SENTENZA N. 77
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi 30 dicembre 1960, n. 1728, e 27 dicembre 1963, n. 1878, promosso con ordinanza emessa il 15 gennaio 1964 dal Pretore di Montegiorgio nel procedimento penale a carico di Vittorini Orgeas Ilda ed altri, iscritta al n. 28 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 67 del 14 marzo 1964.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 10 giugno 1964 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Ai sensi della legge 15 dicembre 1955, n. 1440, l'esercizio professionale dell'insegnamento medio é subordinato al possesso di un titolo di abilitazione, conseguibile da coloro che siano in possesso di uno dei prescritti titoli accademici.
Il possesso di tali requisiti e richiesto anche dalla legge 19 marzo 1955, n. 160, la quale, però, nel prevedere il conferimento di supplenze, stabilisce all'art. 4 che "gli insegnamenti non conferibili a professori titolari o a professori incaricati ai sensi della stessa legge, sono attribuiti per supplenza, per il periodo strettamente indispensabile". Tali insegnamenti sono conferiti dal capo di istituto secondo i criteri definiti con ordinanza del Ministro per la pubblica istruzione.
Con legge 27 dicembre 1963, n. 1878, é stata data l'interpretazione autentica di dette norme nel senso che "tra gli insegnamenti da attribuirsi per supplenza, per il periodo strettamente indispensabile, sono compresi sia quelli non conferibili dai Provveditori agli studi, perché non rientrano nelle categorie elencate nell'art. 3 della legge del 1955, sia quelli comunque non conferiti dagli stessi Provveditori agli studi". É stato anche chiarito che tra i criteri da seguire nel conferimento delle supplenze s'intendono "comprese le modalità secondo le quali i capi d'istituto, nell'attuazione del disposto del predetto art. 4, conferiscono supplenze, con carattere eccezionale e temporaneo (e revocano, in caso di disponibilità di aspiranti muniti del titolo prescritto), anche a persone munite di titolo di studio inferiore a quelli richiesti per l'ammissione agli esami di abilitazione".
Ora, nel procedimento penale aperto dal Pretore di Montegiorgio a carico di Vittorini Orgeas Ilda e di altri 49 imputati, quali responsabili i primi 43 del reato di cui all'art. 348 del Codice penale, per aver esercitato l'insegnamento in via temporanea in alcune scuole medie statali senza essere in possesso dell'abilitazione all'insegnamento, e gli altri (e cioè 6 capi di istituto e il Provveditore agli studi della Provincia) per concorso nello stesso delitto, quel giudice, con ordinanza del 15 gennaio 1964, ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 1963, n. 1878, per violazione degli artt. 3 e 33 della Costituzione.
L'ordinanza é stata notificata agli imputati in date varie dal 20 gennaio all'8 febbraio 1964; al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Fermo il 29 gennaio dello stesso anno; al Presidente del Consiglio dei Ministri il 22 gennaio 1964, e comunicata ai Presidenti delle Assemblee legislative il 27 gennaio 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 67 del 14 marzo 1964.
Osserva il Pretore: l'interpretazione data dalla legge del 1963 circa gli incarichi di insegnamento da conferire non é esatta, perché gli insegnamenti non conferibili sarebbero solo gli insegnamenti riferibili a "corsi incompleti" e gli insegnamenti già conferiti a professori titolari di ruolo o a professori incaricati e rimasti, nel corso dell'anno, privi di titolari. Invece per gli insegnamenti riferibili a "corsi completi", conferibili, in quanto tali, solo a professori "incaricati" o non conferiti per mancanza di aspiranti, provvede, in via di deroga tanto eccezionale, da costituire anch'essa attività legislativa costituzionalmente illegittima, la legge 30 dicembre 1960, n. 1728, la quale autorizza il conferimento di detti insegnamenti "dopo l'espletamento delle nomine degli insegnanti forniti del prescritto titolo di abilitazione, a titolo d'incarico per supplenza annuale, agli aspiranti forniti di titolo di studio valido per l'ammissione agli esami di abilitazione (in genere diploma di laurea)".
