Sentenza n. 61 del 1960
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SENTENZA N. 61

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Dott. MA RIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con ricorso notificato il 30 maggio 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 31 maggio 1960 ed iscritto al n. 9 del Registro ricorsi 1960, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto 2 aprile 1960, n. 300.6 20421.S.25/586 con il quale il Ministro per la sanità dichiarò inammissibile il ricorso gerarchico proposto dal dott. Salvatore Cammaroto da Castiglione Sicilia contro il decreto n. 101 del 12 gennaio 1959 del medico provinciale di Catania che aveva escluso il dott. Cammaroto dal concorso per i posti di ufficiale sanitario vacanti nella Provincia alla data del 30 novembre 1957.

Udita nell'udienza pubblica del 26 ottobre 1960 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro,

uditi l'avv. Luigi Maniscalco Basile, per il Presidente della Regione siciliana, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con decreto 2 aprile 1960, n. 300.6.20421.S.25/586 il Ministro per la sanità dichiarò inammissibile il ricorso gerarchico proposto dal dott. Salvatore Cammaroto da Castiglione Sicilia contro il decreto n. 101 del 12 gennaio 1959 del medico provinciale di Catania che aveva escluso il dott. Cammaroto dal concorso per i posti di ufficiale sanitario vacanti nella Provincia alla data del 30 novembre 1957.

La Regione siciliana, ritenendo invasa dal decreto la propria sfera di competenza, ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione, depositando le sue deduzioni in cancelleria il 31 maggio di questo anno. La Regione fonda il suo ricorso sul fatto che il decreto del Ministro per la sanità violerebbe gli artt. 17 e 20 dello Statuto per la Regione siciliana, gli artt. 1, 2, 3 e 4 del D.P.R. 9 agosto 1956, n. 1111, e in conseguenza violerebbe ed applicherebbe indebitamente l'art. 5 T.U. della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, l'art. 357 del T.U. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265, l'art. 2 del D.L. 31 luglio 1945, n. 446, e l'art. 2 della legge 13 marzo 1958, n. 298.

2. - Premette la difesa regionale: 1) che con la promulgazione del D.P.R. 9 agosto 1956, n. 1111, contenente "Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di igiene, sanità pubblica e assistenza sanitaria" sono state trasferite alla Regione tutte le competenze che in materia lo Statuto le assegna (art. 17, lett. b e c, e art. 20 dello Statuto speciale per la Regione siciliana) e, in particolare, a norma dell'art. 1 dell'ora ricordato decreto, tutte le attribuzioni una volta dell'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità, ora del Ministero per la sanità; 2) che con l'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica la Regione siciliana può avvalersi per l'esercizio delle trasferite funzioni amministrative ed esecutive, degli organi e degli uffici periferici dell'allora Alto Commissariato per l'igiene e la sanità, ora Ministero della Sanità. Da queste premesse discenderebbe, in primo luogo, che codesti organi ed uffici sono divenuti organi ed uffici della Regione, e in secondo luogo che competente a decidere i ricorsi proposti in via gerarchica contro i provvedimenti emanati da questi uffici, compresi tra essi i medici provinciali, é l'Assessore regionale per l'igiene e la sanità, e perché i medici provinciali esercitano competenze proprie della Regione e perché il potere di decisione dei ricorsi gerarchici spettanti all'Alto Commissario, ora Ministro per la sanità, é stato trasferito alla Regione. Conclude chiedendo che venga dichiarata in questa materia la competenza della Regione e annullato in conseguenza il decreto del Ministro per la sanità.

3. - Resiste al ricorso il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Le deduzioni sono state depositate in cancelleria il 18 giugno scorso.

Sostiene l'Avvocatura dello Stato che proprio le norme invocate dalla Regione dimostrerebbero l'infondatezza del ricorso.

Infatti, l'art. 5 del T.U. legge comunale e provinciale che ammette, come si sa, il ricorso in via gerarchica dai provvedimenti dell'autorità governativa inferiore all'autorità superiore é stato sempre interpretato nel senso che il ricorso stesso deve essere proposto all'autorità alla quale quella contro i cui provvedimenti si ricorre sia legata da un vincolo di gerarchia organica e non soltanto di dipendenza funzionale. Né le altre norme invocate (l'art. 357 del T.U. leggi sanitarie che rinvia espressamente al predetto art. 5, l'art. 2 del D.L. Lt. 31 luglio 1945, n. 446, che contiene norme relative all'ordinamento e alle funzioni dell'Alto Commissario, e gli artt. 2, 4 e 8 della legge 13 marzo 1958, n. 296, che ha istituito il Ministero della sanità) contengono nulla che possa fondare la tesi dell'incompetenza del Ministero della sanità in materia di ricorso contro i provvedimenti del medico provinciale.

