SENTENZA N. 53
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Commissario generale del Governo italiano per il Territorio di Trieste 30 dicembre 1957, n. 200, promosso con ordinanza emessa il 13 maggio 1963 dalla Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette sugli affari di Trieste su ricorso della Società per azioni G. Arrigoni & C., iscritta al n. 176 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 281 del 26 ottobre 1963.
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Arrigoni e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 15 aprile 1964 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi l'avv. Paolo Barile, per la Società Arrigoni, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per l'Amministrazione delle finanze e per il Presidente del Consiglio dei Ministri,
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio davanti alla Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette sugli affari di Trieste, promosso con ricorso della S.p.a. G. Arrigoni & C., fu sollevata la questione di legittimità costituzionale del decreto del Commissario generale del Governo italiano 30 dicembre 1957, n. 200, il quale estende con modifiche al Territorio di Trieste la legge 6 agosto 1954, n. 603, intitolata "Istituzione di una imposta sulle società e modificazioni in materia di imposte indirette sugli affari". In particolare, l'art. 4 di questo decreto sopprime, a partire dal 1 gennaio 1958, l'imposta ordinaria sul patrimonio, istituita col R.D.L. 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito nella legge 8 febbraio 1940, n. 100, e stabilisce che la tassazione delle società indicate all'articolo 21 dello stesso decreto debba avere luogo, per gli anni anteriori alla soppressione del tributo, sulla base della valutazione eseguita agli effetti dell'imposta di negoziazione per l'anno 1953, laddove per le società, costituite o trasferite nel territorio dopo il 31 dicembre 1953 e per le quali non esista una valutazione per l'imposta di negoziazione per l'anno 1953, la tassazione debba avvenire ai sensi dell'art. 21, primo comma, del citato decreto 12 ottobre 1939. Con ciò viene modificata la norma dell'art. 22 di questo medesimo decreto, secondo la quale per la tassazione del capitale delle società indicate nel precedente art. 21, occorre prendere a base la valutazione eseguita agli effetti dell'imposta di negoziazione per l'anno antecedente a quello di applicazione dell'imposta ordinaria sul patrimonio.
La Società Arrigoni, nel ricorso alla Commissione provinciale, sosteneva la tesi dell'illegittimità costituzionale del decreto commissariale per contrasto con l'art. 23 della Costituzione, in forza del quale "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge". La Commissione provinciale, viceversa, precisava che la questione di costituzionalità verteva intorno al punto se il decreto commissariale emanato in forza del D.P.R. 27 ottobre 1954, col quale si affidavano al Commissario generale del Governo per Trieste i poteri spettanti al Governo medesimo per l'amministrazione del Territorio, nonché quelli già esercitati dal cessato G. M. , avesse o non valore di legge. Concludeva sottoponendo alla Corte la questione di legittimità costituzionale del decreto commissariale 30 dicembre 1957, n. 200, in riferimento agli artt. 23, 76 e 77 della Costituzione.
L'ordinanza é stata emessa il 13 maggio 1963; é stata ritualmente notificata e comunicata ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 281 del 26 ottobre 1963.
2. - Nel presente giudizio si é costituita la Società per azioni G. Arrigoni & C., rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Barile, Teo De Ferra ed Elia Clarizia, i quali, nelle deduzioni depositate il 1 agosto 1963, negano che il decreto impugnato possa essere considerato una legge, perché ritengono che il Commissario del Governo per Trieste non possa emanare norme aventi forza di legge. Un potere siffatto, essi sostengono, non poteva essergli conferito dal D.P.R. 27 ottobre 1954, sia che lo si consideri emanato nell'ambito delle leggi dello Stato italiano, che non consentono il conferimento dell'esercizio del potere legislativo nelle forme e nei modi previsti dal citato decreto, sia che lo si consideri emanato in attuazione del Memorandum di Londra, stipulato tra gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l'Italia e la Jugoslavia il 5 ottobre 1954, il quale si limitava a dichiarare che sia l'Italia sia la Jugoslavia "estenderanno immediatamente la loro amministrazione civile nelle zone del Territorio di Trieste, rispettivamente affidato a ciascuna di esse": vale a dire, per quanto riguardava la zona A, le norme dell'ordinamento giuridico italiano e non già quelle del cessato G. M. A. che, invece, arbitrariamente, il decreto presidenziale richiama.
