SENTENZA N. 9
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 574 del Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 13 aprile 1963 dal Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Santoni Giovanni, iscritta al n. 117 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 175 del 2 luglio 1963.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 4 dicembre 1963 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di Santoni Giovanni, il Pretore di Roma, con ordinanza del 13 aprile 1963, sollevava di ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 574 del Codice penale, in riferimento agli artt. 29, secondo comma, e 30, primo comma, della Costituzione, sospendendo il giudizio e rimettendo gli atti alla Corte costituzionale.
La norma impugnata, che prevede il reato di sottrazione di persone incapaci, indica come titolare del relativo diritto di querela, oltre che il tutore, il curatore o chi abbia la vigilanza e la custodia dell'incapace, il solo genitore esercente la patria potestà, violando con ciò, ad avviso del Pretore, il principio della parità giuridica e morale dei coniugi nei rapporti reciproci e nei confronti della prole.
Il Pretore rileva in particolare che la limitazione contenuta nell'art. 574 (ed analogamente nell'art. 573) costituisce un'eccezione al principio di cui all'art. 120 del Codice penale, eccezione ispirata, come risulta espressamente dai lavori preparatori, dall'intento di tener ferma la relazione che "deve intercedere fra l'oggettività del reato e la titolarità del diritto di querela"; e rammenta che però in seno alla dottrina non si é mancato di contestare la fondatezza di questa affermazione, nel senso che più esattamente la qualità di soggetto passivo del reato avrebbe dovuto essere attribuita anche all'incapace sottratto o ritenuto, e che la oggettività del reato stesso avrebbe dovuto essere identificata con la patria potestà e non con l'esercizio di essa. Onde, per un verso e per l'altro, il riconoscimento del diritto di querela ad entrambi i genitori, in quanto titolari della patria potestà, e non al solo genitore cui é attribuito il relativo esercizio.
Pertanto - ad avviso del Pretore - la disparità di trattamento riservata ai due genitori dalla norma impugnata, non essendo giustificata da una diversità di situazioni concrete da regolare, non potrebbe farsi rientrare fra le limitazioni che la Costituzione riconosce doversi apportare al principio della eguaglianza giuridica e morale dei coniugi a garanzia dell'unità familiare; e risulterebbe quindi in contrasto con l'art. 29, secondo comma, della Costituzione stessa. La norma impugnata, secondo il Pretore, contrasterebbe anche con l'art. 30, primo comma, della Costituzione, che sancisce il dovere e il diritto di entrambi i coniugi di mantenere, istruire ed educare i figli. Infatti il precetto costituzionale, essendo una riconferma, sotto questo aspetto, del principio della parità dei coniugi, ed essendo diretto a riconoscere e tutelare l'interesse dei genitori a quelle prestazioni, verrebbe ad essere violato da qualsiasi disposizione diretta a limitare o sopprimere tale diritto.
L'ordinanza, regolarmente notificata al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma, all'imputato e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, é stata pubblicata sul n. 175 della Gazzetta Ufficiale del 2 luglio 1963.
In data 21 maggio 1963 si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri con atto di intervento e deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato.
Secondo l'Avvocatura dello Stato, "l'oggettività giuridica" del reato di cui all'art. 574, in relazione alla quale il diritto di querela risulta attribuito ad uno solo dei coniugi, troverebbe il suo fondamento nell'istituto dell'esercizio della patria potestà secondo la disciplina dettata dal Codice civile. Sebbene indubbiamente titolari di tale potestà siano entrambi i genitori, tuttavia senza il riconoscimento di una posizione di preminenza ad uno dei due, ogni iniziativa connessa ai poteri riconosciuti ai genitori per l'allevamento e l'educazione dei figli resterebbe paralizzata tutte le volte che sorgesse un contrasto in ordine all'esercizio di quei poteri. Tale posizione di preminenza andrebbe per altro attribuita, secondo ovvie leggi di natura, al marito e non alla moglie, senza che da ciò potesse dirsi determinata una situazione di disparità fra i coniugi.
L'Avvocatura dello Stato ritiene infine del tutto infondata anche la seconda questione prospettata dal Pretore, in riferimento al secondo comma dell'art. 30 della Costituzione.
