Sentenza n. 90 del 1963

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SENTENZA N. 90

ANNO 1963

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 170 del Codice proc. penale, promosso con ordinanza emessa il 31 ottobre 1961 dal Pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Dallerini Anna Maria, iscritta al n. 23 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 del 10 marzo 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 6 marzo 1963 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

Con decreto del Pretore di Bologna del 24 agosto 1961 Anna Ballerini fu condannata alla multa di lire 15.000; e la notificazione del provvedimento fu eseguita secondo le norme stabilite dall'art. 170 del Codice di procedura penale, trattandosi di imputata irreperibile.

Il Pretore, escludendo la possibilità di una revoca del decreto stesso, stante l'avvenuta notificazione, in accoglimento dell'eccezione dedotta dal difensore di ufficio, sollevava la questione di legittimità costituzionale della disposizione predetta, per contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, poiché ha ritenuto la questione stessa non manifestamente infondata e rilevante per la definizione del processo.

Secondo il Pretore, la forma di notificazione prevista dall'articolo 170 terrebbe luogo ad ogni effetto, nel caso di irreperibilità dell'imputato, di quella disciplinata dall'art. 169; ma non consente al difensore di ufficio di sostituirsi all'imputato in quegli atti che questo deve compiere "personalmente o a mezzo di procuratore speciale", tra i quali é compreso appunto l'atto di opposizione al decreto penale (art. 509, primo comma, del Codice). Secondo il Pretore ne deriverebbe che, con l'applicazione al procedimento monitorio dell'art. 170, si verrebbe a sottrarre all'imputato la possibilità di proporre l'opposizione e ne risulterebbe violato il diritto di difesa garantito dal ricordato precetto costituzionale.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bologna e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati ed é stata altresì pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 del 10 marzo 1962.

É intervenuto in questa sede il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura, nelle deduzioni depositate il 2 dicembre 1961, esprime anzitutto il dubbio che la questione di legittimità più che l'art. 170, riguarderebbe l'art. 509, rilevando, al riguardo, che se mai la menomazione del diritto di difesa deriverebbe non tanto dall'applicazione delle disposizioni di carattere generale contenute nel primo articolo, quanto dalla limitazione della facoltà del difensore stabilita nel secondo. Osserva peraltro che tale limitazione deriverebbe dalle modalità dell'esercizio del diritto di difesa stabilite dall'ordinamento processuale, di guisa che i diritti dell'imputato non ne risulterebbero pregiudicati.

A sostegno poi della non fondatezza della questione relativamente all'art. 170, osserva che sarebbe addebitabile all'imputato l'essersi volontariamente posto nella situazione di irreperibilità, essendo improbabile che, prima dell'emanazione del decreto, non fosse consapevole del suo comportamento illecito; situazione alla quale si ricollegherebbero le lamentate limitazioni del diritto di difesa, posto che l'ordinamento processuale, in tale ipotesi, non avrebbe l'obbligo di una più efficace tutela dei diritti dell'interessato.

Conclude, quindi, perché si dichiari non fondata la questione di costituzionalità.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - In relazione al rilievo preliminare dell'Avvocatura dello Stato, si osserva che la questione di costituzionalità, prospettata nell'ordinanza, riguarda esclusivamente l'art. 170 del Codice processuale penale. Secondo il Pretore, la menomazione del diritto di difesa, e quindi il contrasto con il precetto costituzionale (art. 24, secondo comma), deriverebbe dal fatto che, dovendosi, in base a tale articolo, nel caso di irreperibilità dell'imputato, effettuare la notificazione mediante deposito nella cancelleria o segreteria giudiziaria, con avviso al difensore nominato di ufficio, non é consentito al medesimo di sostituirsi all'imputato negli atti che questi deve compiere personalmente, come l'opposizione al decreto di condanna nel caso preveduto dall'art. 509 del Codice predetto.

Non é, d'altra parte, consentito, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sindacare il giudizio di rilevanza, che, nella specie, é stato chiaramente espresso.

2. - Nel merito la questione non appare fondata.

L'art. 170 si inserisce nel sistema delle notificazioni, disciplinate da varie disposizioni del Codice di procedura penale (articoli da 166 a 170), le quali stabiliscono le modalità degli atti destinati a portare a conoscenza degli interessati i provvedimenti del giudice, per le conseguenze che, da questa conoscenza, la legge fa derivare, e, fra queste, la definitività dei provvedimenti stessi.

E vi si inserisce, al pari delle altre disposizioni sulle notificazioni, come norma di carattere generale, applicabile di regola, a tutti gli atti, affinché, nel caso di accertata irreperibilità dell'imputato, si abbia la certezza legale dell'avvenuta notificazione. É vero che l'accennata disposizione limita la facoltà del difensore nei casi indicati. Ma da ciò non deriva, come si assume, l'illegittimità costituzionale della disposizione stessa. Essa, infatti, deve essere intesa, nell'unità del sistema, in logico coordinamento con le altre disposizioni che del sistema fanno parte, come appunto quelle che disciplinano il giudizio per decreto (artt. da 506 a 510). Per il quale, data la specialità del procedimento e la opportunità della sua rapida definizione, il legislatore ha dettato norme particolari, stabilendo che l'opposizione al provvedimento di condanna (emesso dal Pretore senza procedere al dibattimento), debba essere proposta personalmente dall'interessato. Ora, appare chiaro che se, anche in questa ipotesi, il giudice, accertata la irreperibilità, procedesse al deposito del decreto nella cancelleria, ai fini e per gli effetti del citato art. 170, si verificherebbe una violazione del diritto di difesa, data la limitazione delle facoltà del difensore di ufficio, nel caso in cui l'imputato non venisse a conoscenza del provvedimento. La violazione, peraltro, resta esclusa se si coordina come é necessario l'art. 170 con l'art. 509 (la cui legittimità, secondo l'ordinanza, non viene in discussione); dovendosi ritenere, in base appunto a tale coordinamento, che la disposizione dell'art. 170 non può trovare applicazione quando l'irreperibilità é accertata in relazione al procedimento così detto monitorio. In questo caso, infatti, come ha già ritenuto la Corte di cassazione, é necessario, per la imprescindibile tutela del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, seguire la procedura ordinaria, restando perciò inoperante il decreto emesso dal Pretore, affinché il difensore, nell'ambito di tale procedura, possa avvalersi di tutte le facoltà che, di regola, la legge gli consente, compresa l'impugnazione (art. 192, secondo comma, del Codice di procedura penale).

Per le suesposte considerazioni, pertanto, l'art. 170 non può ritenersi in contrasto con il precetto costituzionale.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara non fondata , nei sensi indicati nella motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 170 del Codice di procedura penale, sollevata con ordinanza del Pretore di Bologna del 31 ottobre 1961, in riferimento all'articolo 24, secondo comma, della Costituzione.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

BIAGIO PETROCELLI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 18 giugno 1963.