Inoltre, l'art. 6 della legge del 1955, interpretata dalla legge del 1963, può delegare il Ministro della pubblica istruzione ad emanare, con ordinanza, le norme necessarie a disciplinare la valutazione dei titoli, ma solo per le nomine degli aspiranti forniti dei prescritti titoli (accademico e di abilitazione) e non anche di quelli forniti di titoli di studio inferiori a quelli richiesti, perché, così facendo, il legislatore delegherebbe al potere esecutivo una potestà legislativa ch'egli stesso non ha e che non potrebbe arrogarsi, perché ciò sarebbe in contrasto con l'art. 33, quarto capoverso, della Costituzione.
Ne consegue che la legge del 1963, lungi dall'essere una legge interpretativa, é invece "innovativa" e tanto innovativa da sovvertire totalmente taluni principi cardine dell'ordinamento scolastico. Essa costituisce inoltre una norma di jus singulare, della specie dei beneficia personale e, come tale, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in base al quale tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge.
Si rileva infine che l'insegnamento, anche se svolto alle dipendenze di scuole pubbliche, é pur sempre una "libera professione", sia perché svolto in piena libertà e secondo scienza e coscienza, sia perché la libertà di insegnamento é riconosciuta dalla stessa Costituzione.
E proprio in attuazione del precetto costituzionale, il legislatore del 1955 ordinò e disciplinò l'esercizio professionale dell'insegnamento, richiedendo per il concreto esercizio di tale attività l'esame di Stato e l'iscrizione nell'albo professionale. Né può dirsi che l'art. 33 della Costituzione, nel parlare di "esame di Stato" abbia inteso riferirsi ad un generico e non individuato esame, e che toccherebbe al legislatore ordinario stabilire, fra i vari esami, quale sia in concreto quello richiesto per l'esercizio di una determinata professione: se così fosse, ad un certo momento il legislatore ordinario potrebbe accontentarsi anche del semplice esame di "compimento inferiore", il che sarebbe assurdo. Pertanto la legge 27 dicembre 1963, n. 1878, sarebbe al pari della legge 30 dicembre 1960, n. 1728, in contrasto con l'art. 33, quarto capoverso, della Costituzione.
Di conseguenza il Pretore, ritenuto che la questione é "rilevante per la stessa configurabilità del reato per il quale l'ufficio procede", ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale.
La parte privata non si é costituita nel giudizio davanti alla Corte.
É invece intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale, con l'atto di intervento del 16 marzo 1964, ha chiesto che la Corte costituzionale dichiari non fondata la questione sollevata dal Pretore di Montegiorgio.
Al riguardo l'Avvocatura osserva:
La nozione di insegnante supplente temporaneo, di cui all'art. 4 della legge n. 160 del 1955, aveva dato luogo a qualche dubbio di interpretazione. Secondo l'Amministrazione, per insegnamenti "non conferibili" si intendono non solo quelli che non rientrano nelle categorie degli insegnamenti conferibili ai professori di ruolo ed incaricati o supplenti, ma anche quelli non potuti conferire a queste categorie per mancanza di appartenenti ad esse. L'interpretazione autentica data con la legge n. 1878 del 1963 ha confermato l'interpretazione data dall'Amministrazione.
L'altro punto dubbio riguardava la nozione dei "criteri definiti con ordinanza del Ministro per la pubblica istruzione" per il conferimento degli insegnamenti.
Secondo l'Amministrazione, nel novero di tali criteri devono intendersi comprese anche le modalità con le quali i capi di istituto conferiscono supplenze temporanee con carattere eccezionale e transitorio anche a persone munite di titolo di studio inferiore a quello richiesto per l'ammissione agli esami di abilitazione. L'interpretazione autentica data dalla legge n. 1878 del 1963 ha confermato l'interpretazione come sopra data dall'Amministrazione.
Circa il carattere innovativo che, secondo il Pretore, avrebbe la legge denunziata, l'Avvocatura osserva che non può essere, già in astratto, considerata lesiva della sfera del potere giudiziario una legge interpretativa che non appaia mossa dall'intento di interferire nei giudizi in corso di cui non si conosce neppure l'esistenza.
Inoltre, anche ammesso che la legge del 1963 avesse carattere innovativo e non interpretativo, se si accogliesse la tesi del giudice a quo, ne conseguirebbe che non potrebbe mai legittimamente provvedersi alla abolizione di una norma penale contenente la previsione di un fatto come reato, mentre é normale che la legge sia mutata - ove occorra - ed é noto che in base all'art. 2 del Codice penale, nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. E, così facendo, il legislatore non crea artificiosamente una categoria di persone per fare ad essa un trattamento preferenziale ed eccezionale.
