SENTENZA N. 148
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 234, primo comma, ultima ipotesi, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1963 dal Tribunale di Spoleto nel procedimento penale a carico di Scancarello Natale, iscritta al n. 61 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 94 del 6 aprile 1963.
Udita nella camera di consiglio del 22 ottobre 1963 la relazione del Giudice Michele Fragali.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Spoleto, con ordinanza 24 gennaio 1963, ha sottoposto al giudizio di questa Corte la legittimità costituzionale dell'art. 234, primo comma, ultima ipotesi, del Codice di procedura penale, assumendo che la facoltà, ivi conferita al Procuratore generale, di procedere egli stesso ad istruzione sommaria, é in contrasto con l'art. 25 della Costituzione.
Ha rilevato che giudice precostituito dal quale la legge non può permettere una distrazione a posteriori, é qualsiasi organo investito di funzione giurisdizionale, ivi compreso il procuratore della Repubblica; ha soggiunto che, comunque, la facoltà data al Procuratore generale dalla disposizione denunciata, implica uno spostamento di competenza dal giudice istruttore alla sezione istruttoria nei casi in cui si debba decidere sull'azione penale proposta o sulla libertà personale dell'imputato.
2. - L'ordinanza é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 29 gennaio 1963; il 26 gennaio 1963 é stata comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento; é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 94 del 6 aprile 1963.
Innanzi a questa Corte non v'é stata costituzione di parti; il Presidente del Consiglio dei Ministri non é intervenuto.
Considerato in diritto
1. - Nella sentenza 7 giugno 1963, n. 110, questa Corte ha ritenuto in contrasto con l'art. 25 della Costituzione il secondo comma dell'art. 234 del Cod. proc. penale, in quanto il trasferimento dell'istruzione formale alla competenza della sezione istruttoria vi era consentito in base ad una mera discrezionalità del Procuratore generale della Corte di appello e senza determinazione legale di criteri, anziché in forza di una pronunzia del giudice ed in relazione ad ipotesi o a categorie di ipotesi predeterminate dalla legge.
Identica soluzione non può darsi alla questione proposta dal Tribunale di Spoleto circa la potestà attribuita al Procuratore generale della Corte di appello di assumere l'istruzione sommaria, perché l'esercizio di questa potestà non provoca spostamento, dal giudice istruttore alla sezione istruttoria, della competenza ad emettere i provvedimenti giurisdizionali che possono essere necessari nel corso del procedimento.
Non esiste, infatti, nel Codice di procedura penale una norma che permetta di desumere tale conseguenza; e il rilievo che il trasferimento alla sezione istruttoria della istruzione formale, quando era permesso, attribuiva al Procuratore generale la funzione di pubblico ministero in ordine al singolo processo, non induce la conseguenza che, analogamente, l'assunzione da parte del Procuratore generale dell'istruzione sommaria deferisca alla sezione istruttoria la competenza del giudice istruttore sul procedimento riguardo al quale la potestà é stata esercitata.
L'antico testo dell'art. 369 del Cod. proc. penale, ora sostituito dall'art. 42 della legge 10 aprile 1951, n. 287, sul riordinamento dei giudizi di assise, disponeva, riguardo all'istruzione dei processi di competenza della Corte di assise, che il Procuratore generale dovesse rivolgere le sue richieste al giudice istruttore e non alla sezione istruttoria; così affermava che non v'era necessario parallelismo fra la competenza degli uffici del pubblico mimistero e quella dei giudici dell'istruttoria e del dibattimento. La funzione degli uffici della Procura generale della Corte di appello non é, infatti, indirizzata al controllo dell'attività dell'organo inferiore, com'é la funzione degli organi del giudizio nei vari gradi di giurisdizione. E la regola stabilita nell'art. 191 del Cod. proc. penale, per cui il P.M. degli uffici superiori può proporre impugnazione qualunque siano state nel procedimento le conclusioni del rappresentante dell'ufficio e nonostante l'acquiescenza da questi prestata alla sentenza emessa nel procedimento, vuole essere non espressione di una funzione di controllo, ma conseguenza della regola di indipendenza dell'attività degli uffici del pubblico ministero dei vari ordini; regola che é espressa in modo categorico nella parte dello stesso articolo in cui si ammette che il P.M. di ordine superiore può proporre impugnazione nonostante che già una impugnazione sia stata proposta dal P.M. dell'ordine inferiore.
Se perciò il Procuratore generale non inserisce necessariamente la sua competenza in quella spettante all'organo istruttorio della Corte di appello, é intuitivo che nulla si oppone a che nella istruttoria sommaria, per una migliore esplicazione della funzione, egli faccia propria la competenza dell'ufficio inferiore.
2. - Non é esatto che, come assume il Tribunale di Spoleto, in quella nozione di giudice cui si richiama l'art. 25 della Costituzione, deve ritenersi compreso il Procuratore della Repubblica.
La Costituzione, nel capoverso dell'art. 108, distingue gli organi del pubblico ministero da quelli della giurisdizione dopo avere, nell'ultimo comma dell'art. 107, separato la figura del pubblico ministero da quella degli altri magistrati; nell'art. 112 ha considerato il pubblico ministero come titolare della potestà di esercitare l'azione penale, che é diversa dalla potestà di giudicare; e questa Corte, nella sentenza 3 aprile 1963, n. 40, rilevando che il pubblico ministero non ha competenza ad emettere provvedimenti decisori, ha ritenuto che egli non può promuovere il processo di legittimità costituzionale. Ora non si scorgono ragioni per reputare che, nell'art. 25 della Costituzione, si alluda al giudice in un significato tecnicamente improprio.
Risulta, del resto, anche dallo stesso Codice di procedura penale, che il pubblico ministero ha posizione e poteri che si distaccano dalla posizione e dai poteri del giudice. E ciò, non soltanto perché al pubblico ministero é riservata esclusivamente la potestà di promuovere l'attività del giudice e di proporgli istanze suscettibili di condurre alla decisione, ma anche perché la disciplina della funzione requirente é posta nel titolo riservato alle parti, per quanto in una sezione distinta da quella in cui si tratta delle parti private: se parte é dal Codice ritenuto il pubblico ministero, sia pure in posizione speciale, giudice egli non può essere nel contempo considerato. Né muta la qualificazione del pubblico ministero quando egli svolge attività autonoma nell'istruzione sommaria, perché anche allora al giudice egli, in alcuni casi, deve sottoporre le istanze di scarcerazione o di libertà provvisoria (artt. 270, 280 del Cod. proc. pen.) e quelle di proscioglimento (art. 395 del Cod. proc. penale).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 234, primo comma, ultima ipotesi, del Codice di procedura penale, proposta dal Tribunale di Spoleto, in riferimento all'art. 25 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
MICHELE FRAGALI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 27 novembre 1963.