La difesa della Società si prospetta l'ipotesi dell'incompetenza di questa Corte a pronunziarsi sulla proposta questione di costituzionalità per avere questa ad oggetto un atto privo di forza di legge, ma ne trae la conclusione che anche una dichiarazione di incompetenza porterebbe ai medesimi risultati, in quanto non sarebbe possibile, in base alla nostra Costituzione, imporre tributi o modificare leggi dello Stato con atti amministrativi.
Conclude chiedendo che la Corte dichiari la incostituzionalità del più volte citato decreto qualora "in esso si riconosca forza di legge".
3. - Nel giudizio si é costituita l'Amministrazione delle finanze ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, l'una e l'altro rappresentati e difesi, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato (deduzioni del 7 settembre 1963 e atto di intervento del 22 luglio dello stesso anno).
L'Avvocatura dello Stato respinge l'ipotesi che il decreto impugnato possa essere considerato un atto amministrativo e, quindi, che possa dichiararsi inammissibile la relativa questione di costituzionalità; sostiene invece l'opposta tesi che, avendo il ricordato decreto 27 ottobre 1954 riprodotto le parole usate nel Memorandum di Londra (poteri di amministrazione spettanti al Governo - dove per Governo é da intendere lo Stato), tra i poteri trasferiti al Commissario devono ritenersi compresi anche e in primo luogo quelli normativi, tanto più poi che al predetto Commissario sono stati conferiti i poteri già esercitati nel Territorio di Trieste dal cessato Governo Militare Alleato, poteri che, com'é noto, ricomprendevano anche quelli normativi, ampiamente esercitati, e il cui esercizio fu ritenuto legittimo dalla Corte di cassazione. Se ne deve trarre la conseguenza che il decreto impugnato rientri fra le norme primarie in base al contenuto e in base alla competenza istituzionale (costituzionalmente legittima o meno) dell'organo che lo ha emanato.
Tuttavia, la difesa dello Stato ritiene che ogni motivo di dubbio circa la legittimità costituzionale dei poteri conferiti al Commissario per Trieste debba considerarsi superato con l'emanazione della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (che approva lo Statuto speciale della Regione Friuli - Venezia Giulia), la quale all'art. 70, primo comma, dispone che i poteri di amministrazione del Commissario generale di Governo per il Territorio di Trieste saranno esercitati dal Commissario del Governo, con esclusione di quelli spettanti al Prefetto e di quelli trasferiti alla Regione fino a quando non sarà diversamente disposto con legge della Repubblica: la ratio della norma che conserva i poteri del Commissario generale con le necessarie modifiche soggettive, sta, secondo l'Avvocatura, nell'esigenza, già tenuta presente con la stessa istituzione del Commissario, di un graduale adattamento della situazione particolare del Territorio all'ordinamento generale dello Stato.
Né può farsi ricorso contro questa tesi alla formula adoperata "potere di amministrazione" che va interpretata non restrittivamente, ma nel senso ampio che le é attribuito dal Memorandum d'intesa, certamente comprensivo della potestà normativa. Cadrebbe così la questione di legittimità del decreto impugnato in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, ma cadrebbe anche quella che la difesa dello Stato ritiene sollevata dall'ordinanza nei confronti dell'art. 113, dato che, a parte la contraddizione in cui la stessa ordinanza su questo punto si involgerebbe, il decreto commissariale non riveste la natura di atto amministrativo.
