sentenza n. 11 del 1961
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SENTENZA N. 11

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 5 aprile 1908, n. 141, e del D.C.P.S. 8 maggio 1947, promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1960 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra il Comune di Torino e Bosia Caterina e Baricada Medardo, iscritta al n. 42 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 100 del 23 aprile 1960.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 1 febbraio 1961 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv, Antonio Sorrentino, per Bosia Caterina e Baricada Medardo, l'avv. Michele Borda, per il Comune di Torino, e il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con atto 21 novembre 1958, il Comune di Torino proponeva opposizione al precetto di rilascio che il 28 ottobre 1958 era stato ad esso notificato dai signori Caterina Bosia vedova Canta e Medardo Baricada in forza di una sentenza del Pretore di Torino 19-20 settembre 1956, con la quale il Comune era stato condannato a reintegrare i precettanti nel possesso di taluni terreni siti in regione Castello di Mirafiori. Detti terreni facevano parte di un'area compresa in una variante al piano regolatore della città di Torino approvata con decreto del C.P.S. 8 maggio 1947, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 agosto successivo, e il Comune sosteneva che il diritto all'esecuzione della condanna predetta si era estinto perché, successivamente alla sentenza, erano intervenuti i decreti prefettizi 6 ottobre 1956 e 27 agosto 1958, rispettivamente di occupazione temporanea e di espropriazione per pubblico interesse.

2. - In giudizio, i signori Bosia e Baricada assumevano, tra l'altro, che i decreti prefettizi cui il Comune si richiamava non potevano invocarsi perché erano stati emanati in forza del citato decreto del C.P.S. 8 maggio 1947, il quale doveva ritenersi costituzionalmente illegittimo, sia perché fondato su una delegazione contenuta nell'art. 9 della legge 5 aprile 1908, n. 141, che mancava di determinazione di criteri, sia perché erano stati superati i limiti della delegazione predetta.

Il Comune affermava, invece, che il decreto del Capo provvisorio dello Stato 8 maggio 1947 era stato emesso, non con riferimento alla citata legge del 1908, ma in virtù dell'art. 10 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, e, quindi, era un atto amministrativo.

3. - Il Tribunale di Torino, con ordinanza 12 febbraio 1960, rimetteva la questione al giudizio di questa Corte ed osservava:

a) che il decreto del 1947, in base al quale si era svolto il procedimento di espropriazione, risultava fondato sulla ricordata delegazione legislativa contenuta nella legge del 1908 e non sulla legge urbanistica: l'istanza del Comune diretta ad ottenere l'approvazione della variante era di data anteriore a quella di questa ultima legge, essendo del 22 febbraio 1941, ed era sintomatico che il decreto contemplava, oltre all'ampliamento del piano, numerose modificazioni a quello già approvato, prevedendo l'allargamento o la soppressione di corsi, vie, piazze;

b) che la legge del 1908 contiene disposizioni derogative della legge generale, e tali disposizioni solo mediante atto legislativo avrebbero potuto essere estese alle modificazioni introdotte con il decreto del 1947;

c) che la delegazione di cui all'art. 9 della predetta legge non é condizionata da principi e criteri direttivi, perché dà soltanto la "facoltà di consentire quelle modifiche al piano regolatore che fossero riconosciute opportune dalla città di Torino nel corso della sua attuazione";

d) che, comunque, la delegazione contempla unicamente la facoltà di disporre "modificazioni" al piano regolatore, e tale facoltà non può comprendere anche quella di allargare i limiti di spazio del piano, includendovi nuove zone; doveva adottarsi un interpretazione restrittiva del contenuto della delegazione, non potendo ammettersi che al Comune fosse stata data libertà di estendere a nuove zone, a suo piacimento, le norme particolari adottate dalla legge del 1908;

e) che la questione di legittimità sollevata era decisiva per la soluzione della causa, perché tendeva a travolgere la dichiarazione di pubblica utilità contenuta nel decreto del 1947, sulla quale si basano i provvedimenti prefettizi di occupazione e di espropriazione.

L'ordinanza veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 23 aprile 1960, n. 100. Veniva notificata alle parti in causa il 3 marzo e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 5 marzo 1960.