D'altra parte, il D.P.R. 9 agosto 1956, n. 1111, che contiene le norme di attuazione dell'art. 17, lett. b e c, dello Statuto per la Regione siciliana, stabilendo che la Regione, nell'esercizio delle funzioni che le spettano, per competenza propria o delegata, può avvalersi "fino a quando non avrà diversamente provveduto" degli organi ed uffici periferici dell'Alto Commissariato (ora Ministero per la sanità) esistenti nella Regione, non ha trasformato medici provinciali, ufficiali sanitari, veterinari provinciali in organi della Regione. Ritiene, anzi, la difesa dello Stato che essi rimarranno egualmente organi dello Stato anche quando la Regione avrà provveduto a istituire propri ruoli, per lo svolgimento delle attribuzioni riservate allo Stato dagli artt. 1, secondo comma, e 3, secondo comma del D.P.R. 9 agosto 1956, n. 1111. Di che si trarrebbe conferma dall'art. 4 delle norme di attuazione, che dispone che é l'Alto Commissariato (ora Ministero) a destinare funzionari in posizione di comando o di distacco presso la Regione e a disporre il trasferimento di essi, sia pure con l'obbligo di darne notizia alla Regione.

Né sarebbe invocabile l'art. 1, ultimo comma, del D.P.R. 9 agosto 1956, n. 1111, che prevede e regola la delegazione alla Regione di competenze statali, sia perché mancherebbero le direttive del Governo a cui l'esercizio di tale delegazione é subordinato, sia, soprattutto, perché non é ammissibile in un caso come questo di provvedimenti relativi all'assunzione di personale statale una competenza regionale anche delegata.

4. - In una memoria depositata nella cancelleria della Corte il 27 settembre 1960, la difesa della Regione contesta la fondatezza della tesi dell'Avvocatura dello Stato secondo la quale i medici provinciali sono da considerare ancora organi dell'Amministrazione statale. Sarebbe vera proprio la tesi opposta come si ricaverebbe appunto dall'art. 2 del D.P.R. n. 1111. Una volta trasferita alla Regione, così argomenta la difesa regionale, la titolarità della competenza amministrativa in tema di igiene e di sanità pubblica, "i rapporti di inquadramento, di subordinazione gerarchica e di gerarchia organica che legavano all'Alto Commissariato (oggi Ministero) i propri organi ed uffici periferici, si sono pure spostati trasferendosi dall'autorità governativa a quella regionale". Una diversa interpretazione porterebbe all'assurda conseguenza che gli organi, dei quali la Regione deve avvalersi per espressa disposizione di legge al fine di esplicare un'attività amministrativa sua propria, si dovrebbero considerare non inseriti nell'ordinamento amministrativo regionale, sopra di essi la Regione non avrebbe una potestà gerarchica, né in relazione ad essi potrebbe esercitare l'intervento sostitutivo che si realizza mediante la decisione dei ricorsi gerarchici, decisioni che non hanno carattere giurisdizionale, bensì natura di atti di amministrazione attiva.

Di più: anche se si ritenesse fondata la tesi dello Stato non ne conseguirebbe che tra la Regione e gli organi periferici del Ministero della sanità intercorra non già un rapporto di gerarchia organica, ma un semplice rapporto di dipendenza funzionale. É sufficiente perché si instauri un rapporto di dipendenza gerarchica che due autorità amministrative operino l'una subordinatamente all'altra, nell'esplicazione di una determinata competenza. Non occorrerebbe né che intercorra tra le due autorità una relazione di inquadramento né che il rapporto di soggezione dell'una all'altra ricorra nell'ambito di una stessa branca della pubblica Amministrazione, anche se questo é il caso ordinario.

Non può fare ostacolo a questa interpretazione dell'art. 2 la sua letterale formulazione: dire che la Regione può avvalersi degli organi periferici del Ministero della sanità é lo stesso che dire, nel contesto del trasferimento delle competenze in questa materia alla Regione, che questi organi sono stati trasferiti alla Regione, la quale probabilmente non si avvarrà della potestà che le compete di sostituire a questa, trasferita dallo Stato, una sua propria organizzazione, ma continuerà ad avvalersi di questa che così resterà sua e "non potrà non avere natura e carattere regionale". Quella norma non poteva avere tenore diverso, perché non spettava allo Stato di creare con sue norme l'organizzazione amministrativa regionale, e, d'altra parte, non si potevano trasferire alla Regione le competenze senza il trasferimento degli organi necessari per esplicarla.