4. - In una memoria depositata il 6 febbraio 1964, la difesa della Società Arrigoni ha sostenuto, in primo luogo, che, quale che sia la soluzione che debba darsi al quesito circa la sorte della sovranità italiana sul Territorio di Trieste, non può essere revocato in dubbio il fatto che, col Memorandum del 5 ottobre 1954, si fece luogo al trasferimento della potestà legislativa dai Corpi alleati all'Italia; che codesto passaggio non prevedeva né rendeva necessaria la creazione di un organo extra ordinem, vale a dire il Commissario generale, e l'attribuzione a questo dell'esercizio della potestà legislativa, in luogo di estendere puramente e semplicemente al territorio triestino le competenze ex artt. 70, 76 e 77 della Costituzione; che, in conseguenza, deve ritenersi costituzionalmente illegittimo il D.P.R. 27 ottobre 1954. La Corte può e deve esaminare questa questione di costituzionalità, perché essa fa parte integrante di quella relativa al decreto impugnato, senza con ciò estendere arbitrariamente i confini della questione a lei sottoposta con l'ordinanza di rimessione e senza nemmeno dover sollevare ex professo la nuova questione di legittimità costituzionale. Altro, infatti, la Corte non dovrebbe fare nella specie se non verificare "se il soggetto che ha emanato il decreto n. 200 del 1957 fosse o non legittimato ad emanarlo, pretendendo di dare ad esso forza di legge", in base al citato decreto presidenziale che gli aveva conferito poteri legislativi.
In secondo luogo, respinge la tesi dell'Avvocatura che l'art. 70 dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia abbia ratificato l'operato del Commissario triestino fino al momento della formazione della nuova Regione, sia perché l'articolo ricordato dispone il passaggio dall'un Commissario all'altro soltanto dei "poteri di amministrazione", sia perché, escludendo dal trapasso i poteri "trasferiti alla Regione", esclude il trapasso dei poteri legislativi che, appunto, sono stati attribuiti alla Regione, sia, infine, perché esso non contiene una clausola di ratifica costituzionale, almeno in materia legislativa, né esplicitamente, né implicitamente.
Infine, la difesa della Società Arrigoni, pur ritenendo ora per fermo che il decreto impugnato, pretendendo di avere forza di legge, sia soggetto al sindacato della Corte, si prospetta l'ipotesi che la fonte di esso sia considerata costituzionalmente legittima e, in conseguenza, si chiede a quale tra le due funzioni del Commissario triestino, legislativa o amministrativa, il decreto debba essere attribuito, propendendo, in base ai prevalenti caratteri formali, per questa seconda attribuzione, con la conseguenza che il decreto dovrebbe essere disapplicato o annullato in altra sede secondo le regole generali.
5. - Anche l'Avvocatura ha depositato una sua memoria il 28 gennaio 1964, nella quale ribadisce le sue tesi insistendo sul punto che il decreto presidenziale 27 ottobre 1954, emesso per dare esecuzione al Memorandum di Londra, trova il suo fondamento giuridico costituzionale nell'art. 87, ottavo comma, della Costituzione e riguarda un accordo che, per la sua particolare forma e per il suo oggetto limitato, non rientra tra le convenzioni per la ratifica delle quali é necessaria l'autorizzazione delle due Camere mediante legge ai sensi dell'art. 80 della Costituzione. Il decreto importò la sostituzione dello Stato italiano, e per esso dell'organo speciale (il Commissario generale del Governo), al Governo militare alleato con gli stessi poteri esercitati da quest'ultimo, sicché il potere normativo del Commissario generale deriva da un titolo internazionale, non trova la sua base nell'ordinamento interno italiano e, pertanto, dice l'Avvocatura, non sembra possibile porre una questione di compatibilità dell'esercizio del potere normativo da parte del Commissario generale per Trieste con le disposizioni degli artt. 76 e 77 della Costituzione.
