SENTENZA N. 50
ANNO 1958
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Tomaso PERASSI, Presidente
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Mario BRACCI
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale sarda nella seduta del 18 maggio 1957, avente per oggetto la "costituzione dell'Istituto Regionale Incremento Edilizio (I.R.I.E.)", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 29 novembre 1957, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 dicembre 1957 ed iscritto al n. 25 del Registro ricorsi 1957.
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione autonoma della Sardegna;
udita nell'udienza pubblica del 14 maggio 1958 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini per il ricorrente e gli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri per la Regione autonoma della Sardegna.
Ritenuto in fatto
1. - L'Assemblea regionale sarda approvò una prima volta il 18 maggio e una seconda volta il 15 novembre 1957 un disegno di legge avente per oggetto la "costituzione dell'Istituto Regionale Incremento Edilizio (I.R.I.E.)".
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio in data 22 novembre 1957, ha impugnato la legge e ha chiesto che ne venga dichiarata la illegittimità costituzionale in toto e in particolare degli artt. 8, 11, 12, 14, 15 e 16, nonché degli artt. 5, 13 e 15 dello Statuto dell'ente, che fa parte integrante della legge.
Il ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale il 29 novembre 1957 é stato depositato nella cancelleria della Corte il 4 del successivo mese di dicembre. Di esso é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 14 dicembre 1957 e nel Bollettino della Regione sarda del 16 dello stesso mese ed anno.
2. - La difesa del Presidente del Consiglio fonda il suo ricorso sulla tesi che la disciplina della edilizia economica e popolare non rientra nel potere legislativo della Regione. L'art. 3, lett. f, nel conferire alla Regione la potestà di emanare norme di legge in materia di "edilizia ed urbanistica", avrebbe inteso fare riferimento "alla regolamentazione della tecnica edilizia nei riguardi delle sistemazioni urbane, in relazione ai tipi di costruzione, al rispetto degli ambienti tradizionali o di pregio artistico o paesistico, alla densità ammissibile per unità di superficie e simili", non già alla diversa materia dell'edilizia popolare, che é regolata da norme che hanno intento sociale e assistenziale e pongono problemi di carattere finanziario o di giustizia sociale. Ne consegue che la norma contenuta nell'art. 10 delle disposizioni di attuazione D. P. R. 19 maggio 1950, n. 327, secondo la quale "nulla é innovato per quanto riguarda la disciplina dell'edilizia economica e popolare e le agevolazioni disposte dallo Stato per favorirne lo sviluppo", norma che la Regione, del resto, non ha a suo tempo impugnata, é nient'altro che un'interpretazione legislativa dell'art. 3, lett. f, dello Statuto regionale e a questo conforme.
Né, d'altra parte, nonostante la legge regionale impugnata istituisca un ente di credito, la potestà legislativa della Regione potrebbe trovare il suo fondamento nell'art. 4, lett. b, dello Statuto, in virtù del quale la Regione può emanare norme in materia di "istituzione ed ordinamento degli enti di credito fondiario ed agrario, delle casse di risparmio, delle casse rurali, dei monti frumentari e di pegno e delle altre aziende di credito di carattere regionale". Infatti l'I.R.I.E. é un ente che ha un fine specifico, quello di esercitare il credito nel campo dell'edilizia popolare, e la norma contenuta nell'art. 10 delle disposizioni di attuazione sopra citate, che vieta di apportare innovazioni in questo campo, conterrebbe anche il divieto di istituire e organizzare enti che si propongono di esercitare il credito in favore della edilizia popolare.
3. - Oltre che in via generale la legge sarebbe viziata di incostituzionalità in alcune sue norme particolari.
In primo luogo la difesa dello Stato ritiene che debba essere dichiarata illegittima la norma contenuta nell'art. 5 della legge (per inavvertenza la difesa dello Stato ritiene che codesto articolo faccia parte dello Statuto), in virtù della quale "l'istituto é autorizzato a concedere mutui anche agli enti pubblici della Regione secondo le modalità che verranno fissate con legge successiva". Ritiene la difesa dello Stato che codesta facoltà riconosciuta all'Istituto rappresenti una deviazione dal fine per cui esso é istituito, e apra la via a "un accaparramento del risparmio per esercizio del credito" che potrebbe creare una situazione di squilibrio nei confronti degli istituti di credito nazionale, che svolgono la loro attività in Sardegna.
