Sentenza n. 93 del 1963
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SENTENZA N. 93

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 2 luglio 1952, n. 703, promosso con ordinanza emessa il 14 giugno 1962 dal Tribunale di Sondrio nel procedimento civile vertente tra la S. p. a. Canturina di Cantù, il Comune di Valdisotto e l'Istituto nazionale gestione imposte di consumo, iscritta al n. 144 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 252 del 6 ottobre 1962.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione in giudizio della S. p. a. Canturina di Cantù;

udita nell'udienza pubblica del 24 aprile 1963 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi l'avv. Enrico Allorio, per la S.p.a. Canturina, e il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 14 giugno 1962 nella causa civile tra la S. p. a. Canturina di Cantù, il Comune di Valdisotto e l'I.N.G.I.C., il Tribunale di Sondrio ritenne rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 23 della Costituzione, adombrata dalla difesa della Società Canturina, nei confronti dell'art. 6 della legge 2 luglio 1952, n. 703, istitutivo di uno "speciale diritto" sulle acque minerali a favore dei Comuni nei quali essa viene "asportata" dalla sorgente. Ciò a causa della carenza di una norma "che preveda i modi e gli strumenti per l'accertamento dei valori e per l'esazione".

Il Tribunale argomenta dal fatto che lo "speciale diritto" in questione, data la sua natura di imposta sulla produzione, non sarebbe da assimilare alle imposte di consumo, e, data la "specialità" di queste, non potrebbe essere assoggettato, neanche per analogia, alla disciplina di esse. Né ad alcun altro titolo potrebbe ricadere sotto la disciplina dell'art. 11 della legge del 1952, modificativo dell'art. 22 del T.U. per la finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175, dato che questo riflette anch'esso le sole imposte di consumo.

In conseguenza, siccome l'art. 6 della legge del 1952 si limita a stabilire la misura massima dell'aliquota del tributo (fissata nel 3 per cento del valore dell'acqua al momento dell'"asportazione"), mancherebbe nella legislazione, in relazione al "diritto speciale" di cui trattasi, ogni specificazione circa "gli strumenti ed i criteri relativi all'accertamento del valore dell'acqua, alla determinazione concreta dell'imponibile e dell'aliquota, ai modi di riscossione, e, da ultimo, ai necessari mezzi di controllo e di garanzia del contribuente". Onde la non manifesta infondatezza della questione relativa all'incompatibilità del citato art. 6 con l'art. 23 della Costituzione.

L'ordinanza é stata notificata alle parti in causa il 18 luglio 1962, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 24 luglio 1962, mentre ne é stata data comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 19 dello stesso mese. Essa é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 6 ottobre 1962, n. 252.

Innanzi a questa Corte si é costituito, a mezzo dell'Avvocato generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto d'intervento depositato il 13 agosto 1962. Si é inoltre costituita la Società Canturina, a mezzo degli avvocati Enrico Allorio e Italo Bolognini, depositando mandato e deduzioni il 26 ottobre 1962.

La Società Canturina fa proprie e illustra le argomentazioni dell'ordinanza del Tribunale di Sondrio, soffermandosi in particolare a confutare le tesi contenute in due decisioni del Consiglio di Stato le quali hanno ritenuto estensibile, per analogia, al "diritto speciale" de quo, la disciplina delle imposte di consumo.

L'Avvocatura dello Stato nell'atto di intervento osserva invece che lo "speciale diritto" previsto dal secondo comma dell'art. 6 impugnato in questa sede altro non sarebbe che un "residuo" dei "diritti" sui generi di larga produzione locale, che, in base all'art. 10 del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 177, i Comuni potevano essere autorizzati a imporre, e che furono soppressi appunto dal primo comma del ricordato art. 6: si tratterebbe cioé di un'imposta comunale ad valorem, da comprendere "nel novero delle imposte di consumo": al riguardo l'Avvocatura fa richiamo anche ai "diritti accessori" previsti dall'art. 100 e agli speciali "diritti" previsti dall'art. 25 del T.U. per la finanza locale, pur essi assimilabili alle imposte di consumo.

