SENTENZA N. 38
ANNO 1960
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente
Avv. GIUSEPPE CAPPI
Prof. TOMASO PERASSI
Prof. GASPARE AMBROSINI
Prof. ERNESTO BATTAGLINI
Dott. MARIO COSATTI
Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale delle norme contenute nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 3 ottobre 1947, n. 1222 (ratificato con legge 9 aprile 1953, n. 292), concernente l'assunzione obbligatoria dei mutilati e invalidi del lavoro nelle imprese private, promosso con ordinanza 10 ottobre 1959 della Corte di appello di Genova nel procedimento civile tra l'Unione italiana tranvie elettriche (U. I. T. E.) e Zinolli Dario, iscritta al n. 2 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 30 gennaio 1960.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 27 aprile 1960 la relazione del Giudice Mario Cosatti;
uditi gli avvocati Vincenzo Gagliardi, Arnaldo Messina e Carlo Arturo Jemolo, per l'Unione italiana tranvie elettriche; gli avvocati Giovanni Margherita e Vezio Crisafulli, per lo Zinolli; e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
L'operaio Zinolli Dario, invalido del lavoro, convenne in giudizio avanti il Tribunale di Genova, quale magistrato del lavoro, la Società "Unione italiana tranvie elettriche" (U. I. T. E.), lamentando il rifiuto della Società ad assumerlo quale prestatore d'opera ai sensi del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 3 ottobre 1947, n. 1222 (ratificato con legge 9 aprile 1953, n. 292), concernente l'assunzione obbligatoria dei mutilati e invalidi del lavoro nelle imprese private, e chiedendo che il Tribunale dichiarasse la Società tenuta a tale assunzione con condanna al risarcimento dei danni.
Il Tribunale accolse l'istanza, ma la Società, in sede di appello, sollevò preliminarmente questione sulla legittimità costituzionale delle norme contenute nel citato decreto.
La Corte di appello, rilevato il carattere precettivo dell'art. 38 della Costituzione, ha osservato che il contratto di lavoro subordinato presuppone equilibrio tra prestazione e controprestazione, tra salario cioè e quantità e qualità di lavoro, equilibrio che non può verificarsi nel caso di assunzione di minorati, onde le assunzioni obbligatorie di tali elementi verosimilmente attuano una forma assistenziale di preminente interesse sociale, la quale viene a gravare soltanto su imprese private. Pertanto, con ordinanza 10 ottobre 1959, ha ritenuto non manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale delle norme contenute nel decreto n. 1222 del 1947 in riferimento agli artt. 3, 38, 41 e 42 della Costituzione e ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
L'ordinanza, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri in data 15 dicembre 1959, nonché alle parti in causa e al Pubblico Ministero, e comunicata ai Presidenti delle Camere legislative, é stata pubblicata, per disposizione del Presidente di questa Corte, ai sensi dell'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 30 gennaio 1960 e iscritta al n. 2 del Registro ordinanze 1960.
Nel giudizio avanti questa Corte si é costituita la Società "Unione italiana tranvie elettriche", in persona del suo presidente, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Arturo Jemolo, Vincenzo Gagliardi e Arnaldo Messina, con domicilio eletto presso questo ultimo in Roma, depositando in cancelleria deduzioni in data 16 febbraio 1960. Si é costituito inoltre lo Zinolli, rappresentato e difeso dagli avvocati Vezio Crisafulli, Giovanni Margherita e Aurelio Bocca, con domicilio eletto presso questo ultimo in Roma, depositando in cancelleria deduzioni in data 19 febbraio 1960.
La Società nelle sue deduzioni osserva che il sistema posto in essere dal decreto n. 1222 del 1947, secondo il quale é resa obbligatoria l'assunzione presso imprese private di mutilati e invalidi del lavoro con minorazione della capacità lavorativa superiore al 40 per cento, con la comune retribuzione degli altri prestatori e senza periodo di prova:
a) attua nei riguardi dei lavoratori invalidi una forma di assistenza sociale, che viene a gravare su imprese private anziché sulla collettività a mezzo di organi e istituti predisposti e integrati dallo Stato, e ciò in contrasto con l'art. 38 della Costituzione;
b) si appalesa in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto tutto l'onere di sii atta assistenza grava sulle imprese private e non anche su quelle pubbliche, alle dipendenze delle quali può essersi eventualmente verificata l'invalidità del prestatore d'opera;
c) si appalesa, inoltre, in contrasto con gli artt. 41 e 42 della Costituzione, in quanto l'assunzione obbligatoria di codesti minorati viene a turbare la organizzazione e il libero dimensionamento delle imprese.