Né più fondata appare all'Avvocatura la dedotta violazione dell'art. 33 della Costituzione.
Si deve distinguere l'attività di insegnante per così dire non ufficiale, alla quale cioé non consegue il rilascio di titoli di studio legalmente validi, da quella di insegnante ufficiale. Solo per quest'ultimo occorre l'abilitazione professionale, mentre per l'insegnamento non ufficiale basta ed é sufficiente che esso sia esercitato con il rispetto dei limiti stabiliti dalla Carta costituzionale, quali il rispetto del buon costume, della salute e della pubblica incolumità. Per il resto, l'insegnamento nel suo contenuto é libero.
Ma questo non significa che l'esercizio dell'insegnamento costituisca, per ciò solo, una "libera professione", specie quando, come nella specie, esso insegnamento sia esercitato alle dipendenze dello Stato: in questo caso, non trattandosi di una professione libera, non é necessariamente prescritto il conseguimento della abilitazione, ma basta che la idoneità dell'insegnante sia accertata attraverso il superamento di un esame di concorso che può avere pratica attuazione in uno dei modi in cui esami di quel tipo si svolgono o, anche, attraverso assunzione diretta all'impiego, purché, ovviamente, sia osservato l'ordinamento che stabilisce i requisiti che occorrono per l'assunzione medesima. Ed é appunto questo il caso di specie.
E sembra perfettamente legittimo che la valutazione di tale idoneità tecnica dell'insegnante sia fatta dal legislatore ordinario o anche dal potere esecutivo cui sia stata attribuita tale competenza, come nel caso che ne occupa, anche perché non é vero che nella nostra Costituzione sia stata recepita una nozione, a denominatore comune, dell'esame di Stato, tale per cui non possa il legislatore, per il futuro, procedere né ad attenuazione, né ad aggravamento del suo contenuto senza incorrere in un vizio di costituzionalità.
Pertanto l'Avvocatura dello Stato conclude chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Considerato in diritto
1. - Per quanto dal dispositivo risulti che la legge denunziata, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, sia soltanto quella del 27 dicembre 1963, n. 1878, dal contenuto dell'intera ordinanza emerge che il Pretore ha sollevato l'incidente di costituzionalità anche nei riguardi della legge 30 dicembre 1960, n. 1728, la quale autorizza il conferimento degli insegnamenti agli aspiranti non abilitati, purché forniti di titolo di studio valido per l'ammissione agli esami di abilitazione.
La comune causa di illegittimità delle due leggi nascerebbe dal contrasto con l'art. 33, quinto comma, della Costituzione. L'insegnante delle scuole medie, anche nell'esercizio delle sue funzioni nelle scuole di Stato espletate in veste di pubblico impiegato, sarebbe sempre "il più libero dei liberi professionisti"; egli, quindi, non potrebbe mai prestare un'attività docente senza avere superato l'esame di Stato. Le leggi che autorizzano una deroga a tale principio sarebbero, pertanto, illegittime per violazione della richiamata norma costituzionale.
La legge 27 dicembre 1963 sarebbe, poi, incostituzionale anche per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. A questa legge, dal contenuto innovativo, sarebbe stato dato un carattere di interpretazione autentica al fine di sottrarre ai rigori della legge penale quanti - insegnanti abusivi, presidi, provveditori agli studi, ed altre maggiori autorità scolastiche - hanno fin qui violato la norma dell'art. 348 del Codice penale, in relazione a quella dell'art. 1 della legge 15 dicembre 1955, n. 1440, dettando così "una norma di jus singulare della specie dei beneficia personae".
2. - L'esame della questione relativa alla illegittimità della legge 27 dicembre 1963 per violazione dell'art. 3 della Costituzione deve precedere quello della questione concernente il contrasto della stessa legge e della legge 30 dicembre 1960 con la richiamata norma dell'art. 33. La precedenza é fondata sul fatto che la denunziata violazione dell'art. 3, se fosse esistente, toglierebbe la base di legittimità alla legge interpretativa, indipendentemente dalla violazione dell'art. 33.