6. - Nell'udienza del 15 aprile 1964 i difensori delle parti hanno illustrato le tesi sostenute negli scritti difensivi ed insistito nelle rispettive conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La Corte non ritiene necessario, ai fini del presente giudizio, esaminare e risolvere puntualmente le questioni di diritto internazionale che l'interpretazione dell'art. 21 del Trattato di pace ha fatto sorgere e segnatamente se, con l'entrata in vigore di questo, sia venuta a cessare la sovranità italiana sul Territorio libero di Trieste e, nell'ipotesi che codesta cessazione abbia avuto luogo, come la sovranità dello Stato sia stata ripristinata o come si sia verificata la "riannessione" della zona A di quel Territorio allo Stato italiano.
Ritiene, infatti, la Corte che o si accolga la tesi, che appare preferibile, secondo la quale la sovranità italiana sul Territorio triestino non é mai cessata, o si accolga l'altra secondo la quale essa sovranità é stata ripristinata in conseguenza del Memorandum d'intesa, immediatamente, o gradualmente, attraverso un idoneo comportamento dello Stato italiano, la questione della conformità alla Costituzione dei poteri conferiti al Commissario generale del Governo, così come ora é sottoposta all'esame della Corte, non subisce modificazione di termini. É da considerare infatti che il persistere della sovranità italiana sul Territorio di Trieste o la successiva sua restaurazione non escludono che, nella zona A di questo Territorio, in seguito a straordinari eventi e ad accordi internazionali, si sia potuto legittimamente instaurare un regime particolare di amministrazione e di Governo, quale quello che si riassume nella figura e nei poteri del Commissario generale.
2. - Occorre, a questo fine, fare riferimento al Memorandum d'intesa siglato a Londra il 5 ottobre 1954 tra i Governi d'Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e della Jugoslavia, e ai presupposti che lo occasionarono: l'impossibilità di "tradurre in atto le clausole del Trattato di pace" e la volontà manifestata dalle Potenze occupanti di non assumere ulteriormente la responsabilità per l'amministrazione del Territorio di Trieste. In conseguenza di ciò fu concluso un "practical arrangement" o, come si esprime il testo italiano, furono adottate "misure pratiche", che si concretarono nel passaggio all'amministrazione italiana e a quella jugoslava, rispettivamente, della zona A e della zona B del Territorio triestino. Italia e Jugoslavia concordarono insieme, in uno "Statuto speciale" allegato al Memorandum, misure per assicurare, nelle zone che, in base alle disposizioni del Memorandum, passavano nella rispettiva sfera di amministrazione, "i diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali senza distinzione di razza, di sesso, di lingua e di religione". Si adottava pertanto una soluzione di carattere provvisorio e straordinario, conseguenza di uno stato di necessità, com'era del resto confermato anche dalla natura dell'atto diplomatico, col quale la si adottava, che é stato ritenuto anomalo ed eccezionale.
