Sentenza n. 20 del 1960
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SENTENZA N. 20

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 7 novembre 1957, n. 1051, promosso con ordinanza emessa il 3 febbraio 1959 dal Pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Grandi Astorre e la Società p. az. "Columbia", iscritta al n. 64 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 99 del 24 aprile 1959.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 2 marzo 1960 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

udito il sostituito avvocato generale dello Stato Luigi Tavassi La Greca per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Pretore di Genova, con sentenza del 3 febbraio 1959, condannava il sig. Astorre Grandi a pagare alla Società Columbia la somma di L. 202.277 quale prezzo di merce precedentemente acquistata; contemporaneamente, poiché la società attrice aveva chiesto il rimborso delle spese giudiziali, per questa parte della domanda il Pretore proponeva questione di legittimità costituzionale della legge 7 novembre 1957, n. 1051, articolo unico, in riferimento agli artt. 70 e 76 della Costituzione: infatti l'attrice pretendeva la liquidazione degli onorari d'avvocato benché il suo difensore fosse iscritto soltanto nell'albo dei procuratori: ma il diritto a questi onorari (o meglio, a metà di questi onorari) deriva dall'art. 8 della deliberazione 15 febbraio 1958 del Consiglio nazionale forense, approvato con decreto 28 febbraio 1958 dal Ministro Guardasigilli, cioè da una deliberazione presa in virtù dei poteri conferiti al Consiglio dalla legge predetta; dimodoché, se risultasse provata la illegittimità costituzionale di quest'ultima, cadrebbe l'art. 8 della deliberazione consiliare e, con esso, il diritto dell'attrice alla liquidazione degli onorari d'avvocato.

Perciò lo stesso giorno, 3 febbraio 1959, il Pretore di Genova emetteva ordinanza di rinvio a questa Corte. L'ordinanza é stata regolarmente notificata il 20 febbraio 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 24 aprile 1959.

Il Presidente del Consiglio é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni del 13 marzo 1959.

2. - Secondo l'ordinanza di rinvio, la deliberazione del Consiglio nazionale forense é un regolamento delegato; la delega sarebbe contenuta nella legge 7 novembre 1957, n. 1051, articolo unico, norma impugnata, che attribuisce al Consiglio la potestà di stabilire i criteri per la determinazione dei compensi spettanti a procuratori ed avvocati; e questa norma non contiene alcuna determinazione di principi direttivi e di limiti temporali e spaziali, come invece richiede l'art. 76 della Costituzione per la delega dell'esercizio di funzioni legislative; ma - osserva il Pretore di Genova - la materia degli onorari e dei diritti forensi aveva già la sua disciplina in una legge precedente (legge 13 giugno 1942, n. 794), che perciò il 7 novembre 1957 é stata implicitamente abrogata, tanto é vero che la deliberazione consiliare del 15 febbraio 1958 ne riproduceva le norme apportandovi anche qualche modifica: ne deriverebbe che la legge impugnata ha attribuito al Consiglio funzioni che sono di norma riservate al Parlamento (art. 70 della Costituzione); per conseguenza avrebbe dovuto almeno indicare criteri direttivi e apporre limiti, così come stabilisce l'art. 76 della Costituzione: non sarebbe ammissibile che, attraverso la delega di potestà regolamentari, si diano all'autorità amministrativa poteri così ampi da tradursi in una rinuncia totale, da parte del Parlamento, della funzione legislativa.

Di qui, secondo il Pretore di Genova, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata d'ufficio.

3. - Invece, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, la legge impugnata non contiene una delega di potestà legislativa, ma attribuisce al Consiglio nazionale una potestà regolamentare in materia di tariffe forensi, cioè relativamente a un aspetto che é secondario nella complessa disciplina delle professioni d'avvocato e di procuratore e sul quale non c'é alcuna riserva costituzionale di legge. Perciò l'art. 76 della Costituzione, che si riferisce alla delega di potestà legislativa, sarebbe stato erroneamente invocato.

 

Considerato in diritto

 

1. - La tesi dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo cui l'articolo unico della legge 7 novembre 1957, n. 1051, non contiene una delega dell'esercizio di funzioni legislative, é esatta. Lo si ricava agevolmente sia dal testo della norma, sia dalla natura dell'organo a cui essa attribuisce certi: poteri, sia dal contenuto di questi ultimi.