Non avrebbe fondamento nemmeno l'altro argomento della difesa dello Stato che, cioè, lo Stato si sarebbe riservato le funzioni che gli spettano per la tutela dell'igiene e sanità pubblica e per l'assistenza sanitaria. Si tratterebbe qui di attribuzioni di carattere straordinario ed eventuale, diverse da quelle del Ministero della sanità che sono state tutte trasferite alla Regione. Non avrebbe senso conservare gli organi e gli uffici periferici alle dipendenze del Ministero per la sanità per l'eventuale espletamento di compiti diversi da quelli che erano attribuiti nella Regione all'Alto Commissariato.

Infine, sarebbe viziata nella premessa e, quindi, non accoglibile la tesi dell'Avvocatura dello Stato che nel caso in esame la competenza della Regione sarebbe esclusa dal fatto che si tratta di un provvedimento relativo all'assunzione di personale statale; si tratta infatti, giusta la tesi regionale, di personale regionale e non statale. Comunque, la Regione, ai sensi dell'art. 1 del decreto n. 1111 del 1956, é chiamata ad esercitare nelle materie rimaste di competenza del Ministero della sanità un'attività amministrativa secondo le direttive dello stesso Alto Commissariato oggi del Ministero della sanità. Né, come sostiene l'Avvocatura dello Stato, perché sia possibile codesto esercizio occorre che vi siano direttive del Governo - esse non sono premessa necessaria di tale esercizio, ad esse la Regione é soggetta solo se ed in quanto le direttive stesse sono emanate -, né, infine, una delega sarebbe inammissibile in questa materia come sostiene e non dimostra l'Avvocatura dello Stato.

5. - In una memoria depositata il 28 settembre scorso, l'Avvocatura dello Stato insiste nel sostenere l'erroneità delle premesse sulle quali si fonda il ricorso regionale: vale a dire che tutte le competenze in materia di sanità pubblica sono state trasferite alla Regione. Gli artt. 1, 2 e 4 del D.P.R. più volte ricordato darebbero la prova del contrario. Ne consegue che, essendo rimasto il medico provinciale un organo dello Stato gerarchicamente dipendente dal Ministero della sanità, i ricorsi contro i provvedimenti da esso emanati devono essere proposti al Ministro, non già all'Assessore regionale, come sarebbe confermato dall'art. 265 del decr. legisl. Pres. della Regione 29 ottobre 1955, n. 6.

D'altra parte, poiché nella specie si tratta di concorso al posto di ufficiale sanitario, si verterebbe in materia di impiego pubblico, per la quale l'art. 14, lett. q, dello Statuto siciliano attribuisce alla Regione competenza soltanto in materia di impiego pubblico regionale, non già statale, anche nel caso di personale destinato ad uffici statali esistenti nel territorio della Regione. Sarebbe, infine, esclusa la possibilità da parte della Regione dell'esercizio di una attività decentrata statale in materia di igiene e sanità relativamente alla decisione dei ricorsi gerarchici sia per l'espressa disposizione già ricordata dell'art. 265 dell'ora citato decreto legisl. Pres. Reg. 29 ottobre 1955, n. 6, sia perché codesta attività esorbiterebbe dal territorio regionale, sia perché mancherebbero le direttive del Governo.

6. - All'udienza del 26 ottobre le parti hanno ribadite le tesi e illustrati gli argomenti svolti già nelle memorie scritte.

 

Considerato in diritto

 

1. - La controversia verte essenzialmente sul punto se le norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di igiene, sanità pubblica ed assistenza sanitaria (D.P.R. 9 agosto 1956, n. 1111) abbiano operato anche il trasferimento degli organi ed uffici periferici dell'Amministrazione statale alla Regione siciliana e, specificamente, sul punto se il medico provinciale e l'ufficiale sanitario siano diventati, in conseguenza di quelle norme, organi regionali. Non occorre, infatti, esaminare e risolvere il problema - che le parti hanno discusso nelle memorie, ma sul quale non hanno insistito nella discussione orale -, dei limiti del trasferimento delle funzioni esecutive e amministrative avvenuto in virtù dell'ora citato decreto, né l'altro della natura di organi statali del medico provinciale e dell'ufficiale sanitario che é pacificamente presupposta dalle parti. Il che é certamente vero per il medico provinciale ed é da dire anche dell'ufficiale sanitario, quando si guardino le sue fondamentali funzioni.

