Sentenza n. 23 del 1965
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SENTENZA N. 23

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2, lett. a, della legge 21 dicembre 1960, n. 1521, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 31 ottobre 1963 dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra Bevilacqua Pietro e Ottolenghi Eugenio, iscritta al n. 32 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 67 del 14 marzo 1964;

2) ordinanza emessa il 30 gennaio 1964 dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra Vianello Antonio e la Sacra Congregazione "De propaganda fide", iscritta al n. 61 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 108 del 2 maggio 1964.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione in giudizio della Congregazione "De propaganda fide";

udita nell'udienza pubblica del 18 novembre 1964 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;

uditi l'avv. Francesco Silvestri, per la Congregazione, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il dott. Eugenio Ottolenghi, locatore di un immobile destinato ad abitazione, con atto 3 novembre 1961, citava davanti al Pretore di Venezia il conduttore sig. Pietro Bevilacqua, per far dichiarare la cessazione del regime vincolistico, a norma dell'art. 2, lett. a, della legge 21 dicembre 1960, n. 1521, in quanto l'immobile aveva una superficie coperta superiore ai mq. 200.

Resisteva il Bevilacqua. Accertato con consulenza tecnica che la superficie coperta complessiva dell'immobile era di mq. 210, il Pretore accoglieva la domanda, con sentenza 18 aprile 1962. Il Bevilacqua proponeva appello, sostenendo che una razionale interpretazione della norma indicata porta ad escludere dal computo della "superficie coperta" le superfici su cui insistono i muri e quelle di elementi estranei all'abitazione, come il vano della scala.

Il Tribunale di Venezia, con ordinanza 31 ottobre 1963, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, lett. a, limitatamente alla parte in cui é prevista la cessazione del regime vincolistico delle locazioni aventi ad oggetto "immobili destinati ad abitazione considerati di lusso ai sensi del decreto ministeriale 7 gennaio 1950, n. 2, e aventi una superficie coperta superiore ai metri quadrati 200", in riferimento all'art. 3 della Costituzione. L'ordinanza osserva che, per effetto del richiamo al n. 2 del D. M. 7 gennaio 1950, vengono ad essere comprese fra le ipotesi di cessazione del regime vincolistico, quella delle case di lusso circondate da giardino o parco, per le quali si richiede una superficie "utile" superiore a mq. 200, esclusi dal computo terrazze, cantine, soffitte e scale, e quella genericamente indicata con la formula immobili "aventi una superficie coperta superiore ai mq. 200". Se, prosegue l'ordinanza, per superficie coperta si deve intendere la superficie dell'immobile, compresi i muri, le scale, le cantine ecc., si ha che i conduttori di case circondate da parco o giardino hanno diritto a un computo della superficie dell'abitazione più favorevole rispetto ai conduttori di case senza parco o giardino circostante, dovendosi nel loro caso escludere quegli elementi dal computo della superficie utile. In questo trattamento disuguale di situazioni sostanzialmente uguali, in quanto caratterizzate dal comune elemento dell'estensione orizzontale dell'immobile superiore a 200 metri quadrati, si ravvisa il contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata.

2. - Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto 13 gennaio 1964, nel quale si rileva che l'ipotesi dell'immobile con superficie coperta superiore a mq. 200, introdotta durante la discussione della legge 21 dicembre 1960 con un emendamento all'originario disegno di legge, assorbe l'ipotesi della casa circondata da parco o giardino con superficie utile di mq. 200: ipotesi, quest'ultima, che era prevista nel D. M. 7 gennaio 1950, al n. 2, al quale fu, nella legge del 1960, erroneamente mantenuto il richiamo dopo che era stato approvato l'emendamento.

Comunque, soggiunge l'atto di intervento, l'asserito contrasto con l'art. 3 della Costituzione nella specie non sussiste.

3. - La medesima questione di legittimità costituzionale é stata sollevata dallo stesso Tribunale di Venezia, con ordinanza 30 gennaio 1964, nel giudizio di appello promosso dal sig. Antonio Vianello conduttore nei confronti della locatrice Congregazione "De propaganda fide", avverso una sentenza del Pretore che aveva dichiarato cessata la proroga della locazione di un immobile, avente una superficie coperta superiore ai 200 mq. Nell'ordinanza si osserva come, posto che la superficie coperta di una casa di abitazione, nella sua estensione comprensiva dello spessore dei muri, é sempre superiore a quella utile, che la legge stessa considera netta dai vani accessori espressamente indicati, a parità di superficie coperta talune case continuano ad essere sottoposte al regime vincolistico, essendo circondate da giardino o parco, mentre altre vengono sottratte a tale regime, pur essendo sprovviste di simile vantaggio, in contrasto con le finalità della stessa legge e con l'art. 3 della Costituzione.

Si é costituita in giudizio la Congregazione "De propaganda fide", rappresentata dall'avv. Francesco Silvestri, con atto 18 aprile 1964. Con esso si chiede che la questione sia dichiarata infondata, perché non esiste una differenziazione di trattamento, in quanto la norma in esame ha carattere alternativo, dipendendo la cessazione del regime vincolistico dalla ricorrenza dell'una o dell'altra ragione.

Si é anche costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto 10 marzo 1964, nel quale, rilevata la completa analogia della questione con quella sollevata nel giudizio Bevilacqua-Ottolenghi, si chiede, in via pregiudiziale, la riunione delle due cause, e nel merito la dichiarazione di infondatezza della sollevata questione, per le ragioni innanzi esposte.

