega come le leggi n. 87 del 1953 (art. 21), n. 265 del 1958 (art. 3) oltreché le Norme integrative approvate dalla Corte costituzionale (artt. 16 e 30) escludano imposizioni tributarie e condanne nelle spese. Si tratta di norme che non hanno valore costituzionale, ma é indubbio che esse svolgono principi già contenuti nel sistema costituzionale; tale é fra l'altro il significato del rinvio che alla prima di esse é fatto dalla legge costituzionale 1953 n. 1, art. 1. Del resto i precetti costituzionali, cioè gli artt. 134 e segg. della Costituzione e il primo articolo delle leggi n. 1 del 1948 e n. 1 del 1953, attribuendo a questa Corte il compito di difesa dell'ordinamento costituzionale, non possono consentire che siano colpiti da oneri pecuniari, che appesantiscono il corso del giudizio, proprio coloro che collaborano a tale funzione.
4. - Analoghe considerazioni valgono per i giudizi che risolvono conflitti di attribuzione e per i giudizi di responsabilità del Capo dello Stato e dei Ministri: i primi riguardano atti di cui si denuncia il contrasto con norme costituzionali; i secondi, riguardando soggetti che sono ai vertici dello Stato, coinvolgono principi, procedimenti e garanzie di ordine costituzionale.
5. - La legge 25 febbraio 1963, n. 289, negli artt. 3 e 4, aveva contenuto analogo a quella denunciata: perciò anche di essa, per gli effetti che possano ancora derivarne, si deve dichiarare la illegittimità costituzionale in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 2 della legge 5 luglio 1965, n. 798, nelle parole "alla Corte costituzionale" e 3 della stessa legge nelle parole "della Corte costituzionale";
dichiara inoltre, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale degli artt. 3 della legge 25 febbraio 1963, n. 289, nelle parole "alla Corte costituzionale" e 4 della stessa legge nelle parole "della Corte costituzionale".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 dicembre 1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 1965.