4. - Nelle deduzioni depositate il 17 marzo 1960 e nella memoria del 1 dicembre successivo, la difesa dei signori Bosia e Baricada rileva che la legge 5 aprile 1908, n. 141, non soltanto formalmente, ma anche sostanzialmente ha efficacia legislativa, perché contiene norme derogatrici della legge generale sull'espropriazione, destinate all'attuazione del piano regolatore della parte piana di Torino: nell'art. 4, infatti, dispone sull'obbligo della cessione gratuita di suoli, negli artt. 4 e 7 sui contributi, nell'art. 5 sul modo di calcolare l'indennità di espropriazione, nell'art. 6 sulle aree residue, ecc. Viene ribadita la tesi dell'illegittimità dell'art. 9 della citata legge 5 aprile 1908, n. 141; e si osserva, a tal fine, che il Governo fu autorizzato, non solo ad acconsentire alle modificazioni del piano regolatore che fossero state riconosciute necessarie nel corso della sua attuazione, ma anche ad estendere a dette modificazioni le norme speciali suindicate; il che implica conferimento di potestà normativa. La difesa predetta rileva ancora che la delegazione ricordata, non soltanto non si appoggia a principi e a criteri direttivi predeterminati, ma lascia all'apprezzamento di opportunità dell'Autorità amministrativa la più sconfinata libertà di stabilire le modificazioni da apportare al piano regolatore approvato per legge; e così neppure definisce l'oggetto del potere delegato.

Quanto al decreto del 1947, la difesa dei signori Bosia e Baricada ne riafferma il carattere legislativo, perché emesso in applicazione dell'art. 9 della legge del 1908, perché apporta modificazioni alle disposizioni della stessa, implicando estensione del perimetro del piano regolatore, in modo da rivolgere l'efficacia della legge del 1908 ad altri soggetti, ad altri rapporti, ad altri beni. Rileva che, tanto il decreto quanto la legge, pur essendo di data anteriore a quella dell'entrata in vigore della Costituzione, sono soggetti al sindacato di legittimità costituzionale perché il Comune vorrebbe utilizzarli per il tempo successivo e perché si denuncia anche una violazione dei principi vigenti anteriormente alla stessa Costituzione, in quanto la facoltà normativa conferita al Governo fu esercitata senza l'osservanza delle forme previste da tali principi (manca la deliberazione del Consiglio dei Ministri, il visto del Guardasigilli, l'inserzione nella "Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti" e la clausola di esecutorietà propria degli atti legislativi). D'altro canto, il decreto include nel piano regolatore zone che non vi erano comprese ed é perciò viziato di eccesso nell'esercizio dei poteri delegati; i quali non avevano estensione illimitata, ma comprendevano soltanto la facoltà di approvare modificazioni al piano stesso, nell'ambito del suo perimetro, non anche quello di ampliarne lo spazio, com'é stato fatto.

Tuttavia, nelle deduzioni del 10 dicembre 1960 la difesa dei signori Bosia e Baricada chiarisce che non intende prendere decisa posizione né per la soluzione del carattere legislativo del decreto del 1947, né per la soluzione dell'atto amministrativo, perché il decreto stesso é, in ogni caso, illegittimo, salva la diversità del giudice competente alla relativa pronunzia.

5. - La difesa del Comune di Torino, nelle deduzioni prodotte il 22 marzo 1960 e nella memoria del 10 dicembre 1960, rileva anzitutto che la legge del 1908 non dispone alcuna delegazione legislativa, perché ha per oggetto l'approvazione di piani regolatori edilizi, che sono atti amministrativi, e che, già in base all'art. 87 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, dovevano essere approvati mediante decreto del Capo dello Stato, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, udito il Consiglio di Stato e il Consiglio superiore dei lavori pubblici: la legge del 1908 non fa che rinviare al procedimento amministrativo previsto nell'art. 87 di quella legge.

Viene, quindi, riaffermato il carattere amministrativo del decreto del 1947 e si osserva che esso fu emanato in virtù della legge urbanistica del 1942, non in forza della legge del 1908, a nulla rilevando che la variante era stata domandata prima della promulgazione di questa legge. La quale, da un lato, adotta la forma del decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro dei lavori pubblici e udito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, e, quindi, la forma dell'atto amministrativo, sia per il piano regolatore generale, sia per i piani particolareggiati, sia per le varianti agli stessi; e, dall'altro, considera causa delle varianti la necessità di migliorare il piano, quindi, anche quella di ampliarlo per includervi zone già escluse, ritenute abbisognevoli di sottostare alla disciplina urbanistica per l'espandersi della città. Viene anche notato che il decreto fu preceduto dal parere del Consiglio di Stato, secondo l'art. 12 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in modo che riveste pure i requisiti formali richiesti da tale legge per l'atto amministrativo di approvazione dei piani regolatori e delle relative varianti. Si rileva comunque che, se pure avesse forza di legge delegata, il decreto si sottrarrebbe sempre all'applicazione dell'art. 76 della Costituzione, così come vi si sottrae la legge del 1908, essendo entrambi atti soggetti alle regole costitutive del precedente ordinamento; né potrebbe ritenersi viziato da eccesso dai limiti della delegazione, data l'ampiezza dei poteri conferiti al Governo.