Osserva inoltre che non contrasta con la natura di imposta di consumo il fatto che nel caso in esame l'imposizione non faccia immediato riferimento alla vera e propria fase del consumo, dovendosi anche l'"asportazione" considerare come "un momento in cui comincia ad apparire la possibilità del consumo".

Del resto finora la prassi e la giurisprudenza hanno sempre applicato al tributo di cui trattasi la disciplina di imposizione, accertamento, riscossione e contenzioso, propria delle imposte di consumo.

Con particolare riferimento al valore imponibile, l'Avvocatura osserva che esso va "collegato alla funzione commerciale del bene", e va determinato al momento in cui si verifica l'asportazione dell'acqua, "in proporzione della funzione di destinazione al consumo, che il bene ha in quella fase", partendo sempre dal "prezzo del mercato", attraverso "una serie di operazioni di depurazione dei costi attinenti alle varie operazioni cui le acque sono sottoposte".

Ove dovesse negarsi al tributo in esame la natura di imposta di consumo, nondimeno, trattandosi di un tributo comunale ad valorem, esso sarebbe pur sempre soggetto alla disciplina generale dei tributi comunali dello stesso genere, e quindi a quella delle imposte di consumo, nulla impedendo in proposito - come ha ritenuto il Consiglio di Stato - l'analogia, universalmente ammessa anche in materia tributaria: del resto, qui, più che di analogia, si tratterebbe di una mera interpretazione estensiva dei precetti della materia, giacché l'art. 11 della legge del 1952, modificativo dell'art. 22 del T.U. per la finanza locale, dovrebbe considerarsi operante non per le sole imposte di consumo (come ha ritenuto l'ordinanza di rimessione), ma per tutti i tributi comunali ad valorem (come ha ritenuto il Consiglio di Stato).

Aggiunge poi l'Avvocatura che, persino se si dovesse escludere l'applicabilità della disciplina delle imposte di consumo, non potrebbe negarsi la sussistenza per il tributo de quo, in base al l'ordinamento, di una disciplina compiuta e dettagliata. Infatti: dall'art. 6 della legge del 1952 risulta quale sia il soggetto attivo e quale quello passivo dell'imposizione; l'istituzione e la regolamentazione del tributo sarebbero, in base alla legislazione comunale e provinciale, di competenza del Consiglio comunale, e soggette all'approvazione della Giunta provinciale amministrativa e al controllo del Ministero delle finanze; l'accertamento dell'imponibile potrebbe esser disciplinato dai regolamenti comunali; la riscossione e il contenzioso del tributo ricadrebbero sotto la disciplina prevista per la generalità dei tributi comunali dal T.U. per la finanza locale. Né la discrezionalità del potere comunale nella determinazione delle aliquote entro il margine del 3 per cento del valore imponibile contrasterebbe in alcun modo col precetto dell'art. 23 della Costituzione.

L'Avvocatura conclude, quindi, perché la questione sollevata dal Tribunale di Sondrio sia dichiarata infondata.