L'ordinanza comincia con il contestare il carattere interpretativo della legge del 1963, asserendo che "l'evidentissimo significato letterale, logico e sistematico delle due norme (artt. 4 e 6 della legge 19 marzo 1955, n. 160) é stato sempre pacifico e incontroverso", e rispetto a cui non ci sono stati dubbi "né in dottrina né tampoco in giurisprudenza", nel senso che: 1) gli insegnamenti di cui all'art. 4 della legge 15 dicembre 1955, n. 1440, sono soltanto quelli non conferibili e giammai quelli non conferiti; 2) l'art. 6 della stessa legge del 1955 delega al Ministro l'emanazione di norme necessarie a disciplinare la valutazione dei titoli di merito e di servizio al fine della compilazione, da parte dei capi di istituto, delle graduatorie degli aspiranti alla supplenza temporanea.
La nuova legge avrebbe non interpretato ma profondamente innovato, sovvertendo principi fondamentali dell'ordinamento scolastico. Essa sarebbe stata varata con veste interpretativa unicamente per conseguire uno scopo illegittimo.
L'Avvocatura dello Stato, nelle sue deduzioni, oppone che le affermazioni del Pretore sarebbero, oltre che apodittiche, non rispondenti al vero. Quando nell'ordinanza si afferma che non sarebbero mai esistiti dubbi né in dottrina né tampoco in giurisprudenza sul significato della formula "insegnamenti non conferibili" di cui all'art. 4 della legge n. 160 del 1955 non si indica da quali autori sia costituita tale dottrina e per la giurisprudenza si ritiene esclusivamente quella dello stesso Pretore in un precedente processo a termine del quale (con sentenza gravata di appello) il Pretore medesimo ha ritenuto un ex direttore generale del Ministero della pubblica istruzione ed il Provveditore agli studi di Ascoli Piceno (oltre che due Ministri sui quali non ha potuto esprimere giudizio decisivo) responsabili, in concorso, del reato di esercizio abusivo della professione di insegnante, per aver consentito ad uno studente universitario di esercitare le mansioni di coordinatore di un posto televisivo di ascolto, condannando di conseguenza tali persone. L'Avvocatura prosegue affermando che non esiste giurisprudenza di altre magistrature, se é vero che decine di migliaia di insegnanti, che versano nelle stesse condizioni degli insegnanti che esplicano la loro attività nella giurisdizione di detto Pretore, continuano tranquillamente a svolgere le loro funzioni senza incorrere negli interventi di tutti gli altri Pubblici Ministeri della Repubblica, che si deve presumere sappiano esplicare e correttamente esplichino la loro funzione.
L'Avvocatura, dopo avere richiamato le esigenze della realtà scolastica che anticiperebbero la stessa materiale possibilità di tempestivamente legiferare, rendendo necessario di attribuire al potere esecutivo la competenza a provvedere, esclude che la legge interpretativa avrebbe avuto il fine di sottrarre chicchessia ai rigori della legge penale, in quanto il processo nel corso del quale il Pretore ha sollevato la questione di legittimità costituzionale non era stato ancora iniziato quando quella legge fu proposta ed approvata. Non si potrebbe, quindi, considerare lesiva della sfera del potere giudiziario una legge interpretativa che non appaia mossa dall'intento di interferire in giudizi in corso.
Ma - conclude su questo punto l'Avvocatura - anche se la legge del 1963 avesse carattere innovativo, essa non cesserebbe di essere legittima, dal momento che al legislatore non può essere inibito di abrogare una norma penale, ponendo in essere, a favore del reo, il principio contenuto nell'art. 2 del Codice penale, il quale dispone che nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato.
La Corte ritiene che queste, così contrastanti, considerazioni e conclusioni contenute nell'ordinanza di rimessione e nelle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato e qui riportate in gran parte testualmente, in quanto si riferiscono allo stato della dottrina e della giurisprudenza sulle leggi anteriori a quella interpretativa, non abbiano influenza sulla decisione del presente giudizio.
Anche se fosse vero che l'interpretazione delle norme precedenti fosse stata pacifica nel senso indicato nell'ordinanza ed anche se, quindi, la nuova legge, qualificata come interpretativa, fosse da considerarsi come sostanzialmente innovativa, non sussisterebbe il vizio di legittimità denunziato nell'ordinanza.
