SENTENZA N. 174
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 25 febbraio 1960, n. 163, promosso con ordinanza emessa il 6 giugno 1962 dalla Commissione distrettuale per le imposte dirette e indirette di Udine su ricorso della Società per azioni Carlo Delser e C. di Martignacco contro l'Ufficio distrettuale delle imposte di Udine, iscritta al n. 105 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 153 dell'8 giugno 1963.
Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli atti di costituzione in giudizio dell'Amministrazione delle finanze dello Stato e della Società Delser;
udito, nell'udienza pubblica del 4 dicembre 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;
uditi l'avv. Umberto Zanfagnini, per la Società Delser, e il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Amministrazione delle finanze dello Stato.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso d'un giudizio promosso con ricorso della Società per azioni Carlo Delser e C. di Martignacco la Commissione distrettuale per le imposte dirette e indirette di Udine, su eccezione della ricorrente, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 25 febbraio 1960, n. 163.
Nell'ordinanza di rinvio si osserva che questo art. 2 della legge 1960, n. 163, contrasterebbe con l'art. 53 della Costituzione, secondo cui l'obbligo del cittadino di concorrere alle spese pubbliche non può superare il limite della c. d. capacità contributiva: infatti, l'art. 2 ha efficacia retroattiva poiché con esso l'ente tassabile in base al bilancio 1951-52 é obbligato a pagare per il primo semestre del 1952 un'imposta di ricchezza mobile doppia di quella che doveva secondo la legge del tempo (art. 2 del D.P.R. 4 novembre 1951, n. 1582); ma le norme tributarie retroattive, facendo sorgere debiti d'imposta su un reddito che, prodottosi in passato, può essere stato consumato nel frattempo, non tengono conto dell'attuale concreta possibilità di pagamento del tributo: esse colpiscono il contribuente senza guardare alla sua attuale capacità contributiva e perciò violerebbero l'art. 53, primo comma, della Costituzione; tanto più che, quando il contribuente é una persona giuridica a base personale, l'imposta colpisce (indirettamente) chi ne fa parte ora, mentre non colpisce chi ne faceva parte allorché il reddito tassato si é prodotto: il che darebbe luogo a manifesta disparità di trattamento.
La difesa della parte privata, nelle deduzioni nella memoria depositate rispettivamente il 3 maggio e il 20 novembre 1963, fa propri i rilievi contenuti nell'ordinanza di rinvio, illustrandoli col richiamo agli artt. 41 e 42 della Costituzione e con esempi tratti dalle varie vicende delle società commerciali: infatti da un canto la libertà dell'iniziativa economica privata e la sfera di diritto patrimoniale del singolo sarebbero perpetuamente insidiate se potessero essere soggetti ex post a nuovi prelievi i redditi sui quali il prelievo sia stato già effettuato in conformità della legge del tempo; dall'altro la disparità di trattamento derivante dalla norma impugnata si rivelerebbe specialmente nel caso in cui l'ente soggetto a nuovo tributo si sia estinto dopo il 1952 e prima del 1960, dimodoché non sarebbe più possibile riscuotere l'imposta, o nel caso in cui, entro la stessa epoca, un azionista abbia vendute le sue azioni, cosicché sull'acquirente si scaricherebbe un'obbligo tributario che invece dovrebbe colpire l'azionista del 1952.
2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'atto di intervento e nella memoria depositati dall'Avvocatura generale dello Stato il 26 febbraio e il 21 novembre 1963, nega che le leggi tributarie retroattive siano come tali costituzionalmente illegittime e si richiama alle sentenze della Corte costituzionale n. 118 del 1957 e n. 81 del 1958. Altrettanto sostiene il Ministro delle finanze nelle deduzioni depositate a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato il 26 febbraio 1963.
Quanto al preteso contrasto con l'art. 53 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato sostiene che di capacità contributiva può parlarsi solo rispetto al periodo di tempo al quale si riferisce l'imposta (cioé, in questo caso, al 1951-52) e che perciò essa non ha nulla in comune con la condizione finanziaria del contribuente al momento della riscossione; che comunque l'art. 53 della Costituzione si riferisce, non alle singole imposte, ma all'intero sistema tributario; che inoltre esso contiene un principio astratto inapplicabile ai singoli tributi, determinati spesso anche da esigenze extrafiscali; che, in particolare, non può considerarsi disparità di trattamento, in relazione alla capacità contributiva dei soggetti gravati d'imposta, un inconveniente, come quello denunciato, di cui vengono a soffrire solo i vecchi soci dell'ente tassato, cioé persone estranee all'obbligazione tributaria.