La difesa della Società Canturina, in una memoria depositata l'11 aprile 1963, replica, con riferimento all'ultimo profilo della prospettazione dell'Avvocatura dello Stato: a) che se l'art. 6 della legge del 1952 indica nel Comune dove trovasi la sorgente l'ente beneficiario dell'imposta, non precisa tuttavia quale sia l'ente impositore del tributo; b) che sarebbe fuori luogo un'assimilazione del "diritto speciale" istituito dall'art. 6 citato ai "diritti" sui generi di larga produzione locale soppressi con la medesima disposizione, dato che per questi ultimi i Comuni dovevano essere autorizzati di volta in volta mediante un apposito provvedimento ministeriale, nel quale si stabilivano anche "le norme per l'applicazione del diritto"; c) che dall'art. 6 non risulterebbe chiaro se il momento al quale l'imposizione dovrebbe riferirsi sia quello dell'asportazione dell'acqua dalla sorgente o quello dell'asportazione di essa dal Comune dove si trova la sorgente, e, in quest'ultimo caso, quale sia il soggetto passivo del tributo (chi attinge l'acqua, chi la trasforma, chi la esporta, ecc.); d) che le norme sulle deliberazioni comunali non sarebbero applicabili al procedimento impositivo in questione; e) che mancherebbe ogni criterio di delimitazione del potere discrezionale del Comune in ordine alla fissazione dell'aliquota di imposizione; f) che mancherebbe ogni indicazione dei criteri cui il Comune dovrebbe attenersi per la determinazione del valore dell'acqua alla sorgente, nonché degli organi abilitati a fissarlo; g) che le norme del T.U. per la finanza locale sulla riscossione e sul contenzioso richiamate dall'Avvocatura dello Stato riguarderebbero le sole imposte di consumo, e non potrebbero essere estese al tributo de quo.

Sottolinea inoltre la difesa della Canturina, con riferimento ai rimanenti profili della difesa statale: h) che l'assimilazione del "diritto speciale" de quo ai diritti sui generi di larga produzione locale previsti dal decreto legislativo n. 177 del 1947 importerebbe essa stessa l'esclusione dell'applicabilità al "diritto speciale" della disciplina relativa alle imposte di consumo, giacché per i diritti di cui all'art. 10 del decreto del 1947 era prevista una disciplina particolare, da dettare di volta in volta mediante provvedimento ministeriale; i) che l'esclusione della natura di imposta di consumo del "diritto speciale "sulle acque minerali risulta altresì dal fatto che queste ultime sono colpite anche dall'imposta di consumo, la quale, per sua regola, é un'imposta che colpisce una volta sola; l) che nessun punto di contatto esiste tra il "diritto speciale" stesso e i "diritti speciali" previsti dall'art. 25 del T.U. per la finanza locale "in corrispettivo di particolari prestazioni o servizi resi dall'Amministrazione" a richiesta dei contribuenti tenuti all'imposta di consumo; m) che non esiste una categoria giuridica di "imposte ad valorem", come pretenderebbe l'Avvocatura dello Stato: l'art. 11 della legge n. 703 del 1952, che ha sostituito l'art. 22 del T.U. per la finanza locale, riguarda le imposte di consumo ed esse soltanto; n) che appunto perciò non può parlarsi di una interpretazione estensiva di tale articolo quando si pretenda di applicarne la disciplina al "diritto speciale" de quo; o) che la riserva di legge formulata nell'art. 23 della Costituzione esclude che per la disciplina di un tributo non formulata espressamente in alcuna legge possa farsi ricorso all'applicazione, per analogia, di norme dettate per altri tributi: l'integrazione analogica di norme tributarie é possibile "per la disciplina dei particolari aspetti del tributo", solo se e in quanto "la legge che disciplina espressamente il tributo contenga tutti gli elementi idonei a soddisfare le condizioni imposte dall'art. 23, e cioé indichi quanto meno i criteri sufficienti a delimitare il potere di imposizione", p) che, in ogni caso, nella specie mancano i presupposti dell'analogia, non sussistendo" identità di ratio, somiglianza di struttura e funzione, tra le imposte di consumo da un lato e il "diritto" de quo dall'altro": diversa é infatti la manifestazione di capacità contributiva colpita nell'un caso e nell'altro; diversi sono gli elementi di commisurazione del tributo (a proposito di ciò si fa anzi notare che il criterio di valutazione indicato dall'art. 22 del T.U. per la finanza locale - media dei prezzi di mercato negli ultimi dodici mesi - sarebbe del tutto inapplicabile al "diritto speciale" de quo, la cui entità é rapportata a un valore non corrispondente a un prezzo di mercato, e pel cui accertamento la Commissione provinciale prevista dal citato articolo non appare, per giunta, attrezzata).