Se, disponendo per l'avvenire, la nuova legge avesse abrogato una norma penale o una norma che, per usare una espressione del Pretore (sull'esattezza della quale non giova pronunciarsi), era divenuta penale solo per receptionem, la questione non sarebbe presumibilmente sorta: non é, infatti, contestabile che il legislatore ordinario abbia il potere di dettare norme dall'applicazione delle quali possano derivare effetti nei riguardi dei procedimenti penali in corso od anche già definiti. Queste norme potranno essere illegittime per altre ragioni - per esempio, per gli effetti ingiustamente discriminatori che possano derivarne -, ma non per il fatto che esse producano o possano produrre, per la generalità, effetti sui procedimenti o sui giudicati penali.
Nella specie, il vizio denunziato deriverebbe non dal fatto di avere attribuito carattere interpretativo ad una legge innovativa, ma dal fatto di avere dato, con questo espediente, efficacia retroattiva ad una norma che arrecherebbe, per violazione del principio di eguaglianza, illegittimo vantaggio a persone sottoposte o passibili di essere sottoposte a procedimento penale.
La violazione non sussiste perché la norma retroattiva é fondata sopra una base, che trascende di gran lunga la sfera degli interessi di singole persone, siano poche, molte o moltissime. Dalla relazione dei proponenti del progetto di legge e dalla discussione nei due rami del Parlamento risulta come tra le preoccupazioni del legislatore sia stata minima quella della responsabilità penale di un certo numero di persone. Se mai questa preoccupazione ha fatto corpo con quelle, più gravi e di carattere più generale, attinenti al funzionamento della scuola, di fronte alla gravissima carenza di personale insegnante (che, del resto, é notoria), la quale ha determinato, specialmente dopo l'estensione del periodo di obbligo scolastico, una situazione così drammatica da richiedere urgenti misure di emergenza.
Dai lavori preparatori della legge denunziata emerge pure che in quella sede furono fatte recriminazioni, critiche, richieste di provvedimenti più organici. Ma, quali che siano la consistenza e l'esattezza di tali interventi, é certo che il legislatore non fu spinto da motivi di carattere discriminatorio, ma si ispirò a ragioni di ordine generale, la cui valutazione non é suscettibile di apprezzamento nel presente giudizio in relazione alla questione proposta, che concerne la violazione del principio di eguaglianza.
3. - Circa il contrasto con l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, che nascerebbe dalle due leggi sopra menzionate, giova precisare che l'unica questione proposta con l'ordinanza, quale risulta dall'ordinanza stessa anche in relazione alla motivata rilevanza rispetto al giudizio a quo, é se sia legittimo ammettere all'insegnamento nelle scuole statali persone che non siano abilitate con l'esame di Stato previsto dalla citata norma costituzionale.
E, pertanto, devono restare fuori della presente causa altre questioni delle quali l'ordinanza e, conseguentemente, le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato fanno cenno. Non si devono, quindi, esaminare le osservazioni relative al possesso del titolo di abilitazione conseguito con l'esame di Stato per accedere all'insegnamento fuori delle scuole statali, né quelle relative ai titoli di studio occorrenti per essere ammessi all'esame di Stato, né quelle relative al contenuto degli esami di Stato, neppure quelle relative ai titoli di studio da richiedersi per gli incarichi di insegnamento nelle scuole di Stato da conferire a chi non sia munito del titolo di abilitazione, né, infine, quelle concernenti i poteri affidati al Ministro per la pubblica istruzione al fine di definire i criteri di accertamento delle capacità degli aspiranti alle supplenze.
L'ordinanza parte da due presupposti esatti. Il primo é che l'esame di Stato previsto dalla norma costituzionale invocata si riferisce alle libere professioni; il secondo é che anche il professore supplente temporaneo delle scuole statali é un pubblico impiegato.
Ma l'ordinanza afferma che, nonostante che l'insegnante delle scuole statali sia pubblico impiegato, egli deve sempre essere considerato come libero professionista e pertanto non può accedere all'insegnamento se non é munito del titolo di abilitazione conseguito con l'esame di Stato.
Il ragionamento per giungere a questa conclusione si basa sulla libertà di insegnamento: libero essendo l'insegnamento, libera deve considerarsi la professione dell'insegnante. In altri termini, poiché nella scuola dello Stato non si impartisce un insegnamento di dottrina di Stato, ma si lascia all'insegnante piena libertà di insegnare secondo la sua scienza e coscienza, il professore, pur avendo la veste di impiegato statale, esercita una funzione libera per il cui espletamento egli abbisogna di un titolo di abilitazione pari a quello dei liberi professionisti.
