Sentenza n. 39 del 1961
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SENTENZA N. 39

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 674, n. 1, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza 10 marzo 1960 della Corte d'appello di Napoli nel procedimento di riconoscimento di sentenza penale straniera emessa nei confronti di Iavarone Rocco, iscritta al n. 45 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 7 maggio 1960.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 10 maggio 1961 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

Con sentenza del 21 maggio 1957, il Tribunale distrettuale di Zurigo condannava il cittadino italiano Iavarone Rocco, per il reato di truffa, a mesi due di carcere e al bando dal Paese per la durata di anni cinque. La Procura generale presso la Corte d'appello di Napoli, il 4 marzo 1958, richiese il riconoscimento della suddetta sentenza. La 1 Sezione della Corte, con sua decisione del 7 giugno 1958, negava il riconoscimento, per difetto di una delle condizioni stabilite dall'art. 674, n. 1, Cod. proc. pen., e precisamente per non essere stato l'imputato nel dibattimento assistito da un difensore, non prevedendo la legge processuale svizzera la difesa di ufficio (nota del Presidente del Tribunale di Zurigo in data 24 gennaio 1958). Il Procuratore generale presso la Corte d'appello propose ricorso per cassazione, sostenendo che la sentenza straniera avrebbe dovuto essere riconosciuta, in quanto una delle condizioni richieste dall'art. 674, n. 1, Cod. proc. pen. (presenza dell'imputato al dibattimento) risultava osservata, il che bastava, dovendosi l'osservanza di quelle condizioni ritenere disposta dalla legge in via alternativa. Con sentenza del 22 gennaio 1959, la Corte di cassazione, in base ai motivi addotti dal Procuratore generale ricorrente, accoglieva il ricorso, rinviando per nuovo esame ad altra Sezione della stessa Corte di appello di Napoli.

Davanti alla 2 Sezione penale di quella Corte, all'udienza del 14 gennaio 1960, il difensore dello Iavarone sollevò eccezione di illegittimità costituzionale della norma dell'art. 674, n. 1, Cod. proc. pen., "in relazione agli artt. 31 delle pre - leggi e 24 della Costituzione". La Corte, con ordinanza del 10 marzo 1960, ritenuta la eccezione non manifestamente infondata, rimise gli atti alla Corte costituzionale sostenendo che "il riconoscimento della sentenza penale straniera sarebbe contrario ai principi del nostro sistema legislativo". E ciò perché, a norma dell'art. 24, primo capoverso, della Costituzione, la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sempre secondo la predetta ordinanza, "il ripetuto art. 674, n. 1, Cod. proc. pen. appare in contrasto e con la Costituzione e con l'attuale concezione giuridica e sociologica del diritto di difesa, questa intesa anche nel senso tecnico, concezione che ha portato alla formulazione, dopo un periodo politico - sociale particolare, della norma di cui all'art. 185, n. 3 e ultimo capoverso, Cod. proc. penale".

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 7 maggio 1960, n. 112. Il 15 aprile 1960 si costituiva in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto di intervento e deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale la questione sarebbe infondata per i seguenti motivi:

a) il principio affermato nell'art. 24 della Costituzione investe l'esercizio della giurisdizione del territorio dello Stato per il quale la Carta costituzionale é imperativa;

b) il diritto di difesa deve essere inteso come potestà effettiva dell'assistenza tecnica e professionale nello svolgimento del processo. Le modalità di esercizio non sono tali da ledere o menomare l'esistenza del diritto allorché di esso siano assicurati lo scopo e la funzione. La mancanza dell'assistenza del difensore, verificatasi nel caso in esame per difetto nell'ordinamento svizzero dell'istituto della difesa di ufficio, non vale ad escludere o menomare l'esercizio del diritto di difesa se l'imputato ha presenziato al dibattimento;

c) anche l'ordinamento processuale italiano riconosce la possibilità che talvolta l'imputato non sia assistito dal difensore, come in taluni giudizi per contravvenzioni (art. 125 Cod. proc. pen.), e, pertanto, il diritto di difesa deve intendersi assicurato se sia riservato alla determinazione della parte lo stare in giudizio con l'assistenza del difensore;

d) presupposto del riconoscimento della sentenza penale straniera é la sussistenza di un trattato di estradizione fra lo Stato italiano e quello straniero, il che lascia ragionevolmente supporre che sia stato attentamente valutato il grado di civiltà del Paese con il quale il trattato é stipulato e con esso l'osservanza delle regole fondamentali della civiltà, fra le quali va compreso il diritto di difesa.  