L'Avvocatura dello Stato ricorda anzi che l'art. 2 della legge del 1960, n. 163, ha lo scopo di sanare una situazione patologica creatasi con l'art. 2 del D.P.R. 4 novembre 1951, n. 1582: un decreto per il quale, gli enti, il cui esercizio s'era aperto nel 1951 e s'era chiuso nel primo semestre del 1952, erano stati assoggettati all'imposta per questo semestre e non anche per il semestre precedente (come invece si doveva nel quadro del sistema tributario vigente), mentre gli enti, che avevano chiuso il bilancio alla fine del 1951, erano stati colpiti in una misura superiore a quella consentita dallo stesso sistema.
Il che é stato invece negato nella memoria della Società Delser e C.: infatti, gli enti, il cui esercizio si era chiuso nel primo semestre del 1952, non dovevano pagare l'imposta anche per il secondo semestre dell'anno precedente, poiché avevano già assolto l'obbligazione tributaria per tutto l'anno solare precedente (1951). Comunque la norma impugnata, avendo effetto retroattivo, contrasterebbe sempre col principio della capacità contributiva (che, tra l'altro, non può essere eluso neanche da pretese finalità extrafiscali delle norme tributarie): del resto, anche se fosse vero che il D.P.R. del 1951, n. 1582, aveva provocato una situazione patologica, questa, a parere della Società Delser e C., poteva essere sanata da una dichiarazione di incostituzionalità della Corte costituzionale e non da una legge operante su rapporti giuridici già consolidati.
3. - Nella discussione orale le parti hanno riaffermato le loro tesi.
Considerato in diritto
1. - Secondo l'ordinanza di rinvio l'art. 2 della legge 25 febbraio 1960, n. 163, contrasterebbe con l'art. 53 della Costituzione poiché, stabilendo che l'imposta relativa al 1952 sia nuovamente liquidata sulla base del bilancio sociale chiuso in quell'anno, tassa gli enti come se la loro capacità contributiva, nel 1960, fosse ancora quella accertata a suo tempo per il 1952.
La questione é infondata.
Il penultimo comma dell'art. 2 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, aveva stabilito che gli enti, il cui esercizio sociale non coincidesse con l'anno solare, dovessero l'imposta di ricchezza mobile sui risultati del bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno.
La norma doveva interpretarsi non nel senso che il tributo gravasse sui redditi dell'anno solare, sia pure con riferimento a quelli risultanti dal bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno; ma nel senso che il tributo, benché riscosso per l'intero anno solare, gravasse sui redditi dell'esercizio sociale chiuso nell'anno. Nonostante l'apparenza, finiva per essere considerato periodo d'imposta, invece che l'anno solare, il periodo di tempo che andava dal giorno d'apertura al giorno di chiusura dell'esercizio sociale, dimodoché l'imposta pagata, ad es., con riferimento all'anno solare 1940, in realtà era dovuta, dagli enti suddetti, sull'esercizio sociale 1939-40.
Che ciò fosse, risulta, tra l'altro, dal fatto che, se ad es. veniva costituita al principio dell'anno solare una società il cui esercizio si dovesse chiudere annualmente il 30 giugno, essa nell'anno di costituzione pagava l'imposta sul reddito del primo semestre (mentre, se periodo di imposta fosse stato l'anno solare, avrebbe dovuto pagarla sul reddito d'un anno, sia pure in base ai risultati di quel primo semestre moltiplicati per due). Risulta inoltre dal fatto che, se la società, il cui esercizio si chiudeva il 30 giugno, si fosse estinta per es. il 10 luglio, non s'aveva diritto allo sgravio dell'imposta per il secondo semestre di quell'anno: sgravio che invece si sarebbe dovuto concedere se fosse vero che l'imposta gravava sul reddito dell'intero anno solare.
2. - La legge del 1951, n. 25 (c. d. legge Vanoni), art. 12, non aveva mutato sostanzialmente il sistema, ma s'era limitata a stabilire che l'imposta si sarebbe dovuta, da allora in poi, non per anno solare, ma per esercizio finanziario: con il che si intendeva soltanto stabilire che all'anno solare (1 gennaio-31 dicembre) si sostituiva l'anno dell'esercizio finanziario dello Stato (1 luglio-30 giugno), restando fermo come periodo d'imposta, per gli enti tassabili in base al bilancio, l'anno del loro esercizio sociale.
