SENTENZA N. 154
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZI
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 378, terzo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1963 dal Pretore di Avezzano nel procedimento penale a carico di Marignetti Zefferino, iscritta al n. 53 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 16 marzo 1963.
Udita nella camera di consiglio del 22 ottobre 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale contro Zefferino Marignetti, il Pretore di Avezzano, con ordinanza del 4 aprile 1962, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 153 del R.D. 8 maggio 1904, n. 368 (che approva il regolamento per la esecuzione della legge 22 marzo 1900, n. 195, e della legge 7 luglio 1902, n. 333, sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi) nella parte in cui esso dispone che "il Prefetto promuove l'azione penale contro il trasgressore allorché lo giudichi necessario ed opportuno", in quanto tale disposizione sarebbe in contrasto con gli artt. 112, 2 e 32, primo comma, della Costituzione.
Questa Corte, con ordinanza n. 115 del 20 dicembre 1962, osservava che il Pretore aveva sollevato la questione di legittimità di una norma non sottoposta al controllo di costituzionalità perché contenuta in un regolamento e rimetteva gli atti allo stesso giudice, il quale non aveva tenuto presenti altre disposizioni di legge, ed in modo particolare l'art. 378 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, dal quale l'art. 153 ha tratto letteralmente la impugnata disposizione in ottemperanza a quanto prescritto dall'art. 61 del R.D. 22 marzo 1900, n. 195. Onde, con nuova ordinanza del 22 gennaio 1963, emanata nello stesso procedimento, il Pretore ha proposto la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel terzo comma dell'art. 378 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, in relazione all'art. 61 del R.D. 22 marzo 1900, n. 195, ed in riferimento agli artt. 112, 2 e 32, primo comma, della Costituzione.
L'ordinanza pone in rilievo che l'art. 378 sopraindicato non pone una condizione di procedibilità, ammessa dal nostro ordinamento giuridico siccome tendente a rimuovere un ostacolo al promuovimento dell'azione penale, ma attribuisce non al P.M. bensì ad un funzionario della pubblica Amministrazione l'esclusivo autonomo esercizio di iniziativa penale e rimette alla sua valutazione discrezionale il promuovimento dell'azione penale, violandone quindi i principi fondamentali dell'ufficialità ed obbligatorietà, affermati dall'art. 112 della Costituzione.
Fa presente, ancora, che la norma in parola, subordinando l'azione penale alla valutazione discrezionale ed insindacabile del Prefetto (ora dell'ingegnere capo degli uffici del Genio civile per il disposto dell'art. 1 del R.D. 19 novembre 1921, n. 1688) ed impedendo, quindi, il tempestivo, necessario intervento della autorità giudiziaria in ordine ad un fatto che lede o pone in pericolo la salute pubblica, appare altresì in contrasto con gli artt. 2 e 32, primo comma, della Costituzione, con i quali la Repubblica avoca a sé la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo o della collettività.
L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 16 marzo 1963.
Non vi é stata costituzione di parti.
Considerato in diritto
L'ordinanza del Pretore di Avezzano sottopone all'esame della Corte la questione se l'art. 378, terzo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F (e quindi anche l'art. 61 del R.D. 22 marzo 1900, n. 195) stabilendo che il Prefetto "promuove l'azione penale allorché lo giudichi necessario ed opportuno" deroghi ai principi della ufficialità ed obbligatorietà di detta azione, e quindi sia in contrasto con l'art. 112 della Costituzione, per il quale il P.M. ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. La questione non é fondata.
É da ritenere che la espressione "il Prefetto (ora l'ingegnere capo del Genio civile per quanto riguarda la polizia idraulica), promuove l'azione penale" ripetuta anche in altre vecchie disposizioni di leggi speciali in materia di contravvenzioni sulle acque, sulle opere pubbliche, sulla navigazione interna, ecc. non é tecnicamente precisa, ma é usata in forma impropria per significare che l'autorità amministrativa ha facoltà di portare a conoscenza dell'autorità giudiziaria fatti, che ritiene penalmente rilevabili e di richiedere il procedimento penale.
Intesa in tali sensi, la impugnata norma si inquadra nel sistema italiano che - a differenza di quel che avviene in legislazioni straniere - non ammette - salvo tassative eccezioni - che altri organi si sostituiscano al P. M. nel promovimento dell'azione penale. Non viola, quindi, il precetto costituzionale dell'art. 112.
Contrasto col detto precetto non si ravvisa neppure sotto il profilo della discrezionalità dell'organo amministrativo di riferire all'autorità giudiziaria i fatti "quando lo giudichi necessario ed opportuno". Ed invero, la norma impugnata contiene, nel suo complesso, una disciplina speciale nel settore della tutela delle opere pubbliche, atta a salvaguardare particolari interessi della pubblica Amministrazione per quanto riguarda l'alterazione dello stato delle cose, la riduzione in pristino, l'esecuzione di ufficio e la riscossione delle spese. In conseguenza impone al Prefetto particolari doveri anche nella valutazione di quelli che possono essere i reali interessi dell'Amministrazione a promuovere un procedimento penale contro i trasgressori. Pertanto, detta norma, attenendo al comportamento di un organo amministrativo, non vale a limitare, ostacolare o condizionare l'azione del P.M., il quale rimane sempre libero di promuovere l'azione penale, quando comunque - con o senza denunzia - venga a conoscenza della sussistenza del reato.
In realtà, la norma impugnata e la norma costituzionale invocata dall'ordinanza sono dirette a soggetti diversi e disciplinano differenti situazioni, essendo la prima volta a regolare l'attività amministrativa in una fase anteriore al procedimento penale, ed attenendo invece la seconda all'attività giurisdizionale.
Rimane con ciò assorbita l'altra questione sollevata dall'ordinanza del Pretore, se cioé, il ripetuto art. 378, subordinando alla valutazione discrezionale ed insindacabile di un organo amministrativo l'intervento dell'autorità giudiziaria, in ordine ad un fatto che può ledere o porre in pericolo la salute pubblica, sia in contrasto con gli artt. 2 e 32, primo comma, della Costituzione, per i quali la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, e tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e come interesse della collettività. Comunque, la funzione di tutela sanitaria assunta dallo Stato ha obbiettivi di prevenzione, affidati ad organi amministrativi, ai quali rimane estranea l'attività giurisdizionale, onde erroneamente ritiene il Pretore che la eliminazione delle cause che ledono o pongono in pericolo la salute pubblica sia compito dell'autorità giudiziaria e possa essere affidata al pronto intervento della stessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 378, terzo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, proposta dal Pretore di Avezzano con ordinanza del 22 gennaio 1963 in relazione all'art. 153 del R.D. 8 maggio 1904, n. 368, ed all'art. 61 del R.D. 22 marzo 1900, n. 195, ed in riferimento agli artt. 112, 2 e 32, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
GIUSEPPE VERZÌ, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1963.