Considerato in diritto 

I termini della questione, non direttamente formulati nel dispositivo dell'ordinanza, devono dedursi dall'integrale contesto di essa, e principalmente dalla esposizione dei vari atti del giudizio di riconoscimento della sentenza del Tribunale di Zurigo. Respinta, con la decisione del 7 giugno 1958 della prima Sezione della Corte di appello di Napoli, la richiesta di riconoscimento della sentenza, in quanto il condannato non era stato assistito dal difensore, per difetto nell'ordinamento processuale svizzero dell'istituto della difesa di ufficio; e accolto poi, contro siffatta decisione, il ricorso del Procuratore generale della Corte di appello di Napoli, in base al criterio che per potersi procedere al riconoscimento sarebbe sufficiente il verificarsi, in senso positivo, di una sola delle condizioni indicate dall'art. 674, n. 1, Cod. proc. pen. (citazione a comparire in giudizio, ovvero assistenza o rappresentanza da parte di un difensore), la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla difesa davanti alla Corte d'appello di Napoli in sede di rinvio, risulta stabilita nel senso che l'art. 674, in quel modo interpretato, sarebbe costituzionalmente illegittimo, in quanto renderebbe possibile il riconoscimento di una sentenza straniera anche se emessa a conclusione di un procedimento nel quale fosse mancata l'assistenza del difensore.

Questa Corte é però d'avviso che della norma impugnata possa darsi con sicurezza una interpretazione che esclude ogni fondamento alla sollevata questione.

Risulta chiaro dall'art. 674, n. 1, ed é ammesso concordemente, che per la soluzione negativa, cioè perché valga il divieto di riconoscimento della sentenza straniera, basti il verificarsi di una sola delle condizioni prescritte, cioè che faccia difetto o la citazione in giudizio ovvero l'assistenza o rappresentanza da parte di un difensore. Non possono, invero, esservi dubbi sulla indicazione nettamente alternativa che, a tal fine, dall'art. 674, n. 1, si fa delle condizioni stesse, col prescrivere che la Corte di appello non può dare riconoscimento alla sentenza straniera "se il condannato non é stato citato a comparire in giudizio o non é stato assistito o rappresentato da un difensore".

Se ciò é vero, non può esser vero quanto, anche nel giudizio che ha dato luogo alla presente controversia, é stato sostenuto per il caso opposto. Non é, cioè, sostenibile che per potersi dalla Corte d'appello, non già negare, ma concedere il riconoscimento, sia del pari sufficiente il verificarsi, in senso positivo, anche di una sola delle condizioni stesse, vale a dire che basti la citazione a giudizio ovvero l'assistenza o rappresentanza da parte del difensore. Infatti, posto che per la soluzione negativa (divieto del riconoscimento della sentenza straniera) sia sufficiente il verificarsi anche di una sola delle condizioni indicate nell'art. 674, n. 1, é evidente che di tali condizioni negative nemmeno una dovrà verificarsi perché si abbia la soluzione positiva (possibilità del riconoscimento). Il che significa che per potersi disporre il riconoscimento é indispensabile il ricorrere, congiuntamente, e della citazione a giudizio e della assistenza o rappresentanza del difensore. Ammettere che ne basti una sola significa ricadere, senza possibilità di dubbi, nella ipotesi del divieto del riconoscimento.

Si viene con ciò ad escludere che la norma dell'art. 674 sia in contrasto col diritto della difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, diritto del quale, per la parte che le compete, essa contiene una netta riaffermazione. Spetterà poi, volta per volta, in sede di applicazione della norma ordinaria, al giudice competente per il riconoscimento della sentenza straniera lo stabilire se il diritto medesimo, in relazione alle particolarità di ciascuno dei vari ordinamenti, trovi in concreto la tutela che é riaffermata nell'art. 674.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione, sollevata con l'ordinanza della Corte di appello di Napoli del 10 marzo 1960, sulla legittimità costituzionale dell'art. 674, n. 1, del Codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1961.