4. - L'illegittimità costituzionale degli artt. 8, 11 e 12 della legge si fonderebbe sul carattere, come usa dire, concorrente o complementare della legislazione regionale ex art. 4. Il legislatore sardo non avrebbe osservato i limiti che tale legislazione incontra e che non sono soltanto quelli posti dai principi generali dell'ordinamento giuridico, ma anche quelli fissati dalla legislazione specifica dello Stato nella materia, nel caso quella del credito. L'art. 8, infatti, consentendo che i mutui concedibili dall'Istituto possono essere garantiti "da ipoteca di primo grado sull'area dove deve sorgere la costruzione o sugli immobili per i quali viene concesso il finanziamento", é in contrasto con l'art. 3, secondo comma, della legge 10 agosto 1950, n. 715, che dispone, invece, che la garanzia ipotecaria deve essere presa e sull'area, e sugli immobili.
L'art. 11, stabilendo che i benefici della legge non possono essere conseguiti da coloro che "hanno un reddito netto annuo tassabile ai fini dell'imposta complementare ... superiore a L. 800.000, detratta la quota afferente a redditi di lavoro", é in contrasto con l'art. 4 della legge statale 1 marzo 1952, n. 113, che ha modificato l'art. 4 della legge, 2 luglio 1949, n. 408, che stabilisce un limite diverso e inferiore (iscrizione nei ruoli della imposta complementare per un reddito tassabile superiore a lire 150.000 esclusa per l'intero la parte afferente ai redditi di ricchezza mobile di cat. C1 e C2 e per metà quella di ricchezza mobile di cat. B.).
L'art. 12, non prevedendo, tra le cause di decadenza dai benefici accessori, l'estinzione del mutuo entro il quinquennio dalla data del rilascio del certificato di abitabilità, é in contrasto con l'art. 9, comma terzo, della legge 10 agosto 1950, n. 715.
5. - Sotto altro profilo sarebbe da dichiarare l'illegittimità costituzionale degli artt. 14, 15 e 16 della legge. Questi articoli, infatti, costituendo un fondo di dotazione in lire 1 miliardo "da ripartirsi sui bilanci della Regione in quattro esercizi a partire dal 1958 "(art. 14), un fondo di dotazione" fino alla concorrenza di lire 4 miliardi mediante appositi stanziamenti annuali sui bilanci della Regione, a partire dall'esercizio 1958 "(art. 15), ponendo a carico della Regione la differenza tra il tasso di interesse sulle cartelle che l'Istituto é autorizzato a emettere e il tasso di impiego nonché la eventuale differenza del prezzo di collocamento (art. 16), violerebbero l'art. 81 della Costituzione, perché, per una parte sarebbe indeterminato l'onere assunto dalla Regione e, per un'altra parte, non s'indicherebbero le fonti di entrata che devono fronteggiare la nuova spesa.
6. - Lo statuto dell'I.R.I.E. che, come si é visto, fa parte integrante della legge impugnata, sarebbe in primo luogo e in via generale viziato da illegittimità costituzionale, per il fatto che sarebbe stato omesso il principio sancito nell'art. 11 del D.L.C.P.S. 5 agosto 1947, n. 778, per il quale "i regolamenti organici concernenti la determinazione della consistenza numerica e la disciplina giuridica ed economica dei personali degli enti ed istituti contemplati dal precedente art. 10 (e sono quelli sottoposti a vigilanza dello Stato), devono essere approvati mediante provvedimenti da emanare dal Ministro competente di concerto con il Ministro per il tesoro". Vero é che lo Statuto per la Sardegna prevede un potere legislativo regionale in materia di ordinamento degli enti di credito, ma si tratta di un potere legislativo concorrente e limitato, che rende limitata anche la relativa attività amministrativa.
In particolare, poi, sarebbero illegittimi l'art. 15, che riserva alla Giunta regionale i provvedimenti di scioglimento del Consiglio di amministrazione e di nomina di un Commissario, - sottraendo così l'Istituto alla vigilanza sull'esercizio del credito che spetta allo Stato -, e l'art. 13 che, non prevedendo tra i membri del Collegio sindacale rappresentanti dell'organo di controllo, violerebbe l'art. 100 della Costituzione, che prevede il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato (e nel caso sarebbe da intendere la Regione) contribuisce in via ordinaria.