Infine, la difesa della Canturina prospetta l'inesistenza, nella specie, nei soggetti colpiti dal tributo, di una "capacità contributiva", ai sensi dell'art. 53 della Costituzione, atta a legittimare il tributo stesso, non potendosi quel "particolare rapporto tra il contribuente e l'ente pubblico impositore" ("per cui tutti coloro che si trovano in una determinata posizione nei confronti dell'ente impositore sono titolari di una medesima capacità contributiva") "identificare nel fatto, materiale ed occasionale, che nel territorio comunale si trova la sorgente (di proprietà non comunale, ma statale) oggetto di sfruttamento", né potendosi identificare" nella circostanza che nel Comune opera l'impresa che attua lo sfruttamento della sorgente".

La Società conclude chiedendo che venga dichiarata la illegittimità costituzionale dell'articolo impugnato.

 

Considerato in diritto

 

Lo "speciale diritto" istituito dal secondo comma dell'art. 6 della legge 2 luglio 1952, n. 703, in favore dei Comuni nei quali ha luogo l'"asportazione" dalla sorgente delle acque minerali o naturali destinate a essere utilizzate come acqua da tavola, é un'imposta che colpisce il fatto della produzione, e - diversamente da quanto assume l'Avvocatura dello Stato - non ha che vedere né coi "diritti accessori" (di statistica, di assistenza ad operazioni eseguite a domicilio, di magazzinaggio) previsti dall'art. 100 del T.U. sulla finanza locale, né con i "diritti speciali" previsti dall'art. 25 del medesimo T.U., "in corrispettivo di particolari prestazioni o servizi resi dall'Amministrazione a richiesta dei contribuenti".

Dalla legge risulta con sufficiente chiarezza che l'ente impositore é il Comune "dove trovasi la sorgente" (lo si ricava sia dalla sede della disposizione, sia dall'individuazione nel Comune dell'ente beneficiario del tributo), e che il soggetto passivo dell'imposta é quello che "asporta" l'acqua, o per conto del quale l'"asportazione" ha luogo. A ogni modo, siccome al riguardo la legge non conferisce alcun potere discrezionale all'autorità amministrativa, i dubbi (adombrati dalla difesa della parte privata), che possano eventualmente sorgere in ordine al soggetto attivo e a quello passivo dell'imposizione, attengono all'interpretazione della legge e non involgono un problema di legittimità costituzionale in relazione all'art. 23 della Costituzione.

Del resto, i profili della disposizione impugnata, che hanno alimentato i dubbi di legittimità costituzionale per i quali il Tribunale di Sondrio ha rimesso a questa Corte la questione deferitale, sono altri, e sono stati così individuati nell'ordinanza di rimessione: "1) non é indicato in base a quali criteri e da quali organi sia da stabilire in concreto l'aliquota del tributo entro il limite massimo fissato dalla legge; 2) non é dettato alcun criterio né indicati gli organi competenti per l'accertamento in concreto del valore dell'acqua all'atto dell'asportazione; 3) non sono indicati i rimedi e gli organi competenti a decidere sulle contestazioni relative all'aliquota del tributo, alla determinazione del valore dell'acqua ed ai quantitativi di acqua estratta".

La Corte ritiene peraltro che tali profili non abbiano fondamento. É vero che la legge impugnata non contiene disposizioni in ordine ad essi. Ciò non significa però che, per i profili stessi, il tributo in esame non trovi altrove, nell'ordinamento, la propria disciplina.

Tra le parti in causa si é molto discusso se il tributo previsto dalla disposizione impugnata possa farsi rientrare tra le imposte di consumo, e se, anche a prescindere da ciò, possa esser considerato comunque soggetto alla disciplina propria delle imposte di consumo, finora applicatagli, col consenso della giurisprudenza.

La Corte non ritiene però che la soluzione di tali delicati quesiti sia decisiva ai fini della presente controversia.

