ORDINANZA N. 35
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 150 del Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 26 settembre 1964 dal Giudice istruttore del Tribunale di Velletri nel procedimento penale a carico di Genna Antonio, iscritta al n. 172 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 295 del 28 novembre 1964.
Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;
Ritenuto che nel corso del procedimento penale contro Genna Antonio, con ordinanza del 26 settembre 1964, il Giudice istruttore presso il Tribunale di Velletri ha sollevato, d'ufficio, la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 150 del Codice penale, per la quale, la morte del reo, avvenuta prima della condanna, estingue il reato. Secondo l'ordinanza, il termine "reo" avrebbe assunto quasi esclusivamente il significato di "colpevole" o di "condannato" non soltanto nella comune accezione, ma anche nella terminologia dello stesso Codice (es. art. 171); onde, la norma impugnata sarebbe in contrasto col precetto dell'art. 27 della Costituzione: "l'imputato non é considerato colpevole sino alla condanna definitiva";
Considerato che il termine reo, nell'art. 150 del Codice penale non ha affatto il significato di "colpevole", come si assume nell'ordinanza, le cui argomentazioni sono smentite dalla relazione al Codice di procedura penale del 1930, la quale ha chiaramente spiegato le ragioni per le quali alla dizione "morte dell'imputato", usata dal precedente Codice, é da preferirsi "morte del reo". Il legislatore ha inteso, invero, dare alla parola un significato ben diverso da quello di persona dichiarata colpevole, ed evitare nel contempo il richiamo ad altra nozione che sarebbe di carattere processuale. Ed in ciò concordando anche la dottrina - e nessun dubbio essendo stato giammai sollevato nella pratica applicazione della norma - non appare per nulla giustificato il dissenso manifestato dalla ordinanza e basato su argomenti, che possono condurre ad una sola conclusione: che cioè il Codice penale adotta, in modo più o meno appropriato, il termine "reo" per indicare talvolta l'imputato e talvolta il condannato.
E poiché, nell'uso delle parole, l'importante é che ognuno sappia intenderle nel significato loro attribuito, la questione é manifestamente infondata, com'é altresì confermato dal rilievo che la norma di legge deve necessariamente ricorrere all'uso di un termine per indicare il soggetto la cui morte importa la estinzione del reato, mentre il giudice non é affatto vincolato a ripetere nella decisione le stesse parole del Codice, nulla vietando che egli si avvalga di altro termine, o tecnico, quale "imputato", oppure privo di ogni qualificazione giuridica;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 150 del Codice penale proposta dalla ordinanza del Giudice istruttore di Velletri in riferimento all'art. 27 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 23 aprile 1965.