Il problema di fondo non veniva perciò né risoluto né pregiudicato. Per l'Italia questo problema significava l'ulteriore destino della zona B, di una parte, cioè, di territorio nazionale sulla quale l'Italia intendeva conservare e riaffermare i suoi diritti. Conforme a questa situazione e dettato dal proposito di salvaguardare queste esigenze giuridiche, storiche e politiche, fu il comportamento dello Stato italiano, che si espresse nel fatto che il Parlamento discusse intorno al Memorandum senza giungere ad adottare alcuna decisione, e nell'altro che i poteri esercitati mediante un Commissario generale del Governo nella zona passata all'amministrazione italiana si collegarono (o ne furono la continuazione) a quelli esercitati dai Comandi militari alleati prima dell'entrata in vigore del Trattato di pace e, nella medesima forma e misura, dopo l'entrata in vigore di questo, giusta l'art. 1 dello "Strumento per il regime provvisorio del Territorio libero di Trieste", allegato al Trattato stesso, il quale appunto stabilisce che "fino all'assunzione dei poteri da parte del governatore, il Territorio libero continuerà ad essere amministrato dai Comandi militari alleati, entro le rispettive zone di competenza". In questo quadro va considerata la particolare natura ed estensione dei poteri del Commissario generale di Governo e segnatamente di quelli legislativi: continuazione dei poteri esercitati già dai Comandi alleati. Né questo comportamento dello Stato italiano dettato dalla straordinaria situazione del Territorio triestino, non assimilabile, o quanto meno non identificabile a quella dei territori in via di annessione dopo la prima guerra mondiale, fu contraddetto da talune necessarie misure e interventi legislativi dello Stato italiano direttamente efficaci nel Territorio triestino, che restò nella sua peculiare configurazione, senza che ne risultasse compromessa la posizione politica internazionale dell'Italia in materia. Sono questi i motivi che rendono non sostenibile la tesi illustrata dalla difesa della Società Arrigoni secondo la quale non sarebbe stato necessario un regime speciale per l'amministrazione della zona, che, a ben guardare, si risolve in una critica della valutazione del momento storico e della tutela degli interessi nazionali compiuta dallo Stato italiano nel 1954.
3. - L'Avvocatura dello Stato insiste sul carattere decisivo, ai fini della soluzione della questione di legittimità, dell'entrata in vigore della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, contenente lo "Statuto speciale della Regione Friuli - Venezia Giulia", e segnatamente sull'art. 70 di essa. E a ragione. L'interpretazione che di questo articolo sostiene la difesa della Società Arrigoni non sembra accoglibile. Le norme contenute in quell'articolo devono essere interpretate, com'é ovvio, nel sistema dello Statuto, e comportano il passaggio dei poteri amministrativi dal Commissario generale del Governo al Commissario del Governo per la Regione, al Prefetto e alla Regione nell'ambito della rispettiva competenza, quale é stabilita dall'ordinamento regionale e dall'ordinamento statale. Ma comportano anche la cessazione dell'esercizio di ogni potere legislativo da parte del Commissario generale di Governo e del suo successore, il Commissario di Governo. Nell'ambito, infatti, del Territorio di Trieste, ricompreso nei confini della Regione a statuto speciale Friuli - Venezia Giulia, il potere legislativo sarà esercitato dallo Stato e dalla Regione nei limiti della rispettiva competenza. I residui poteri di amministrazione del Commissario generale, quelli, vale a dire, che non rientrano nelle previste attribuzioni della Regione, del Prefetto e del Commissario di Governo, passano anch'essi a quest'ultimo, ma senza confondersi con le competenze che ordinariamente a lui spettano, e saranno esercitati "fino a quando non sarà diversamente disposto con legge della Repubblica": tra questi sono da ricomprendere le competenze regolate nei commi 3 e 4 dell'art. 70 dello Statuto. Con che la peculiarità della situazione del Territorio triestino é riconosciuta anche dallo Statuto speciale.
Le parti hanno discusso se con questo medesimo art. 70 il legislatore costituzionale ha inteso sanare o convalidare l'esercizio da parte del Commissario generale di poteri legislativi. La Corte ritiene che la difesa della parte privata lo neghi a torto. L'interpretazione che occorre dare, come si é or ora visto, all'art. 70 porta a ritenere - anche in assenza di un'esplicita dichiarazione di convalida -, che il carattere extra ordinem del regime del Territorio di Trieste é stato riconosciuto e, per quanto necessario, convalidato dal legislatore costituzionale; che, anzi, sotto il profilo di una particolare amministrazione, é stato altresì confermato. Sicché anche per questo motivo non può essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del decreto impugnato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione sollevata dalla Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette sugli affari di Trieste con ordinanza 13 maggio 1963, sulla legittimità del decreto del Commissario generale del Governo per il Territorio di Trieste 30 dicembre 1957, n. 200, in relazione agli artt. 23, 76 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 23 giugno 1964.