SENTENZA N. 123
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 19 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1962 dal Tribunale di Trento nel procedimento civile vertente tra Cagol Rosa e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 157 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 266 del 20 ottobre 1962.
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cagol Rosa e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;
udita nell'udienza pubblica dell'8 maggio 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;
uditi gli avvocati Benedetto Bussi, per la Cagol, e Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento civile vertente tra Cagol Rosa e l'I. N. P. S., il Tribunale di Trento, con ordinanza del 12 luglio 1962, ha sollevato su istanza della difesa attrice la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, per eccesso di delega, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Avendo la Cagol Rosa convenuto in giudizio l'I.N.P.S. onde ottenere la pensione di riversibilità in seguito alla morte del figlio Cagol Mario, ai sensi dell'art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218; ed avendo l'I.N.P.S. eccepito l'applicabilità nella fattispecie dell'art. 19 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, che richiede il requisito della "vivenza a carico", la Cagol ha denunciato la illegittimità costituzionale di tale norma, siccome eccedente i limiti della delega contenuta nell'art. 37 della legge n. 218 del 1952. Ed il Tribunale di Trento, dopo avere osservato che la ripetuta norma non é di attuazione e che, come norma di coordinamento, non poteva derogare a quanto la stessa legge di delegazione aveva stabilito nell'art. 2, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, ha ordinato la trasmissione degli atti a questa Corte.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 266 del 20 ottobre 1962.
Nel presente giudizio, si sono costituiti sia la Cagol che l'Istituto nazionale della previdenza sociale.
La prima, nelle deduzioni depositate in cancelleria, ribadisce che la norma contenuta nell'art. 19 del D.P.R. n. 818 del 1957 non può, per il suo contenuto, essere compresa in alcuna delle ipotesi previste dall'art. 37 della legge delegante. Essa richiede, invero, per il conseguimento del diritto dei genitori alla pensione di riversibilità una condizione del tutto nuova, non prevista dalle norme vigenti, e cioé la "vivenza a carico".
Secondo l'I.N.P.S., invece, il legislatore delegato - posto di fronte alla necessità di integrare la disciplina del diritto dei genitori alla pensione di riversibilità - avrebbe introdotto il riferimento alla "vivenza a carico" per giungere ad una più armonica e coerente qualificazione della condizione del genitore superstite. Infatti, l'estensione della tutela previdenziale ai familiari superstiti troverebbe la sua causa nel danno che deriva alla famiglia del lavoratore dalla estinzione della capacità di guadagno del capo famiglia, il quale costituiva il materiale sostegno del nucleo familiare. Dalla intrinseca natura dell'istituto conseguirebbe che l'indennizzo al familiare dell'assicurato sia dovuto solo quando la morte di costui costituisca una concreta ragione di danno e ponga in istato di bisogno il superstite.
La difesa della Cagol contesta che il requisito della "vivenza a carico" sia espressione di un principio generale e invoca altre disposizioni di legge che non richiedono, per la riversibilità a favore dei genitori, tale requisito. Ed aggiunge, richiamandosi ad una sentenza di questa Corte, che, se anche qualche limitazione al diritto del lavoratore si individuasse in altre leggi, essa non potrebbe, attesa la sua natura eccezionale, essere ritenuta valevole per casi non espressamente contemplati nella stessa legge.
Considerato in diritto
La questione non é fondata.
La riversibilità della pensione della previdenza sociale ai familiari superstiti, trova la sua causa e la sua ragion d'essere nella circostanza che, quando viene a mancare il lavoratore che provvedeva al sostentamento della famiglia, alcuni componenti del nucleo familiare rimangono privi dei mezzi atti a soddisfare bisogni essenziali di vita e di sostentamento, prima forniti dal lavoratore stesso. Ai superstiti, che, trovandosi in questa particolare situazione, vengono a soffrire un danno per la morte del capo famiglia, viene riconosciuto un diritto a pensione. Soltanto questi soggetti, in quanto rimangono privi di quel sostegno materiale che prima forniva il lavoratore, sono beneficiati dalla pensione, che dal lavoratore si riversa su di loro.
Il principio della "vivenza a carico" é pertanto fondamentale, insito nello stesso concetto di pensione di riversibilità della previdenza sociale e costituisce quasi un presupposto di essa, sempre necessario, anche se non richiamato direttamente dalla singola disposizione di legge. A questo principio obbedisce - in sostanza - anche l'art. 13, sub 2, della legge 4 aprile 1952, n. 218, che lo tiene presente e lo applica di fatto nel regolare le varie ipotesi di pensione indiretta. Invero, questo articolo esclude dal diritto alla pensione i familiari che non siano a carico del lavoratore, come i figli minori degli anni 18 che esercitano attività lavorativa ed hanno quindi un mezzo autonomo di guadagno; ed include invece i figli anche maggiorenni, viventi a carico, quando siano riconosciuti invalidi al lavoro. E, per quanto riguarda il coniuge superstite, concede la pensione alla moglie, al cui mantenimento é sempre obbligato il capo famiglia; ma, quando superstite sia il marito, la pensione di riversibilità viene a costui concessa soltanto qualora sia riconosciuto invalido al lavoro, ai sensi dell'art. 10 del R.D. L. 14 aprile 1939, n. 636.
Se dunque il legislatore concede la pensione di riversibilità al coniuge ed ai figli, in quanto risultino a carico del lavoratore, e se la "vivenza a carico" costituisce regola fondamentale, alla stessa regola non può farsi eccezione per i genitori superstiti. É esatto che lo stesso art. 13 richiede espressamente per i figli il requisito della "vivenza a carico", mentre nulla dice per i genitori superstiti; ma questa differente formulazione del testo di legge non contrasta con le conclusioni cui giunge questa Corte, trovando logica spiegazione nella necessità di fare distinzione fra figli in diversa posizione di fatto e giuridica, necessità che non sussiste per i genitori superstiti.
Non sembra, pertanto, possa sostenersi che siano stati superati i limiti della delegazione di potestà legislativa conferita dall'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, quando, con la impugnata norma dell'art. 19, si é sancito che hanno diritto alla pensione di riversibilità i genitori superstiti, purché alla morte dell'assicurato o del pensionato essi risultino a di lui carico. Ed invece, la norma delegata non introduce alcuna innovazione nella disciplina preesistente, ma si attiene soltanto ad un concetto fondamentale, cui é informata la legge 4 aprile 1952 in merito alle pensioni di riversibilità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, proposta dal Tribunale di Trento con ordinanza del 12 luglio 1962 in relazione all'articolo 13 del R.D. L. 14 aprile 1939, n. 636, sub art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, ed all'art. 37 della stessa legge, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
GIUSEPPE VERZÌ, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 9 luglio 1963.