Conclude per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del decreto di cui trattasi.
La difesa dello Zinolli nelle sue deduzioni rileva:
a) per quanto riguarda il riferimento all'art. 38, il decreto del 1947 non impone né assistenza né mantenimento d'invalidi, ma tende, attraverso la costituzione di un regolare rapporto di lavoro, a rendere concreto il diritto al lavoro per tali prestatori d'opera, in aderenza ai principi posti negli artt. 1 e 4 della Costituzione. Essi possono in tal modo arrecare alle imprese un effettivo contributo lavorativo dopo il vaglio della speciale commissione prevista dall'art. 4 del decreto in esame, commissione di cui fanno parte anche due rappresentanti dei datori di lavoro e che ha il compito di curare il collocamento degli invalidi distinti per categorie professionali;
b) il decreto non viola il principio dell'eguaglianza affermato dall'art. 3 della Costituzione, in quanto l'assunzione obbligatoria non riguarda determinate categorie di imprese, ma tutte le imprese private con esclusione soltanto di quelle che non hanno almeno cinquanta dipendenti; d'altra parte le norme del decreto sono aderenti al principio costituzionale, rendendo possibile la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.
c) in ordine poi al riferimento agli artt. 41 e 42 della Costituzione, il decreto non limita o comprime l'iniziativa economica e non tocca la garanzia della proprietà privata, in quanto non contiene alcuna norma relativa al dimensionamento delle imprese. Non si può, invero, sostenere che una impresa con cinquanta dipendenti non abbia almeno un posto ove l'invalido possa realizzare equilibrio tra prestazione e controprestazione; per di più il dipendente non ha diritto a stabilità nel caso che l'invalidità subisca mutamenti (art. 5 del decreto), restando in ogni caso ferma la possibilità di licenziamento ammessa anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Conclude chiedendo che la Corte voglia dichiarare non fondata la proposta questione di legittimità costituzionale.
Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato.
Nell'atto di intervento, depositato in cancelleria il z gennaio 1960, l'Avvocatura deduce:
a) l'ordinanza di rimessione é, a suo dire, basata su di un equivoco, poiché le norme del decreto del 1947 non stabiliscono una forma di assistenza sociale a favore di inabili sprovvisti di mezzi di sussistenza, ma attuano un sistema diretto a garantire il diritto al lavoro a favore di menomati, abbiano o meno mezzi di sussistenza, e a reinserirli nella vita economico - produttiva della Nazione attraverso un'opera rieducativa, formativa e di tutela da parte dello Stato in armonia con il disposto del terzo comma dell'art. 38, il quale legittima il collocamento speciale obbligatorio di codesti invalidi del lavoro;
b) non é esatto affermare che, nella specie, non si possa parlare di contratto di lavoro, in quanto manchi rapporto di equilibrio tra rendimento e retribuzione; assegnando all'invalido un lavoro adatto alle sue possibilità fisiche, tale equilibrio può ben verificarsi e, comunque, una eventuale sproporzione tra le due prestazioni verrebbe ad alterare non già la figura giuridica del contratto di lavoro, ma la corrispondenza economica di esso;
c) dal coordinamento degli artt. 1, 4 e 38 della Costituzione risulta che le norme costituzionali non tendono soltanto a una opera rieducativa e preparatoria ("educazione professionale"), ma anche a porre in essere condizioni concrete per reinserire l'invalido nelle sue attività di cittadino ("avviamento professionale") e nella sua funzione sociale ("pari dignità sociale" - articolo 3, primo comma della Costituzione). Né può ravvisarsi violazione del principio della libertà nell'iniziativa economica privata, poiché le norme del decreto non interferiscono nella organizzazione delle imprese, ma solo impongono di riservare ai minorati una tenue aliquota di posti rispetto al numero totale dei dipendenti che i datori hanno liberamente determinato e stabilito.
L'Avvocatura dello Stato conclude chiedendo che sia dichiarata non fondata la questione di cui si discute.
Con memorie depositate rispettivamente il 13 aprile 1960, il 14 aprile 1960 e il 14 aprile 1960, la difesa della Unione italiana tranvie elettriche, quella dello Zinolli e l'Avvocatura dello Stato hanno ribadito le deduzioni e conclusioni di cui agli atti scritti.