Infatti la lettera della legge non accenna né fa pensare a delegazione dell'esercizio di potestà che istituzionalmente spettano solo alle due Camere: il legislatore vi si limita a disporre che i criteri per la determinazione dei compensi ad avvocati e procuratori "sono stabiliti dal Consiglio nazionale forense", e l'attribuzione d'una competenza come questa, anche se riguarda materia già disciplinata minutamente dalla legge, non é di per se stessa delega di potestà legislativa. Siccome la delega può esserci soltanto nei confronti dei Governo non sembra che la norma impugnata abbia inteso attuarla nei riguardi del Consiglio nazionale forense.

Inoltre la materia delle prestazioni forensi non é di quelle che debbano essere necessariamente disciplinate per legge o per delega dell'esercizio di funzioni legislative: anzi, a parte che non vi é su di essa alcuna riserva costituzionale di legge, i criteri per la fissazione dei compensi e le relative tariffe hanno tale natura che é opportuno rivederli periodicamente: di qui la convenienza d'affidarne l'aggiornamento ad un organo tecnico che sia in grado di prendere tempestive decisioni. Non per niente, mentre nella legge 13 giugno 1942, n. 794, criteri generali e tariffe erano contenuti nello stesso testo legislativo, precedentemente la loro fissazione spettava, almeno in parte, ai direttori dei sindacati forensi e al Ministro di grazia e giustizia (artt. 57 e 64 legge 27 novembre 1933, n. 1578, sulle professioni d'avvocato e procuratore).

Sotto questo aspetto la norma impugnata non viola né l'art. 76, né l'art. 70 della Costituzione.

2. - Resta da vedere se la legge 7 novembre 1957, n. 1051, come si desumerebbe dall'ordinanza di rinvio e in particolare dal suo accenno a una delega di potestà regolamentare, abbia attribuito al Consiglio nazionale forense la potestà di emanare regolamenti in materia coperta da riserve di legge o tali, comunque, che possano abrogare leggi vigenti. Solo in questo caso si potrebbe eventualmente dubitare della legittimità della norma in riferimento agli artt. 70 e 76 della Costituzione.

Osserva però questa Corte che la potestà, conferita dalla norma impugnata al Consiglio nazionale forense, non invade un campo soggetto a riserva legislativa, ma attua un nuovo sistema di elaborazione dei criteri relativi alla misura dei compensi che é voluto appunto dalla legge: prima del 7 novembre 1957 era il Parlamento l'organo che fissava direttamente quei criteri; dopo il 7 novembre 1957 é invece il Consiglio nazionale forense.

La legge 7 novembre 1957, n. 1051, gli ha dato, modificando la legislazione precedente, una potestà regolamentare per il cui conferimento non sussistono i limiti temporali e spaziali indicati nell'art. 76 della Costituzione: essa ha stabilito che il Consiglio nazionale forense disciplini ogni biennio, predisponendo i criteri di attuazione concreta da sottoporre all'approvazione del Ministro Guardasigilli, la materia relativa a diritti a compenso derivanti da principi generali dell'ordinamento e da leggi speciali: e la determinazione di criteri diretti all'attuazione pratica di principi e di norme legislative é compito normalmente attribuito all'autorità amministrativa.

Che se poi, come afferma il Pretore di Genova, la deliberazione consiliare del 15 febbraio 1958 ha toccato materia relativa alla stessa esistenza e inderogabilità delle obbligazioni che intercorrono fra difensori e clienti, ciò non prova che il Consiglio abbia avuto la potestà d'emanare atti capaci di abrogare le leggi; semmai, si tratterebbe di problema che attiene all'esercizio, legittimo o meno, della potestà regolamentare conferita dalla legge 7 novembre 1957, n. 1051, e non può essere affrontato in questa sede.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione, proposta dal Pretore di Genova con l'ordinanza 3 febbraio 1959, sulla legittimità costituzionale dell'articolo unico legge 7 novembre 1957, n. 1051, in riferimento agli artt. 70 e 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31 marzo 1960.

  Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                                                                              

 

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 1960.