Sentenza n. 119 del 1964
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SENTENZA N. 119

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, promosso con ordinanza emessa il 17 gennaio 1964 dal Pretore di Barcellona Pozzo di Gotto nel procedimento penale a carico di Chiarchiaro Michele, iscritta al n. 56 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 126 del 23 maggio 1964.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 18 novembre 1964 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento penale aperto a carico del signor Michele Chiarchiaro il Pretore di Barcellona Pozzo di Gotto, con ordinanza 17 gennaio 1964, ritualmente notificata e pubblicata, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 28 febbraio 1949, n. 43 (c. d. I.N.A.-Casa), in riferimento agli artt. 23 e 42 della Costituzione: quell'articolo, come é noto, obbliga datori di lavoro e lavoratori a pagare certe somme che saranno impiegate nella costruzione di case per lavoratori.

Secondo l'ordinanza, la norma impugnata contrasterebbe con la Costituzione poiché "la potestà tributaria pubblica... non può spingersi al di là di certi limiti dove é tutelato il patrimonio privato": l'art. 5 della legge 1949, n. 43, valicherebbe questi limiti imponendo a speciali categorie di cittadini, come i lavoratori, il pagamento di un contributo "senza il corrispettivo di una particolare utilità"; tale contributo non sarebbe propriamente una tassa, poiché della tassa non ha spesso il requisito essenziale, cioé il corrispettivo (infatti il lavoratore che già possiede una casa non ha diritto all'assegnazione di un alloggio costruito con i fondi raccolti in virtù della stessa legge del 1949, n. 43); ma non sarebbe neanche un'imposta poiché la norma che lo impone ha per scopo diretto un interesse privato, cioè l'assegnazione di un alloggio a cittadini non abbienti. Si tratterebbe perciò, almeno per il lavoratore che già possiede un alloggio, d'un "prelievo patrimoniale non giustificato" alla luce degli artt. 23 e 42 della Costituzione.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 9 aprile 1964. In quest'atto si osserva che, come ha più volte deciso la Corte costituzionale, qualunque prestazione patrimoniale obbligatoria, sia essa o non sia una vera e propria imposizione tributaria, é legittima purché derivi dalla legge (art. 23 della Costituzione): la norma impugnata, poiché fissa i criteri e le modalità di imposizione e di prelievo del contributo I.N.A.-Casa, é perciò costituzionalmente legittima; del resto essa risponde a criteri di mutualità e solidarietà sociale, dimodoché i lavoratori beneficiano delle relative provvidenze, non perché versano il contributo, ma in quanto si trovano nelle condizioni richieste dalla legge (può beneficiarne lo stesso proprietario d'un alloggio, se si trasferisce ad altra sede): perciò non avrebbero fondamento i rilievi contenuti nell'ordinanza del Pretore.

 

Considerato in diritto

 

Con l'ordinanza pretorile si é sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 28 febbraio 1949, n. 43: esso, ad avviso del Pretore, impone, anche ai lavoratori che non possono trarre un vantaggio diretto dalla legge, una prestazione che non avrebbe carattere di tributo; perciò violerebbe gli artt. 23 e 42 della Costituzione, che sanciscono, fuori del rapporto tributario, l'intangibilità del patrimonio del privato.

La questione é infondata.

La legge 28 febbraio 1949, n. 43, sostituita di recente da altra legge, conteneva un piano di costruzioni di case per lavoratori. Le somme necessarie ad attuarlo si dovevano raccogliere sotto forma di contributi obbligatori gravanti su datori di lavoro e prestatori d'opera, appartenenti a determinate categorie (industria, commercio, ecc.), e soprattutto sullo Stato. La legge indicava le persone e gli enti soggetti a questo obbligo, la misura precisa del contributo, le principali modalità e il tempo d'esazione, l'istituto preposto alla gestione dei fondi: la riserva di legge contenuta nell'art. 23 della Costituzione era pienamente rispettata.

I singoli contributi previsti dall'art. 5 della legge, quale che ne fosse la natura, non trovavano la loro causa o la loro giustificazione in un corrispettivo diretto e concreto per chi li pagava; la legge, promuovendo la costruzione di case popolari, con ciò non intendeva garantire a ogni singolo contribuente un sicuro vantaggio economico: non lo assicurava ai datori di lavoro, poiché le case non si dovevano costruire per loro né da tutti loro; non lo assicurava ai lavoratori, poiché questi erano molto più numerosi degli alloggi che si sarebbero costruiti. E tuttavia non si può negare che, sotto un aspetto più generale, tutti i contribuenti, almeno nella loro appartenenza ad ampie categorie di soggetti, dovessero trarre dall'applicazione della legge un qualche beneficio.

Infatti ai datori di lavoro essa offriva, direttamente o indirettamente, più ampi sbocchi per la loro attività produttiva; mentre ai prestatori d'opera dava maggiori occasioni di lavoro e la possibilità (non la certezza) di conseguire un alloggio: possibilità per tutti i lavoratori che versavano il contributo, compresi i proprietari di casa se ne avessero perduta la proprietà o si fossero trasferiti in altra sede.

Poiché a tali benefici attingevano soprattutto certe categorie di soggetti, l'obbligo del contributo da parte di costoro, e solo di costoro, aveva una sua propria giustificazione, a tacere dei doveri di solidarietà sociale pur presenti al legislatore. Perciò é assolutamente da escludere che la prestazione imposta con la legge sia arbitraria o irragionevole, quasi una specie di espropriazione senza indennizzo, come sembra ritenere, invocando l'art. 42 della Costituzione, il giudice di merito.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 28 febbraio 1949, n. 43 (relativa alla c. d. gestione I.N.A.-Casa), proposta, in riferimento agli artt. 23 e 42 della Costituzione, con l'ordinanza citata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1964.

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 1964.