6. - L'Avvocatura dello Stato, nelle deduzioni del 24 marzo 1960 e nella memoria del 7 dicembre 1960, esclude che l'art. 9 della legge del 1908 abbia conferito una delegazione legislativa. L'approvazione dei piani regolatori é stata sempre ritenuta un atto di collaborazione fra Comune e Stato sul piano nettamente amministrativo, nell'esercizio della titolarità di distinti interessi amministrativi; essa é costitutiva dell'effetto giuridico del piano ed é un ordine creativo di oneri o, come altri preferisce, un atto amministrativo individuale ad effetti indiretti di carattere generale. Quando, talora, il piano é stato approvato per legge, si sono avute sempre altrettante ipotesi dileggi essenzialmente formali, pure se in queste si é attribuita al Governo la facoltà di apportare al piano le modificazioni ritenute necessarie ed opportune, volendosi, in tal caso, esclusivamente riconoscere una potestà propria dell'esecutivo.

L'Avvocatura dello Stato ritiene, inoltre, che, nell'eventualità di un esame di legittimità costituzionale della legge del 1908, debba tenersi conto soltanto dei principi imperanti nell'ordinamento anteriore al 1948. Soggiunge che questo ordinamento ammetteva che atti legislativi potessero venir modificati mediante atti amministrativi, tanto vero che l'art. 14 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, statuisce che il termine di esecuzione di un'opera fissato mediante legge può essere prorogato con decreto del Capo dello Stato. Nessuno ha mai sostenuto che questo articolo configuri una fattispecie di delegazione legislativa; in modo che la circostanza che, con l'art. 9 della legge del 1908, si diede al Governo la facoltà di modificare quel piano che nel contempo la stessa legge approvava, non significò che si delegarono poteri normativi.

Circa la natura del decreto del 1947, l'Avvocatura dello Stato rileva che esso non richiama l'art. 9 della legge del 1908 e condivide l'osservazione del Comune di Torino sull'irrilevanza dell'osservazione secondo cui il predetto decreto fu emanato sulla base di una istanza anteriore alla legge urbanistica, obiettando che esso fu adottato posteriormente all'entrata in vigore della legge suddetta. Soggiunge che il decreto é privo di quegli elementi formali dell'atto legislativo ai quali, per diverse conseguenze, accennano la difesa del Comune di Torino e quella dei signori Bosia e Baricada; rileva che esso contiene la formula terminativa usuale propria degli atti amministrativi e che non si può invocare il sindacato della sua costituzionalità mancando di un contenuto normativo. Viene, infine, dedotto che, se pure il decreto in esame fosse di natura legislativa, non lo si potrebbe ritenere viziato per eccesso nell'esercizio del potere delegato, avendo la legge del 1908 attribuito al Governo un ampio potere di modificare il piano regolatore e dovendosi intendere modificazione pure l'ampliamento del perimetro del piano stesso.  

Considerato in diritto 

1. - Il Tribunale di Torino ha rimesso a questa Corte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla difesa dei signori Bosia e Baricada in ordine all'art. 9 della legge 5 aprile 1908, n. 141, e al decreto del C.P.S. 8 maggio 1947, nella duplice premessa che il primo contenga una delegazione legislativa e il secondo trovi giustificazione in tale delegazione e, quindi, sia un atto avente forza di legge.

La Corte é di diverso avviso.

2. - L'art. 9 della citata legge del 1908, con il conferire, nella sua prima parte, al Governo la facoltà di consentire, mediante l'osservanza del procedimento prescritto nell'art. 87 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, alle modificazioni del piano regolatore di Torino che il Comune avesse riconosciuto necessarie in corso di sua attuazione, altro non dispose che l'impiego, per le dette modificazioni, della forma dell'atto amministrativo, che era stata derogata per l'approvazione del piano, ma alla quale si intendeva ritornare per l'adeguamento di questo alle esigenze pratiche della sua esecuzione ed eventualmente del suo sviluppo.

