SENTENZA N. 48
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 102, ultimo comma, del T.U. 16 maggio 1960, n. 570, promosso con ordinanza emessa il 12 giugno 1961 dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Maccauso Antonio, iscritta al n. 115 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 225 del 9 settembre 1961.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica dell'11 aprile 1962 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio penale d'appello celebrato davanti al Tribunale di Catanzaro contro il signor Antonio Maccauso, imputato del reato previsto e punito dall'art. 93 del T.U. delle leggi elettorali 16 maggio 1960, n. 570, fu sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 102 del medesimo T.U., che esclude l'applicabilità ai reati elettorali del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione. La medesima questione era stata sollevata nel giudizio di primo grado davanti al Pretore di Borgia, ma era stata ritenuta da questo Pretore manifestamente infondata.
Il Tribunale di Catanzaro, invece, con ordinanza 12 giugno 1961, accoglieva la richiesta dell'appellante, osservando che "la questione non é infondata in quanto i benefici che il Codice penale espressamente prevede, pur essendo rimessi al potere discrezionale del giudice, presuppongono una valutazione della personalità dell'imputato (art. 164 Cod. pen.). La sospensione condizionale della pena é ammessa allorché il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. Scopo di tale norma é quello di evitare che un incensurato che può essere ricuperato alla società e rieducato, debba essere ristretto in carcere, in un ambiente cioé non sufficientemente idoneo al ricupero e alla rieducazione".
L'ordinanza fu notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 225 del 9 settembre 1961.
2. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato, depositando le sue deduzioni il 14 luglio 1961, nelle quali ha concluso perché siano dichiarate infondate le questioni di legittimità costituzionale promosse con l'ordinanza del Tribunale di Catanzaro.
Osserva l'Avvocatura che la sospensione condizionale della pena in tanto é applicabile, in quanto sussista la condizione che il soggetto condannato non sia pericoloso, e che, nel caso, il legislatore presume la qualità di persona pericolosa in colui il quale ha commesso un reato elettorale. Considerazioni connesse con queste espone per quanto concerne il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, dopo aver sollevato l'eccezione della rilevanza della relativa questione rispetto al giudizio principale e dopo aver manifestato dei dubbi sulla ammissibilità di una pronuncia in proposito, basata sulla applicazione della norma contenuta nell'art. 27, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
3. - Nella pubblica udienza dell'11 aprile l'Avvocatura dello Stato ha insistito nelle conclusioni già prese, rimettendosi alle argomentazioni già svolte negli scritti defensionali.
Considerato in diritto
1. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito che la questione di legittimità costituzionale della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati non fosse rilevante nel giudizio a quo, sul fondamento che "la censura della mancata applicazione del beneficio" non sarebbe stata dedotta con uno specifico motivo d'impugnazione: di qui la conseguenza che il giudice di secondo grado si sarebbe trovato nella impossibilità di concedere di sua iniziativa il beneficio. L'eccezione non può essere accolta. La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha ripetutamente chiarito quali siano i limiti che incontra un esame da parte sua della fondatezza del giudizio di rilevanza che é di competenza del giudice a quo, segnatamente nei casi nei quali esso attenga all'estensione della competenza e all'esercizio dei poteri spettanti all'autorità giurisdizionale che solleva la questione di legittimità.
Pertanto la Corte deve esaminare tanto l'ora enunciata questione, quanto l'altra dell'inapplicabilità ai reati elettorali della sospensione condizionale della pena.
2. - Tutte e due le questioni non sono fondate sia nei confronti dell'art. 3, sia nei confronti dell'art. 27 della Costituzione. La Corte ha più volte enunciato che il principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 non impedisce al legislatore ordinario di regolare con norme speciali situazioni speciali, sempre che il regolamento di queste situazioni non urti contro gli espliciti divieti di quel medesimo articolo, e non sia manifestamente arbitrario o irrazionale. Ora non può davvero dirsi che negare l'applicabilità ai reati elettorali dei due benefici sopra ricordati concreti un caso nel quale la discrezionalità del legislatore si tramuti in arbitrio, essendo ovvi i motivi che possono averlo indotto a ritenere opportuno un trattamento differenziato per i reati elettorali, sia per la natura della materia alla quale essi si riferiscono, che é di fondamentale importanza in un regime democratico, sia per l'efficacia immediata che in tali casi deve essere riconosciuta alla pena e alle misure che alla pena conseguono.
3. - Non risulta con chiarezza dall'ordinanza su quale punto verta il contrasto dell'inapplicabilità ai reati elettorali dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, con l'art. 27 della Costituzione. É da ritenere, da quel che in essa si dice circa lo scopo che la sospensione si proporrebbe, che il contrasto é da porre con la norma contenuta nel terzo comma dell'art. 27, giusta il quale "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Dice, infatti, il Tribunale di Catanzaro che lo scopo della norma, che consente al giudice di sospendere condizionalmente la pena, "é quello di evitare che un incensurato che può essere recuperato alla società e rieducato, debba essere ristretto in carcere, in un ambiente non sufficientemente idoneo al recupero e alla rieducazione". Ora, ritiene la Corte che la norma dell'art. 27 testé richiamata fa riferimento ai modi di esecuzione della pena, e perciò é arbitrariamente richiamata nel caso presente, nel quale si discute viceversa di una pena, la cui esecuzione é sospesa. Ma, anche se si volesse accogliere l'interpretazione estensiva che l'ordinanza sostiene di quella norma costituzionale, non si potrebbe pervenire alla dichiarazione di illegittimità dell'ultimo comma dell'art. 102 del T. U. delle leggi elettorali. É infatti, il fondamento e i caratteri dell'istituto della sospensione della pena non possono essere riportati soltanto alla finalità della rieducazione del colpevole. Si deve tener conto, nella sua valutazione, non soltanto dei criteri fissati dall'art. 164 del Cod. pen. (previsione del giudice che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati), ma anche del limite segnato dall'articolo 163, in base al quale la sospensione é ammissibile soltanto se la pena detentiva irrogata, o che il colpevole dovrebbe scontare a seguito di conversione, non superi la durata di un anno. Con che il legislatore ha mostrato di ispirarsi, nel regolare la concessione del beneficio, anche al criterio della gravità del reato. E se, in via generale, i limiti sono ricondotti dall'art. 163 del Cod. pen. al criterio quantitativo della pena, nulla vieta al legislatore di escludere l'applicabilità del beneficio anche con riferimento alla qualità dei reati, quando questi, cioè, siano di tale natura da richiedere che la pena irrogata esplichi senza limitazioni la sua propria funzione intimidativa e reintegrativa del diritto. Sempre che, così operando, come appunto accade nel caso in esame, non siano violati precetti o principi garantiti dalla Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinge l'eccezione sollevata dall'Avvocatura dello Stato;
dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza 12 giugno 1961 dal Tribunale di Catanzaro, sulla legittimità costituzionale dell'art. 102 del T.U. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, approvato con D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 maggio 1962.
Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 7 giugno 1962.