Alla pubblica udienza gli avvocati Gagliardi, Messina e Jemolo, per l'Unione italiana tranvie elettriche, gli avvocati Margherita e Crisafulli, per lo Zinolli, e il sostituto avvocato generale dello Stato Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, hanno svolto le argomentazioni enunciate e confermato le conclusioni prese negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1. - Dal testo dell'ordinanza 10 ottobre 1959 si rileva che la Corte di appello di Genova ha proposto la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 38, 41 e 42 della Costituzione, non di alcune norme del decreto legislativo 3 ottobre 1947, n. 1222 (ratificato con legge 9 aprile 1953, n. 292), concernente l'assunzione obbligatoria dei mutilati e invalidi del lavoro nelle imprese private, ma dell'intero decreto.
La Corte, come già in precedenti giudizi, deve impostare ed effettuare il suo esame sul decreto n. 1222 considerato nel suo complesso, poiché le norme in esso contenute sono tra loro così intimamente collegate che, ai fini del presente giudizio, non si possono individuare singole disposizioni, ma tutte debbono essere valutate nel loro insieme in relazione al sistema da esse delineato e attuato.
2. - Allo scopo testé accennato, sembra anzitutto opportuno riassumere, nei tratti essenziali, il contenuto delle norme del decreto n. 1222 del 1947:
a) le imprese private, le quali abbiano alle loro dipendenze più di cinquanta lavoratori, sono tenute ad assumere un mutilato o un invalido del lavoro per ogni cinquanta dipendenti o frazione di cinquanta superiore a venticinque; hanno diritto ad essere assunti i lavoratori che non abbiano superato determinati limiti di età e abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore al 40 per cento, esclusi gli invalidi che abbiano perduto ogni capacità lavorativa o che per la natura e il grado della loro invalidità possano riuscire di danno alla salute o alla incolumità dei compagni di lavoro e alla sicurezza degli impianti (art. 1 e 2);
b) gli aspiranti al collocamento vengono iscritti nel ruolo degli invalidi "collocabili"; presso ogni Ufficio provinciale del lavoro é costituita una commissione che ne dichiara l'idoneità al lavoro, distinguendoli per categorie professionali e curandone il collocamento (artt. 3 e 4);
c) i datori di lavoro possono risolvere il rapporto di lavoro con gli invalidi, qualora risulti un aggravamento dell'invalidità che impedisca al lavoratore di esplicare le mansioni per le quali é stato assunto ovvero si verifichino gli estremi di cui all'ultima parte della lett. a) (art. 5).
3. - Ritiene la Corte che il sistema posto in essere dal decreto trovi base e giustificazione nel disposto dell'art. 38 della Costituzione.
É compito dello Stato provvedere "all'educazione e all'avviamento professionale" dei minorati. Per i minorati del lavoro il decreto ha istituito presso ogni Ufficio provinciale del lavoro la commissione di cui all'art. 4, essa, nei riguardi degli invalidi aspiranti a collocamento, procede - in base ad attestato dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro circa il grado di riduzione della capacità lavorativa dei minorati e a documenti atti a dimostrarne le attitudini lavorative e professionali sia generiche che specifiche - a dichiarare l'idoneità al lavoro non in forma generica, ma distinguendo gli aspiranti per categorie professionali anche in relazione al tipo di imprese alle quali essi possono essere avviati. Né devesi omettere il rilievo che della commissione, presieduta dal dirigente dell'Ufficio del lavoro, fanno parte, a fianco di due rappresentanti dell'associazione minorati del lavoro e di uno delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, due rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.
Eseguita questa opera di accertamento e di selezione nei confronti dei minorati che, provvisti di residua capacità, sono ancora in grado di prestare opera lavorativa, devesi provvedere al loro "avviamento professionale": locuzione che non può essere intesa come sinonimo di "educazione" e che invece, a integrazione di questa, prescrive il compito ultimo per rendere operante il disposto del terzo comma dell'art. 38. Compito che si sostanzia e realizza nell'effettivo collocamento al lavoro; e tal fine, in armonia con il quarto comma dello stesso art. 38, viene nella specie assolto dallo Stato a mezzo di un suo organo, la commissione prevista dall'art. 4 del decreto. La quale provvede appunto al collocamento dei minorati e attua il reinserimento di essi nel mondo del lavoro, avviandoli, secondo le modalità stabilite dal decreto, a posti nei quali gli invalidi possano essere utilmente impiegati tenuto conto delle loro attitudini e capacità.
Ora non devesi da tale sistema inferire che le norme del decreto, in contrasto con l'art. 38, vengano ad addossare alle imprese il mantenimento assistenziale di codesti minorati. Una volta instaurato, sia pur coattivamente, un regolare rapporto di lavoro, non é più a parlare di mantenimento, bensì di prestazione di opere, che determina da parte del datore di lavoro la corresponsione di una retribuzione.
