Sentenza n. 125 del 1963
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SENTENZA N. 125

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 110, commi terzo, quarto e quinto, del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1962 dal Pretore di Rovato nel procedimento penale a carico di Valtellini Maria ed altri, iscritta al n. 197 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 del 15 dicembre 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'8 maggio 1963 la relazione del Giudice Michele Fragali;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Pretore di Rovato, mediante ordinanza emessa il 10 ottobre 1962 nel procedimento penale a carico di Valtellini Maria ed altri, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 110, commi terzo, quarto e quinto, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, che approva il T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, con il quale si vieta di concedere licenze per l'uso, nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, di apparecchi, meccanismi o congegni automatici da giuoco o da trattenimento di qualsiasi specie.

Il Pretore ha considerato che la norma predetta viola l'art. 41 della Costituzione in quanto pone un divieto anche al giuoco automatico non d'azzardo, che né contrasta con l'utilità sociale, né pone in pericolo la sicurezza, la libertà o la dignità umana; in tal modo la norma sopprime o modifica ogni iniziativa economica nel particolare settore, anziché coordinarla ai fini sociali.

L'ordinanza é stata notificata alle parti private in data 15 e 19 ottobre e 7 novembre 1962, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 26 ottobre 1962 e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia il 21 novembre 1962; é stata comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati in data 23 ottobre 1962; ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 15 dicembre 1962, n. 320.

2. - É intervenuto innanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale, con le sue deduzioni del 15 novembre 1962, ha osservato che la norma denunciata si preoccupa delle conseguenze che l'esperienza indica probabili, ancor più che possibili, nell'uso di apparecchi o congegni automatici nei luoghi pubblici o aperti al pubblico; che cioé tali apparecchi o congegni siano strumento per lo svolgimento di un giuoco d'azzardo. La norma stessa va riferita, pertanto, solo agli apparecchi o congegni nell'uso dei quali può ricorrere il fine di lucro e la vincita o la perdita é interamente o quasi interamente aleatoria, anche se vi concorre l'abilità del giuocatore ove questa sia di scarsa rilevanza. Il che corrisponde alla interpretazione del sistema, data dal n. 76, par. IV, della tabella allegata al T. U. delle leggi sulle concessioni amministrative, approvata con D.P.R. 1 marzo 1961, n. 121, che prevede una tassa di licenza per tenere e fare funzionare gli elettrogrammofoni a gettone in alberghi, pensioni ed esercizi pubblici.

Così intesa, la disposizione cui si é riferito il Pretore di Rovato, si rivela, secondo il Presidente del Consiglio dei Ministri, informata ad evidenti motivi di utilità sociale: e comprime soltanto l'iniziativa economica, per evitare che essa si svolga in contrasto con le esigenze protette, non essendo il divieto applicabile né ai locali privati né a quelli non aperti al pubblico.

3. - All'udienza dell'8 maggio 1963 l'Avvocatura dello Stato ha insistito nell'assunto su esposto.

 

Considerato in diritto

 

1. - Gli ultimi tre commi dell'art. 110 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, che sono oggetto del dubbio proposto dal Pretore di Rovato, vietano di concedere licenze per l'uso, nei locali pubblici o aperti al pubblico, di apparecchi o congegni automatici da giuoco o da trattenimento di qualsiasi specie.

L'Avvocatura dello Stato sostiene che le norme predette riguardano soltanto i giuochi automatici di azzardo; ma l'assunto non é accoglibile.

Infatti, la formula usata dalla legge non ammette eccezioni, perché nella proibizione include espressamente "qualsiasi specie" di apparecchi o congegni; con il che, non soltanto viene negata ogni distinzione fra tipi meccanici, ma altresì viene respinta ogni differenza che faccia capo ai caratteri del giuoco o del trattenimento cui gli oggetti sono destinati e vengono compresi nel divieto pure i meccanismi che non danno luogo ad azzardo.

Il giuoco d'azzardo o l'attività diretta ad agevolarlo sono puniti da una norma del Codice penale (art. 718); e ciò include di per sé la proibizione di rilasciare licenze per il loro svolgimento qualunque sia il mezzo adoperato. Una norma della legge di pubblica sicurezza che avesse espresso quel divieto sarebbe stata inutile; ed infatti, nella tabella prevista dal primo comma del citato art. 110, i giuochi d'azzardo debbono essere semplicemente elencati senza alcun riferimento ad un divieto.