Che l'esame di Stato, imposto dall'art. 33, quinto comma, della Costituzione per l'abilitazione all'esercizio professionale, si riferisca alle libere professioni é principio pacifico. I dissensi e le incertezze possono nascere in relazione alla nozione di libera professione in generale ed in rapporto a singole professioni, rispetto alle quali si ammetta o si neghi la rispondenza a quella nozione.
Che il professore supplente, anche se temporaneo, sia da considerare impiegato dello Stato, é fuori contestazione. L'affidamento, sia pure temporaneo e immediatamente revocabile, delle funzioni di insegnante pone il supplente in un rapporto con lo Stato, da cui discendono obblighi e diritti, caratteristici del pubblico impiego. Il supplente é tenuto a fornire una prestazione continuativa, con vincolo di collaborazione e di subordinazione ed ha diritto ad una retribuzione, che ha tutti gli aspetti delle retribuzioni dei pubblici dipendenti.
Comunque si vogliano assumere gli aspetti in base ai quali una professione debba considerarsi libera, la Corte ritiene che in nessun modo il professore della scuola di Stato possa essere qualificato come libero professionista.
Vero é che il professore é libero nella sua attività didattica, pur nei limiti derivanti dalla disciplina scolastica, dall'osservanza dei programmi e dal rispetto di certi principi fondamentali dei quali non giova far cenno ai fini della presente controversia. Ma questa libertà non altera i rapporti di dipendenza tra l'insegnante e lo Stato, perché é un modo di essere dell'attività che l'insegnante é tenuto a prestare, senza alcuna attenuazione di quegli obblighi di fedeltà, di collaborazione ed anche di subordinazione che sono propri dei pubblici impiegati.
Da ciò deriva, altresì, che di fronte alla sua scuola lo Stato non ha una posizione diversa da quella che esso assume rispetto a qualunque altro organo, ufficio, istituto esistenti nel vasto ambito della propria organizzazione.
La ragione essenziale per cui l'art. 33, quinto comma, della Costituzione prescrive l'esame di Stato per l'esercizio delle libere professioni é data dalla esigenza che un accertamento preventivo, fatto con serie garanzie, assicuri, nell'interesse e della collettività e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacità occorrenti per il retto esercizio professionale.
Nei riguardi dei pubblici dipendenti questo accertamento deve essere fatto in conformità alla legge, ai sensi dell'art. 97 della Costituzione. Ed anche per l'assunzione dei supplenti scelte ponderate sono disposte in base alla legge.
Nessuno contesta al legislatore la facoltà di aggiungere o sostituire ad altri accertamenti di capacità un esame di Stato anche per l'assunzione dei propri impiegati o di disciplinare cumulativamente l'una cosa e l'altra. Ma non può dirsi che questo sia un dovere del legislatore.
Per poterlo considerare tale, occorrerebbe accedere all'opinione che l'art. 33, quinto comma, della Costituzione avrebbe cristallizzato il sistema che vigeva in materia al tempo dell'entrata in vigore della Costituzione. Ma una opinione siffatta sarebbe priva di fondamento.
Quando sussistano dei dubbi, uno dei criteri per identificare se una professione debba considerarsi libera ai fini dell'applicazione dell'art. 33' quinto comma, é quello basato sulla tradizionale disciplina che a detta professione davano le leggi precedenti alla Costituzione. Ma ciò non significa, anzitutto, che codeste leggi avrebbero acquistato un carattere tale da non essere modificabili nemmeno nei dettagli, né significa che l'esame di Stato debba essere mantenuto anche quando, come nel caso dei professori delle scuole secondarie statali, il relativo obbligo sia stabilito dalle leggi per opportunità attinenti all'organizzazione amministrativa pubblica e non per il fatto che si tratti di esercizio di libera professione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale delle leggi 30 dicembre 1960, n. 1728 "Norme integrative della legge 19 marzo 1955, n. 160, per quanto concerne il conferimento delle supplenze annuali", e 27 dicembre 1963, n. 1878 "Interpretazione autentica degli artt. 4 e 6, secondo comma, della legge 19 marzo 1955, n. 160, in materia di personale insegnante non di ruolo", in riferimento agli artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 7 luglio 1964.