Si crea, pertanto, una rispondenza tra prestazione e retribuzione, con facoltà al datore di lavoro di risolvere il contratto di lavoro nelle ipotesi previste dall'art. 5 del decreto (e anche ad nutum secondo quanto ha ritenuto la giurisprudenza ordinaria).
La ratio dell'impugnato decreto non é, quindi, quella di procurare ai minorati del lavoro un mantenimento caritativo, ma di porre in essere le condizioni per la formazione di un contratto di lavoro, in ordine al quale l'idoneità al lavoro é richiesta per la persistenza del rapporto medesimo. Esaminando e valutando le norme dell'impugnato decreto, non devesi dimenticare che trattasi di mutilati e invalidi del lavoro, non di inabili al lavoro.
Con tali provvidenze il decreto rimuove, in armonia con lo spirito e con il dettato del secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, gli ostacoli che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione economica e sociale del Paese; in armonia con lo spirito cui é informato l'art. 4 della Costituzione, promuove e attua le condizioni che rendono possibile ai minorati, riconosciuti, in seguito ad opportuni accertamenti, ancora in possesso di attitudini lavorative e professionali e, si ripete, non indicate genericamente ma riferite a categorie professionali, di essere reinseriti, con contratti di lavoro che presuppongono prestazioni di opere, nell'ambiente del lavoro, dal quale spesso resterebbero esclusi; offre a codesti infortunati cittadini modo di svolgere ancora una funzione secondo le proprie possibilità; sollecita anche l'adempimento di quel dovere inderogabile di solidarietà, solennemente enunciato tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 2).
Sono state qui richiamate altre disposizioni della Costituzione non già per affermare che anche in esse trovino diretta base le norme del decreto n. 1222, ma per sottolineare che queste ultime si appalesano in armonia con quelle norme costituzionali considerate nella complessiva visione dei principi cui sono informate.
4. - Non ravvisa questa Corte contrasto tra le norme del decreto e il disposto degli artt. 41 e 42 della Costituzione, ai quali ha fatto inoltre riferimento la difesa della Società. Il sistema attuato per l'assunzione dei minorati del lavoro si svolge, come si é sopra accennato, in base a condizioni e criteri determinati e attraverso prescritti accertamenti, né vi interferiscono provvedimenti di ampia discrezionalità; non viene alterata la valutazione dei datori di lavoro in ordine al dimensionamento delle imprese, ma é stabilito soltanto l'onere della percentuale di assunzioni da esso prevista.
Né può disconoscersi, come é già stato in altra occasione rilevato dalla Corte, che il disposto dell'art. 41 legittima un intervento dello Stato con "misure protettive del benessere sociale e, contemporaneamente, restrittive della privata iniziativa" (sentenza n. 103 del 1957), sempreché la privata iniziativa non venga da siffatto intervento annullata o soppressa.
La Corte, infine, non ritiene di poter seguire la difesa dell'Unione tranvie elettriche nell'argomentazione secondo la quale le norme del decreto n. 1222, in quanto pongono l'assunzione obbligatoria dei minorati del lavoro a carico delle imprese private, violerebbero il primo comma dell'art. 3 della Costituzione.
In più occasioni la Corte ha stabilito che il principio dell'eguaglianza, ivi enunciato, non deve essere inteso ed applicato in senso meccanicamente livellatore: esso non esclude che il legislatore "possa dettare norme diverse per regolare situazioni diverse, adeguando la disciplina giuridica ai differenti aspetti della vita sociale"; "la valutazione delle diverse situazioni é riservata al potere discrezionale del legislatore" (sentenza n. 53 del 1958).
Dall'esame, invero, dei vari provvedimenti legislativi concernenti la materia del collocamento obbligatorio può rilevarsi che il legislatore nei riguardi delle categorie di volta in volta prese in considerazione, come invalidi di guerra, invalidi per servizio, lavoratori dimessi da luoghi di cura per guarigione da affezioni tubercolari, centralinisti telefonici ciechi, ha attuato l'avviamento al lavoro in direzioni diverse (e con oneri percentuali di assunzioni obbligatorie talora diversi) data appunto la diversità di esigenze e di situazioni.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione proposta dalla Corte di appello di Genova con ordinanza 10 ottobre 1959 sulla legittimità costituzionale delle norme contenute nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 3 ottobre 1947, n. 1222 (ratificato con legge 9 aprile 1953, n. 292), concernente l'assunzione obbligatoria dei mutilati e invalidi del lavoro nelle imprese private, in riferimento agli artt. 3, 38, 41 e 42 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 1960.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.
Depositata in Cancelleria il 15 giugno 1960.