Si, aggiunga che, là dove il testo unico predetto ha ritenuto che dovesse distinguersi giuoco da giuoco, ha deferito i poteri necessari all'autorità amministrativa; come é nel caso di giuochi che, pur non essendo d'azzardo, l'autorità ritenga di proibire nel pubblico interesse (art. 110, primo comma, già menzionato).

2. - Il divieto posto dalle norme richiamate dal Pretore di Rovato, come afferma la relazione ministeriale al T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, é frutto della esperienza compiuta nel tempo anteriore; quando cioé era consentito dar licenza per l'uso di apparecchi che lasciavano largo margine all'abilità del giocatore. Questa esperienza, secondo la relazione predetta, aveva dimostrato che, in pratica, gli apparecchi o escludevano l'influenza del giocatore o non davano preponderante rilevanza a tale abilità, onde il giuoco era sempre del tutto aleatorio; l'uso di quegli apparecchi era stato poi fonte di inconvenienti di qualche importanza anche nei riguardi dell'ordine pubblico, e la relazione, in tal modo, faceva chiara allusione ad alcune forme di delinquenza che avevano accompagnato la diffusione del nuovo mezzo di giuoco, sia pure in altri Stati, provocando un particolare allarme sociale, e si riferiva, non meno chiaramente, alla morbosa spinta al vizio e all'ozio che quegli apparecchi erano suscettibili di determinare. Si aggiunga che l'uso di essi aveva fatto sviluppare le scommesse, vale a dire un'attività espressamente inibita nelle sale da biliardo o da giuoco (secondo comma del citato art. 110).

Il divieto del quale si discute ha radici quindi in esigenze sociali: non favorire il giuoco puramente aleatorio, anche se non d'azzardo nel senso accolto dal Codice penale; prevenire reati; tutelare le libertà cui accenna l'art. 41 della Costituzione, messe in pericolo dal diffondersi di quei reati; impedire che la dignità umana ricevesse offesa dallo sterile impiego dell'autonomia individuale. Un'attività economica come quella di produzione, di commercio o di noleggio degli apparecchi di cui si tratta, può peraltro ricevere tutela dalla legge soltanto se l'utilizzazione di questi non favorisce tendenze antisociali; e la legge, ritenendo che inclinazioni del genere sarebbero state agevolate dall'uso di quegli apparecchi nei locali pubblici o aperti al pubblico, ha operato con criteri razionali, perché ha imposto il divieto dopo aver giudicato negativa l'esperienza del sistema anteriore, fondato sulla licenza.

Non si può asserire, pertanto, che le norme denunziate oltrepassino il limite che l'art. 41 della Costituzione consente di porre all'iniziativa privata; si può anzi affermare che esse tendono ad impedire che l'iniziativa stessa si svolga in contrasto con quella utilità sociale a cui l'articolo predetto rimanda. É la moralità pubblica che si é intesa salvaguardare con le norme denunziate; é il potere di prevenire i reati che si é inteso con queste esercitare.

Le norme predette limitano, non proibiscono, la produzione, il commercio o il noleggio degli apparecchi considerati, perché il divieto, come bene osserva l'Avvocatura dello Stato, non riguarda i locali privati né quelli non aperti al pubblico; onde in esse si può riscontrare il fine di un coordinamento della libertà economica con le esigenze sociali, non quello della soppressione di quella libertà.

3. - Le considerazioni esposte non possono però in tutto applicarsi agli apparecchi o congegni da trattenimento, che le disposizioni denunziate comprendono nel divieto.

Rispondono alle premesse della proibizione solo quegli apparecchi o quei congegni che subordinano lo svago alla loro utilizzazione come mezzo di giuoco o di scommesse; non gli altri che offrono soltanto svago o divertimento, e cioé che in nessun caso possono stimolare attività riprovevoli.

Nel D.P.R. 1 marzo 1961, n. 121, che approva il T.U. delle leggi sulle concessioni governative, al n. 76, par. IV, della tabella allegata, si prevede una tassa di licenza per tenere e fare funzionare elettrogrammofoni a gettone in alberghi, pensioni ed esercizi pubblici. Ma tale previsione, se pure non si fosse informata a finalità esclusivamente fiscali, non eliminerebbe il divieto per quegli altri diversi meccanismi che danno una onesta ricreazione non collegata a giuochi o scommesse.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute negli ultimi tre commi dell'art. 110 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, in riferimento all'art. 41 della Costituzione, nella parte in cui fanno divieto di concedere licenze per l'uso, nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, di apparecchi o di congegni automatici di puro trattenimento, senza cioé alcuna possibilità di dar luogo a giuoco o a scommesse.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

MICHELE FRAGALI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 9 luglio 1963.