La tesi che risolve in senso positivo il dubbio circa l'assimilazione della disciplina del tributo in esame a quella delle imposte di consumo (capo III del titolo III del T.U. per la finanza locale) potrebbe esser giustificata col rilievo che nell'ordinamento dei tributi locali sogliono esser sottoposti a quest'ultima disciplina quelli destinati a colpire (per lo più ad valorem) fatti che si verificano una tantum, e l'imposizione dei quali non potrebbe aver luogo mediante tributi destinati a esser riscossi mediante ruoli. A sua volta il rilievo (condiviso da autorevole giurisprudenza) che la disciplina del capo XIX del titolo III del T.U. per la finanza locale, intitolato "accertamento e contenzioso dei tributi locali", dovrebbe esser considerata di portata generale - e perciò destinata a operare in relazione a tutti i tributi locali per i quali manchi una normazione particolare -, potrebbe essere invocato in favore della tesi, secondo la quale il tributo in esame ricadrebbe sotto la disciplina di tale capo. Infine, qualora, esclusa l'applicabilità della normazione sulle imposte di consumo, si ritenesse che, a sua volta, la disciplina del ricordato capo XIX del titolo III del T.U. per la finanza locale riguardi le sole imposte che si riscuotono mediante ruoli, potrebbe esser condivisa la tesi (prospettata in via subordinata dall'Avvocaura dello Stato), secondo la quale, mancando ogni altra disciplina, per le competenze e i provvedimenti relativi al tributo de quo dovrebbero applicarsi le disposizioni generali della legislazione comunale relative alla ripartizione delle competenze tra gli organi del Comune e ai relativi provvedimenti. Qualsiasi delle tre anzidette soluzioni voglia accettarsi, non può ritenersi però, e anzi deve escludersi, che nel vigente ordinamento manchi per il tributo de quo una compiuta disciplina legislativa.

Al quale riguardo é da aggiungere al già detto, con specifico riferimento - per ciò che attiene al contenzioso - all'ultima delle tesi prospettate, che la mancanza di disposizioni particolari, e la inapplicabilità della disciplina relativa ad altri tributi, non farebbe venir meno comunque, in ordine al tributo de quo, la garanzia della tutela giurisdizionale assicurata dall'art. 113 della Costituzione.

É pure il caso di sottolineare - dato che questo punto ha formato oggetto di particolare dibattito tra le parti - l'infondatezza dell'assunto della mancanza di criteri in ordine all'accertamento in concreto del valore dell'acqua all'atto della esportazione. É chiaro che la determinazione della entità del valore deve essere il risultato di una analisi tecnica. Onde di nessuna discrezionalità dispone al riguardo l'autorità amministrativa.

L'unico aspetto sotto il quale il potere di imposizione previsto dalla disposizione impugnata si presenta come discrezionale rimane dunque quello riguardante la determinazione dell'aliquota del tributo, della quale la disposizione stessa si limita a fissare nel 3 per cento, rispetto al valore dell'acqua al momento dell'asportazione, il limite massimo, senza indicare alcun criterio in ordine alla scelta di un'aliquota piuttosto che di un'altra. Ritiene però la Corte che, quando l'aliquota di un tributo sia contenuta in sì tenui limiti, l'attribuzione di un potere di scelta all'ente impositore, da esercitare evidentemente nel quadro di una equilibrata visione unitaria delle proprie esigenze amministrative e delle proprie possibilità finanziarie, non rechi ferita al precetto dell'art. 23 della Costituzione, dovendo, in casi siffatti, il principio, che esige una sufficiente specificazione legislativa dei poteri d'imposizione tributaria conferiti all'autorità amministrativa, considerarsi soddisfatto appunto attraverso la fissazione, nella legge, di un limite massimo di tenore non elevato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara infondata la questione, sollevata dall'ordinanza indicata in epigrafe , riguardante la legittimità dell'art. 6 della legge 2 luglio 1952, n. 703, in riferimento all'art. 23 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

ALDO SANDULLI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 18 giugno 1963.