I piani regolatori sono volti a soddisfare necessità pubbliche concrete, la cui realizzazione é affidata alla cura di organi amministrativi (art. 85 segg. legge 25 giugno 1865, n. 2359; art. 10 legge 17 agosto 1942, n. 1150); e la forma della legge, alla quale frequentemente si ricorreva per approvarli prima dell'entrata in vigore della legge urbanistica del 1942, aveva la sua ragione d'essere unicamente nella mancanza, a quel tempo, di una completa disciplina generale. Senza una disposizione che, in tal caso, avesse consentito di apportare varianti al piano mediante un atto amministrativo, anche queste avrebbero dovuto approvarsi mediante legge, e avrebbe potuto così rimanere pregiudicata la speditezza necessaria all'attuazione del piano: nessuna norma costituzionale, peraltro, ostava a tale sistema.

Nella specie, non é dubbio il carattere amministrativo del procedimento previsto per l'adozione delle modificazioni al piano; infatti, l'art. 9 della legge del 1908 rinvia all'art. 85 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e, indicando quale oggetto del procedimento l'esercizio della facoltà del Governo di "acconsentire" alle modificazioni proposte dal Comune di Torino, richiede unicamente manifestazioni di volontà concorrenti alla tutela dello specifico interesse pubblico considerato e, quindi, una collaborazione fra Governo e Comune nell'esercizio di una funzione amministrativa.

3. - Quanto alla norma contenuta nella seconda parte dell'art. 9 della predetta legge del 1908, con la quale venne data facoltà di estendere alle modificazioni del piano la medesima disciplina dettata per le sue linee originarie, sembra evidente, non ostante la formulazione adottata, che essa si risolve nello statuire che alle varianti si sarebbero potute applicare, anche in via esecutiva, le disposizioni stabilite per il piano.

4. - Pertanto, l'assunto del Tribunale e della difesa dei signori Bosia e Baricada, secondo il quale il decreto 8 maggio 1947 trova fonte nell'art. 9 della legge predetta del 1908, non giova a qualificarlo come atto avente forza di legge.

Del resto, tale decreto non ha alcuno dei caratteri propri degli atti aventi forza di legge.

Vi si contiene un richiamo alla legge del 1865 e all'altra del 1942, oltre che alla legge del 1908, e non vi é introdotta alcuna norma diretta a disciplinare dal lato sostanziale la situazione creata dalle varianti. Esso é stato emanato a Seguito di una richiesta del Comune di Torino, e a questa richiesta non si può riconoscere il carattere di una proposta legislativa; é stato preceduto dal parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che non é organo dell'attività normativa; ha approvato le modificazioni al piano originario previo rigetto delle opposizioni presentate contro di esso, e perciò si configura come atto di esercizio di funzioni di amministrazione attiva.

Inoltre, il decreto del 1947 non é stato preceduto dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri, come era disposto, per gli atti di legislazione delegata, anche al tempo in cui fu emanato, essendo intervenuto soltanto il parere favorevole dei Ministri per l'interno e per la pubblica istruzione; vi si legge, non la clausola finale di esecutorietà prescritta per le leggi e gli atti aventi forza di legge, ma l'incarico al Ministro per i lavori pubblici di darvi esecuzione, secondo la formula propria dell'atto amministrativo; non vi si impone la sua inserzione nella "Raccolta ufficiale delle leggi e decreti", ma vi é esclusivamente ordinata la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica; infine, non vi risulta il visto del Guardasigilli, che era necessario pure per gli atti legislativi nell'ordinamento anteriore al 1 gennaio 1948.

5. - In conseguenza, il decreto impugnato sfugge all'esame di questa Corte, che può essere svolto esclusivamente su una legge o su un atto avente forza di legge (art. 134 della Costituzione); così come l'art. 9 della legge del 1908 si sottrae a quell'esame in vista del suo valore sostanziale.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione proposta dal Tribunale di Torino con l'ordinanza 12 febbraio 1960, sulla legittimità costituzionale dell'att. 9 della legge 5 aprile 1908, n. 141;

dichiara inammissibile la questione proposta con la stessa ordinanza, sulla legittimità costituzionale del decreto del C.P.S. 8 maggio 1947.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 marzo 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI

 

Depositata in cancelleria il 29 marzo 1961.