Considerato in diritto
La Corte ritiene fondata la proposta questione. La disposizione che, relativamente al delitto di sottrazione di persone incapaci preveduto dall'art. 574 del Codice penale, limita il diritto di querela al solo coniuge esercente la patria potestà lede il principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sancito dal secondo comma dell'art. 29 della Costituzione; né la disposizione é tale da potersi considerare, ai sensi dello stesso art. 29, come uno dei limiti che la legge stabilisce a garanzia dell'unità familiare.
Nella disciplina giuridica del diritto di querela vige il principio generale che pone sullo stesso piano entrambi i genitori senza distinzione fra esercente e non esercente la patria potestà, all'uno e all'altro concedendo la potestà di presentare querela, sia che il diritto debba esercitarsi in rappresentanza di soggetti incapaci (art. 120, secondo comma, del Codice penale), sia che debba esercitarsi in sostituzione di soggetti che sono abilitati a presentare querela (minori che hanno compiuto gli anni quattordici e inabilitati), ma per i quali si ritiene opportuno anche il possibile intervento dei genitori, ovvero del tutore o del curatore (art. 120, terzo comma). Le predette disposizioni, corrispondenti ad eguale indirizzo di altre legislazioni, stanno a significare in modo evidente che, ancor prima dell'attuale energica affermazione del principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, l'unità familiare e l'autorità del genitore esercente la patria potestà non erano considerate lese dal possibile dissenso fra i genitori in ordine alla presentazione della querela.
Questa considerazione, riguardante il principio generale dell'art. 120 del Codice penale, può essere riferita anche alla ipotesi preveduta dall'art. 574, nel senso cioè che se con l'art. 120, come norma generale, si é ritenuto non contrastante con l'unità e la disciplina della famiglia il diritto di querela attribuito ad entrambi i genitori, non v'é motivo di attuare diverso criterio nella ipotesi particolare dell'art. 574. Le due norme riguardano indubbiamente situazioni diverse, prevedendo l'una un diritto di querela in rappresentanza o in sostituzione di altri soggetti, e l'altra invece un diritto di querela iure proprio, spettante cioé al genitore esercente la patria potestà considerato unico soggetto passivo del reato, in quanto il reato viene ipotizzato appunto come sottrazione del minore al genitore esercente la patria potestà. Senonché é questa delimitazione dell'offesa e, conseguentemente, del soggetto passivo che, a giudizio di questa Corte, non risponde né alla natura ed incidenza effettiva dell'offesa medesima, né al carattere della figura di reato, quale, oltre tutto, si può desumere dalla sua collocazione nel titolo XI del libro II del Codice, dei delitti "contro la famiglia".
Senza immutazione o alterazione della figura di reato, ma per via di una interpretazione più aderente al suo reale contenuto, é da ritenere che la sottrazione del minore importi una offesa che non va circoscritta alla sola posizione dell'esercente la patria potestà, ma che investe tutta la famiglia, nella intera consistenza dei suoi interessi sociali, morali e affettivi. La inclusione della sottrazione di minorenni nel titolo dei delitti contro la famiglia, lungi dall'essere il frutto di una classificazione meramente formale, trova, per questa ipotesi, una rispondenza effettiva nella natura e nella estensione della offesa. Se questa pertanto deve ritenersi tale da superare il circoscritto interesse inerente all'esercizio della patria potestà, ne consegue necessariamente una diversa corrispondente estensione della soggettività passiva, con la inclusione anche dell'altro coniuge, il quale, investito della patria potestà pur non avendone attualmente l'esercizio, non può, in questa ipotesi, essere escluso dalla rappresentanza della famiglia e dalla tutela dei suoi interessi.
Posti in questi termini la figura delittuosa preveduta dall'art. 574 del Codice penale e il contenuto offensivo che le é proprio, viene meno il particolare fondamento della disposizione che limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà, con la conseguenza che la limitazione stessa si manifesta lesiva del principio di eguaglianza fra i coniugi, al quale nel caso presente non é concesso fare eccezione.
Bisogna rilevare infine che nell'art. 573 del Codice penale, il quale prevede la sottrazione consensuale di minorenni, si riscontra identica non giustificata restrizione del diritto di querela; e pertanto, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche di questa norma, e per la parte relativa alla limitazione del diritto di querela, va dichiarata la illegittimità costituzionale;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 574 del Codice penale, in riferimento all'art. 29, secondo comma, della Costituzione, in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà;
b) dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità costituzionale dell'art. 573 del Codice penale, in riferimento all'art. 29, secondo comma, della Costituzione, in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 1964.