La difesa della Congregazione "De propaganda fide" ha presentato una nota illustrativa, in data 4 novembre 1964, in cui si rileva che la norma dell'art. 2 della legge n. 1521 del 1960 ha assorbito le caratteristiche del n. 2 del D. M. 7 gennaio 1950, in quanto il riferimento alla superficie coperta costituisce un minus rispetto alla norma di cui a tale decreto. Tuttavia si soggiunge che la valutazione specifica dei singoli casi indicati nella legge 21 dicembre 1960, n. 1521, é dovuta alla opportunità di una disciplina differenziata dei casi stessi, ed é priva di vizio logico, cosicché non potrebbe essere censurata sotto il profilo del principio di eguaglianza.

L'Avvocatura dello Stato ha presentato memoria in entrambe le cause, nelle quali si recano altri elementi a dimostrare il mancato coordinamento degli emendamenti col disegno di legge, durante i lavori preparatori della legge 21 dicembre 1960, n. 1521, e si insiste per la dichiarazione di infondatezza.

4. - Nella discussione orale i difensori hanno ribadito le rispettive tesi ed insistito nelle conclusioni prese.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause possono essere riunite e decise con unica sentenza, vertendo su una medesima questione di legittimità costituzionale.

2. - Il Tribunale, nel porre la questione, parte dal presupposto che le due ipotesi enunciate nell'art. 2, lett. a, della legge 21 dicembre 1960, n. 1521 (immobili considerati di lusso ai sensi del n. 2 del D. M. 7 gennaio 1950 ed immobili aventi una superficie coperta superiore ai metri quadrati 200) siano disgiunte, nel senso che le case circondate da giardino indicate nel n. 2 del citato decreto ministeriale e le case aventi una superficie coperta superiore ai metri quadrati 200 costituiscano due categorie di abitazioni alle quali la legge avrebbe attribuito, agli effetti della cessazione del regime vincolistico, una disciplina distinta e separata con l'effetto che sarebbero sottratte al regime vincolistico le abitazioni circondate da giardino aventi una superficie utile superiore ai metri quadrati 200, mentre resterebbero sottoposte al vincolo le abitazioni dello stesso tipo che abbiano una superficie coperta superiore ai 200 metri quadrati. Situazione assurda, di fronte alla quale il dubbio di legittimità sollevato dal Tribunale avrebbe una ragione d'essere.

Senonché, a giudizio della Corte, il significato della norma denunziata é diverso da quello che gli attribuiscono i giudici del merito. La Corte ritiene, infatti, che le due ipotesi previste nella norma in esame siano state enunciate congiuntamente, nel senso che una non esclude l'altra, nel senso, cioè, che un alloggio, che non rientri in una delle due categorie, possa, ove ne abbia i requisiti, rientrare nell'altra. In termini più concreti, se un'abitazione avente gli altri requisiti previsti dal n. 2 del D. M. 7 gennaio 1950 abbia una superficie coperta superiore a metri quadrati 200, é da ritenere che essa corrisponda alla previsione della legge, al pari dell'abitazione che presenti tutti i requisiti previsti dallo stesso n. 2 del predetto decreto (abbia, cioè, una superficie utile superiore ai 200 metri quadrati).

In sostanza, secondo l'interpretazione che alla Corte appare più esatta, il requisito della "superficie coperta" nel senso che a questa espressione é stato attribuito dalla giurisprudenza prevalente in contrapposto a quello di "superficie utile" (nel senso cioè che la superficie coperta comprenda anche i muri perimetrali e interni con esclusione soltanto delle terrazze, balconi, pianerottoli, cantine e soffitte), vale anche nei confronti delle case indicate nel n. 2 del ripetuto decreto ministeriale. Cosicché tali immobili rientrano nella previsione della legge tanto se hanno una superficie utile, quanto se hanno una superficie coperta superiore ai 200 metri quadrati.

Così intesa, la norma ha un suo chiaro significato: essa prevede, tra l'altro, due distinte ipotesi, di cui la seconda (superficie coperta superiore ai 200 metri quadrati) assorbe in parte la prima (case circondate da giardino), ma non in tutto, giacché resta operante l'ipotesi relativa alle case con giardino che abbiano una superficie utile superiore ai 200 metri quadrati.

Che questa sia la esatta interpretazione della norma risulta dal significato delle parole della legge e dall'intenzione del legislatore, quale emerge anche dai lavori preparatori.

É da considerare, anzitutto, che la previsione é contenuta cumulativamente nella lettera a dell'art. 2 della legge, nel quale la "o" appare adoperata in senso congiuntivo.

Si tenga anche presente che il testo definitivamente approvato dal Parlamento risulta da un emendamento accolto dalla Camera dei Deputati rispetto al disegno di legge che faceva un puro e semplice rinvio al decreto ministeriale del gennaio 1950. Con l'emendamento proposto dal relatore e accettato dal Governo si volle tener conto delle critiche e delle proposte avanzate da alcuni deputati, per cui, eliminato il rinvio al n. 3 di quel decreto, si ritenne di dovere aggiungere la previsione delle abitazioni di qualunque tipo aventi una superficie coperta superiore ai metri quadrati 200.

Questa aggiunta, come si può evincere dalle discussioni parlamentari, fu fatta per eliminare incongruenze, non per crearne.

Appare pertanto evidente come, così interpretata, la norma denunziata non contrasti con l'art. 3 della Costituzione, dato che le due ipotesi sopra esaminate non pongono in essere alcuna irrazionale disparità di trattamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i due giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, lett. a, della legge 21 dicembre 1960, n. 1521, sulla disciplina transitoria delle locazioni di immobili urbani, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 1965.

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 14 aprile 1965.