SENTENZA N. 19
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 29, primo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 23 gennaio 1963 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Annoni Agnese e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 102 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 145 del 1 giugno 1963.
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Annoni Agnese;
udita nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1963 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;
udito l'avv. Franco Agostini, per Annoni Agnese.
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione notificato il 12 dicembre 1961, la signora Agnese Annoni in Rimoldi conveniva davanti al Tribunale di Milano l'Istituto nazionale della previdenza sociale, esponendo di avere inutilmente richiesto le prestazioni antitubercolari in favore del proprio marito invalido, perché la domanda era stata respinta dal Comitato esecutivo competente in base all'art. 29 del decreto presidenziale 26 aprile 1957, n. 818, il quale richiede che il marito di donna assicurata sia "vivente a carico della stessa". Affermava peraltro che, in ogni caso, la norma doveva ritenersi illegittima, avendo introdotto innovazioni restrittive rispetto alle leggi vigenti, e perciò chiedeva che l'Istituto fosse condannato a corrispondere al marito le prestazioni assicurative antitubercolari, con ogni pronuncia conseguenziale.
L'Istituto si costituiva regolarmente e chiedeva di essere assolto dalla domanda, sostenendo la legittimità del rifiuto opposto ad essa in base alla disposizione ricordata e la infondatezza della questione di costituzionalità proposta in via subordinata dalla attrice.
Il Tribunale, dopo avere escluso che la disposizione dell'art. 29 citato potesse essere interpretata nel senso sostenuto dall'attrice, e cioè distinguendo due categorie di beneficiari, il marito invalido ed il marito a carico della moglie, ancorché non invalido, riteneva peraltro fondato il dubbio che la prima parte della disposizione possa avere introdotto una innovazione restrittiva, esorbitando dai limiti fissati dalla legge delegante, e ciò in violazione dell'art. 76 della Costituzione.
Di conseguenza, con ordinanza 23 gennaio 1963, sospendeva il giudizio in corso e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale per la soluzione della questione di legittimità del primo comma dell'art. 29 del decreto presidenziale 26 aprile 1957, n. 818, ove si "richiede, per il marito di donna assicurata, il requisito della vivenza a carico della stessa".
L'ordinanza, iscritta al n. 102 del Registro ordinanze del 1963, é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati in data 18 aprile e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 1 giugno 1963, n. 145.
Nel giudizio davanti alla Corte si é costituita la signora Agnese Annoni Rimoldi, mentre non si é avuta costituzione dell'Istituto, né intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Gli argomenti dell'attrice si trovano illustrati nella memoria depositata il 28 novembre 1963, nella quale si richiamano le considerazioni esposte nell'ordinanza del Tribunale; si sostiene poi che la disposizione non può essere compresa né fra le norme di attuazione della legge delegante, né fra le transitorie, ma che anzi essa contrasta decisamente con il sistema costruito dalle leggi precedenti, subordinando il diritto alle prestazioni per la tubercolosi a una nuova condizione, la vivenza a carico, e restringendo così il contenuto dei diritti soggettivi degli assicurati. Inversamente, l'equiparare la moglie al marito invalido non solo corrisponderebbe all'indirizzo di parificazione fra l'uomo e la donna sancito dalla Costituzione, ma corrisponderebbe a corretti principi assicurativi, nei confronti dei quali interessa solo la posizione del coniuge dell'assicurato o dell'assicurata, e ai fini particolari dell'assicurazione, che deve tutelare i lavoratori e familiari dalla tubercolosi.
All'udienza la difesa della Annoni insisteva nelle conclusioni già formulate.
Considerato in diritto
Nella ordinanza del Tribunale di Milano si afferma nel modo più esplicito che la controversia principale pendente davanti ad esso non potrebbe essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 29 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, ove si richiede, per il marito di donna assicurata, il requisito della vivenza a carico della stessa; e si premette una esauriente dimostrazione, oltre che della rilevanza della questione, della non manifesta infondatezza del dubbio che la disposizione citata, richiedendo il requisito della vivenza a carico della moglie da parte del marito invalido, possa avere introdotto una innovazione restrittiva, esorbitando dai limiti fissati dalla legge delegante.
In realtà, l'art. 69 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, nel testo già modificato dalla legge 28 dicembre 1950, n. 1116, e poi sostituito dall'art. 1 della legge 9 agosto 1954, n. 657, disponeva che le prestazioni dell'assicurazione concernenti la cura della tubercolosi si estendevano a favore della famiglia dell'assicurato, e precisava che quali componenti della famiglia dovevano intendersi, oltre alla moglie dell'assicurato e al marito invalido di donna assicurata, altri parenti dell'assicurato; ma per questi ultimi prevedeva il requisito che essi fossero "viventi a carico" dell'assicurato, mentre non faceva menzione del requisito stesso né per la moglie dell'assicurato, né per il marito di donna assicurata, richiedendo rispetto a quest'ultimo la condizione di "invalido".
L'esame del primo comma dell'art. 29 del D.P.R. n. 818 del 1957, sottoposto al giudizio della Corte, sembra sufficiente a dimostrare la illegittimità della disposizione per eccesso di delega, poiché esso risulta chiaramente dettato al solo scopo di inserire la condizione che il marito di donna assicurata per la tubercolosi risulti "vivente a carico della stessa"; e l'inserzione avrebbe dovuto essere ritenuta superflua, ove quella condizione fosse già stata preveduta nelle disposizioni vigenti.
L'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, non conteneva alcuna delegazione al Governo a provvedere a limitare il diritto alle prestazioni assicurative o a subordinarlo a condizioni o presupposti non previsti da norme anteriori (compito che, all'occorrenza, avrebbe dovuto essere espletato dalla legge medesima, nella quale non mancano disposizioni contenenti modificazioni e integrazioni della legislazione precedente); pertanto la restrizione introdotta con l'art. 29 del decreto legislativo presidenziale configura un caso di violazione dell'art. 77 della Costituzione, da cui deriva la illegittimità costituzionale della norma stessa;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma dell'art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e in riferimento all'art. 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 14 marzo 1964.