Ridotta a questa la materia del contendere, la tesi della Regione siciliana che il trasferimento nell'organizzazione regionale degli organi periferici dell'Alto Commissariato (ora Ministero della sanità) si sia attuata in conseguenza del trasferimento alla Regione delle funzioni amministrative ed esecutive in materia di igiene, pubblica sanità e assistenza sanitaria (art. 17, lett. b e c, e art. 20 dello Statuto speciale per la Regione siciliana), é priva di fondamento. Deve essere tenuto fermo che un siffatto trasferimento di organi statali non può avere luogo senza esplicite norme che lo regolino, non può, cioè, ritenersi implicito nel trasferimento alla Regione delle funzioni che lo Statuto le assegna. Il che non é soltanto nella logica delle cose, ma trova conforto nel sistema delle norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione siciliana, nel quale codesto passaggio é di regola oggetto di una esplicita disciplina normativa (cfr. D. P. 7 maggio 1948, n. 789, art. 2: "... gli attuali uffici regionali e provinciali e qualsiasi altro ufficio periferico del Ministero dell'agricoltura e foreste nel territorio della Regione sono organi dell'Amministrazione regionale"; D. P. 5 novembre 1949, n. 1182, art. 2: "... gli uffici periferici del Ministero dell'industria e del commercio esistenti nel territorio della Regione passano alle dipendenze della stessa e fanno parte integrante della sua organizzazione amministrativa"; D. P. 25 giugno 1952, n. 1138, art. 2: "... gli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, esistenti nel territorio della Regione, dipendono da questa").

Ciò é tanto più vero quando, poi, come nel caso presente, una norma, quella dell'art. 2 del D. P. 9 agosto 1956, n. 1111, esclude testualmente il trasferimento degli organi periferici dello Stato, dei quali l'Amministrazione regionale può avvalersi, soltanto, "fino a quando non avrà diversamente provveduto", non si sarà data, cioè, una propria autonoma organizzazione.

2. - Vero é che la difesa regionale cerca di superare questo grave ostacolo opposto dalla lettera della legge e dal sistema delle norme di attuazione, col richiamo all'assurdità di un trasferimento di funzioni che non significhi nel contempo trasferimento di organi e inserimento di questi nel nesso organico della Regione e nella dipendenza gerarchica dall'autorità regionale. Senonché il problema non é quello di vedere in generale a quale autorità superiore debba essere proposto il ricorso contro gli atti amministrativi posti in essere dagli organi dello Stato quando agiscano in funzione di organi regionali, quando cioè alla Regione é consentito di avvalersi di essi per esercitare le funzioni che le sono state trasferite: si può ritenere che per questi atti il ricorso gerarchico debba essere proposto all'autorità regionale. Il problema é più circoscritto, posto che deve essere limitato al caso che ha dato origine al presente conflitto di attribuzione, cioè se tale ricorso all'autorità regionale debba essere ammesso anche relativamente a quegli atti che riguardano non già la materia trasferita, nei limiti dell'art. 17 dello Statuto e delle norme di attuazione, dell'igiene, sanità e assistenza pubblica, ma quella non trasferita della provvista degli organi periferici statali e dei provvedimenti di carriera, certamente di pertinenza dello Stato, alla cui organizzazione si riferiscono. Sotto questo profilo non é nemmeno esatto invocare l'applicazione dell'art. 17, lett. b e c, dello Statuto regionale.

E sono pure questi i motivi per i quali l'organizzazione periferica statale non può ritenersi coperta né dall'art. 20, primo comma, ultima parte, dello Statuto speciale, né dalla norma dell'ultimo comma dell'art. 1 del D. P. 9 agosto 1956, che quasi identicamente dispone che nelle materie di competenza dell'Alto Commissariato (ora Ministero della sanità) "non comprese nel primo comma, l'Amministrazione regionale svolge un'attività amministrativa secondo le direttive dell'Alto Commissariato medesimo". Né questa "attività amministrativa" in materia che non é di competenza della Regione, é stata a questa delegata dallo Stato con atti espliciti e con un costante e non equivoco comportamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che compete al Ministro per la sanità la decisione dei ricorsi gerarchici proposti contro i provvedimenti dei medici provinciali operanti nella Regione siciliana in materia di concorsi a posti di ufficiale sanitario.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 1960.

 Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI.

                                  

Depositata in Cancelleria il 16 novembre 1960.