Questa legge non con teneva norme di transizione dal vecchio sistema ad anno solare al nuovo sistema ad anno finanziario, ma a ciò provvide il Governo col D.P.R. 4 novembre 1951, n. 1582. Poiché l'imposta per il 1951 doveva essere pagata col vecchio sistema (anno solare 1951), mentre a datare dall'anno successivo, nel quale andava in vigore la legge Vanoni, si sarebbe dovuta pagare col nuovo sistema (anno finanziario 1 luglio 1952-30 giugno 1953), sembrò al Governo che restasse scoperto il primo semestre 1951 (1 gennaio-30 giugno): perciò l'art. 2 del citato D.P.R. stabilì che per quel semestre tutti gli enti pagassero la metà dell'imposta relativa ad un anno. Con questa norma si credette di interpretare esattamente i principi del sistema tributario consacrato nella legge Vanoni del 195l; ma invece si confuse, per errore, il periodo di imposta (che corrispondeva, come s'é precisato, all'esercizio sociale degli enti) coll'anno solare (sistema 1936) e coll'esercizio finanziario (sistema 1951). Non ci s'avvide che, facendo pagare agli enti, il cui esercizio s'era chiuso il 30 giugno 1952, soltanto l'imposta per il primo semestre del 1952, li si esonerava dal pagamento del tributo sui redditi del secondo semestre 1951: infatti l'imposta dovuta da questi enti per l'anno solare 1951 riguardava il periodo 1 luglio 1950-30 giugno 1951, lasciando scoperto quel periodo 1 luglio-31 dicembre 1951 che neanche il predetto D.P.R. si preoccupava di coprire; viceversa lo stesso obbligo di imposta, che, limitato al primo semestre del 1952, avvantaggiava gli enti ricordati, per analoghi ma opposti motivi danneggiava gli enti il cui bilancio coincidesse con l'anno solare: infatti, poiché per questi enti il periodo d'imposta continuava a coincidere con l'anno solare, essi, nell'esercizio finanziario 1952-53, avrebbero dovuto essere soggetti all'imposta sul reddito di non più d'un anno solare, cioé del 1952, e non, come ha sancito il D.P.R. del 1951, n. 1582, sul reddito d'un anno e mezzo, cioé del primo semestre del 1952 e dell'intero 1952.
3. - Tutto ciò fu avvertito più tardi, sia dalle associazioni dei contribuenti, che ne interessarono l'amministrazione finanziaria, sia dal Governo, specialmente dopo l'emanazione del nuovo T.U. delle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, con il quale si chiarì che il periodo d'imposta é costituito, per gli enti tassabili in base al bilancio, dall'esercizio sociale (art. 3, comma terzo). Fu così che, al fine di correggere una manifesta ingiustizia, venne emanata la legge 25 febbraio 1960, n. 163.
Essa contiene appunto un art. 2 (cioé la norma impugnata) il cui significato, riguardo agli enti con bilancio chiuso nel primo semestre del 1952, é solo quello di obbligarli a pagare il semestre d'imposta (esercizio 1951-52) al quale, pur essendo tenuti per legge, erano sfuggiti in virtù del D.P.R. del 1951, n. 1582. La legge disciplina, in verità, situazioni passate; ma le disciplina come sarebbe avvenuto secondo il sistema tributario dell'epoca se non si fosse emesso il D.P.R. del 1951, n. 1582. Essa ha lo scopo di eliminare dall'ordinamento una norma, l'art. 2 del D.P.R. del 1951, n. 1582, contrastante con quel principio di giustizia distributiva, che emerge dall'art. 3 e dallo stesso art. 53 della Costituzione, e perciò é stata sostanzialmente emanata nello spirito dell'art. 30, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
In conclusione, l'art. 2 della predetta legge 25 febbraio 1960, n. 163, non ha introdotto per il passato nuove imposte o nuove aliquote, in confronto delle quali si possa avanzare il dubbio che risultino sproporzionate alla capacità contributiva degli enti soggetti a tassazione, e pertanto non viola l'art. 53 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 25 febbraio 1960, n. 163, recante norme sull'assestamento delle imposte dirette, promossa, con l'ordinanza ricordata in epigrafe, in riferimento all'art. 53 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
GIUSEPPE BRANCA, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1963.