Sentenza n. 107 del 1964
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SENTENZA N. 107

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma dell'art. 570 del Codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 aprile 1964 dal Pretore di S. Arcangelo nel procedimento penale a carico di Branco Caterina, iscritta al n. 80 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 144 del 13 giugno 1964;

2) ordinanza emessa il 26 giugno 1964 dal Pretore di Courgné nel procedimento penale a carico di Obertino Albina, iscritta al n. 133 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 212 del 29 agosto 1964.

Udita nella camera di consiglio del 6 novembre 1964 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio penale davanti al Pretore di S. Arcangelo a carico della signora Caterina Branco, il Pretore sollevò d'ufficio la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma dell'art. 570 del Codice penale, che punisce "chiunque, abbandonando il domicilio domestico.. si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà o alla qualità di coniuge...", perché in contrasto con i precetti contenuti negli artt. 13, primo comma, 16, primo comma, e 29, secondo comma, della Costituzione.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 144 del 13 giugno 1964.

2. - Secondo l'ordinanza, il denunciato contrasto sorgerebbe dal fatto che, contrariamente a una interpretazione della Corte di cassazione, il reato previsto dal primo comma dell'art. 570 del Codice penale, si perfezionerebbe col semplice abbandono del domicilio domestico da parte del coniuge non legalmente separato, non già, come invece sostiene un'altra corrente giurisprudenziale, quando vi sia l'effettiva inosservanza dell'obbligo di assistenza morale e materiale verso i familiari o quando l'abbandono sia mezzo per la consumazione del reato. Per il Pretore di S. Arcangelo, infatti, l'art. 570 del Codice penale costituirebbe la sanzione penale dell'obbligo della coabitazione posto dall'art. 143 del Codice civile e con ciò sarebbe in contrasto, oltre che con una concezione moderna dei rapporti di diritto matrimoniale, che tenderebbe, "come conquista di un costume più evoluto", a porre i coniugi sopra un piano di parità e a circoscrivere le norme che regolano l'istituto matrimoniale nell'ambito del diritto privato, coi precetti costituzionali sopra ricordati. Con quello dell'art. 13, che proclama l'inviolabilità della libertà personale, in quanto questa sarebbe violata da una sanzione penale posta a tutela di un obbligo, qual'é quello della coabitazione (come l'altro della fedeltà), di natura privatistica, derivante dalla volontà negoziale manifestata dal coniuge. Col precetto dell'art. 16, che riconosce la libertà di circolazione e soggiorno e ne consente la limitazione soltanto per motivi di sanità e di sicurezza pubblica, stabiliti dalla legge in via generale, e non, come nel caso, in conseguenza di uno status che trae origine, come quello di coniuge, da un rapporto privatistico. Col precetto dell'art. 29, secondo comma, in quanto la norma impugnata violerebbe il principio paritario stabilito per i rapporti tra i coniugi. L'obbligo della coabitazione infatti, sostiene l'ordinanza pretorile, dovrebbe sussistere, se il matrimonio é fondato su basi di eguaglianza, soltanto qualora la residenza o il domicilio domestico fossero scelti di comune accordo tra i coniugi; non potrebbe, invece, essere imposto a un coniuge (la moglie) che, per legge, deve seguire il marito.

3. - Non c'e stata costituzione di parti, né intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri.

4. - La stessa questione di legittimità costituzionale é stata sollevata dalla difesa dell'imputato nel corso di un procedimento penale davanti al Pretore di Courgné che, avendola ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte,

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 212 del 29 agosto 1964.

5. - Secondo quanto si legge nell'ordinanza, la violazione dei principi della libertà naturale della donna e della libera circolazione della stessa deriverebbe dal fatto che la scelta del domicilio domestico sia lasciata dalla legge all'arbitrio esclusivo del marito e non all'accordo fra i coniugi. Né il contrasto con la parità nel matrimonio, sancito dall'art. 29 della Costituzione, può ritenersi sanato dal fatto che il medesimo art. 29 prevede limiti legislativi al principio dell'eguaglianza dei coniugi a garanzia dell'unità familiare. Non sarebbe, infatti, manifestamente infondato ritenere che l'attribuzione del potere di scelta della residenza al marito rappresenti, per la troppa ampia configurazione legislativa del limite al principio dell'eguaglianza fra i coniugi, una violazione della norma costituzionale.

6. - Non v'é stata costituzione di parte, né intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - I giudizi, che riguardano le medesime questioni di costituzionalità, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Le due ordinanze, malgrado talune differenze nello svolgimento dei motivi che sorreggerebbero l'incostituzionalità della norma impugnata, sostanzialmente concordano nel ritenere che la norma dell'art. 570 del Codice penale altro non sia se non una norma sanzionatrice dell'altra contenuta nel Codice civile all'art. 144, giusta la quale la moglie é tenuta ad accompagnare il marito ovunque egli creda opportuno di fissare la sua residenza, e pertanto violatrice della eguale condizione dei coniugi nel matrimonio. Ora, codesto presupposto della sollevata questione di legittimità é affatto insussistente. La norma impugnata non punisce la moglie che si rifiuti di seguire il marito nella residenza da costui fissata, o che abbandoni il domicilio domestico, ma il coniuge (sia il marito, sia la moglie), il quale, mediante codesto rifiuto o abbandono (o in altra guisa prevista dalla medesima norma), viene meno all'obbligo fondamentale della società coniugale, che consiste nella mutua assistenza materiale e morale. Non é dunque l'abbandono del domicilio a integrare da solo la figura del reato, ma l'abbandono in quanto modo di sottrarsi agli obblighi di assistenza ai quali i coniugi sono vicendevolmente tenuti. E le stesse considerazioni, com'é evidente, valgono altresì ad escludere che la norma abbia il fine di conferire la sanzione penale all'obbligo della coabitazione, posto dall'art. 143 del Codice civile, in sé e per sé considerato.

Ne consegue che l'art. 570 del Codice penale, prevedendo come reato il comportamento di "chiunque, abbandonando il domicilio domestico... si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti... alla qualità di coniuge", non viola il principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi posta dall'art. 29, secondo comma, della Costituzione come base sulla quale é "ordinato" il matrimonio.

3. Stando così le cose, non occorre seguire le ordinanze, e segnatamente quella del Pretore di S. Arcangelo, in alcune qualificazioni e affermazioni singolari circa la natura del matrimonio e degli obblighi che ne derivano; e potrebbero ritenersi assorbite anche le questioni relative agli artt. 13, primo comma, e 16, primo comma, della Costituzione, le quali logicamente derivano dalla violazione dell'altra, fondamentale e determinante nel caso sottoposto alla Corte, dell'art. 29. Ma si può anche aggiungere che l'inviolabilità della libertà personale, quale deve essere intesa nella enunciazione che ne fa l'art. 13 citato, o la garanzia posta dall'art. 16 (libertà di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale) o non vengono punto in discussione nel caso in esame, o, comunque, non possono ritenersi violate da limitazioni poste in relazione a un particolare status della persona.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sui giudizi indicati in epigrafe, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma dell'art. 570 del Codice penale, in relazione agli artt. 13, primo comma, 16, primo comma, e 29, secondo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1964.

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 11 dicembre 1964.