7. - La Regione, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Gasparri ed Egidio Tosato, ha depositato le sue controdeduzioni il 17 dicembre dello scorso anno.
Sul punto principale della controversia - se cioè la competenza legislativa della Regione ex art. 3, lett. f, in materia di edilizia e urbanistica, sia comprensiva della edilizia popolare, e quale rapporto passi tra codesta norma e quella contenuta nell'art. 10 delle norme di attuazione -, la difesa regionale sostiene preliminarmente che, se l'art. 10 dovesse essere interpretato in senso contrario allo Statuto, il fatto che esso non sia stato impugnato dalla Regione, non precluderebbe alla Corte di giudicare della sua legittimità costituzionale in via incidentale. E illegittimo costituzionalmente dovrebbe ritenersi se esso pretendesse di escludere dalla competenza legislativa della Regione sarda il settore della edilizia popolare, esclusione che non é autorizzata né dalla lettera né dallo spirito dello Statuto. In via subordinata, anche se si dovesse far conto dell'art. 10 delle norme d'attuazione, "intendendolo come preclusivo di ogni innovazione delle leggi statali in materia di edilizia popolare", la legge sarda, avente una sfera di applicazione che non interferisce con quella regolata dalle vigenti leggi statali, che perciò non perdono efficacia nel territorio, non potrebbe essere considerata costituzionalmente illegittima.
8. - La difesa della Regione respinge, poi, anche le censure mosse dallo Stato a singoli articoli della legge e dello Statuto; all'art. 5, perché la norma che vi é contenuta proporrebbe non già una questione di costituzionalità, ma di opportunità economico-politica (e quindi il ricorso dovrebbe essere dichiarato per questa parte inammissibile); agli artt. 8, 11 e 12, perché le norme di leggi statali che si assumono violate, non avrebbero la rilevanza di principi dell'ordinamento e neppure di "principi stabiliti dalle leggi dello Stato" ai sensi dell'art. 4 dello Statuto; agli artt. 14, 15 e 16, perché l'art. 81, comma quarto, della Costituzione si riferirebbe soltanto alle nuove e maggiori spese che incidono sul bilancio in corso di attuazione, non già a quelle imputabili a esercizi futuri per le quali si dovrebbe provvedere di anno in anno con le leggi di approvazione del bilancio; alla mancata osservanza da parte dello Statuto della disposizione contenuta nell'art. 11 del D.L.C.P.S. 5 agosto 1947, n. 778, perché questa disposizione non sarebbe applicabile agli enti regionali di credito fondiario che rientrano nella sfera di competenza sia legislativa sia amministrativa della Regione (art. 4, lett. b, e 6 dello Statuto); all'art. 13 dello Statuto, perché la norma dell'art. 100 della Costituzione prevede il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti "a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria" e tale non è l' I.R.I.E.; all'art. 15, infine, perché i poteri che sono da esso riconosciuti alla Regione sono da considerare ricompresi nel potere di concedere autorizzazioni in materia di credito, che lo Statuto regionale attribuisce alla Regione. Per questi motivi la difesa della Regione conclude chiedendo che la Corte costituzionale "previa pronunzia, se lo ritenga necessario, sulla legittimità costituzionale dell'art. 10 D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, dichiari la inammissibilità del ricorso per quanto concerne l'art. 5 della legge impugnata e respinga comunque tutti i motivi di esso".
9. - Con memorie depositate rispettivamente il 30 e il 29 aprile scorsi, tanto l'Avvocatura dello Stato, quanto la difesa della Regione, hanno svolto e illustrato gli argomenti esposti nelle relative deduzioni e controdeduzioni, insistendo segnatamente sui rapporti che intercorrono tra le norme statutarie e le norme di attuazione.
Le due difese hanno poi esposto oralmente le rispettive tesi alla pubblica udienza del 14 maggio 1958.
Considerato in diritto
1. - La difesa della Regione sarda ha fondato la legittimità della legge di cui si discute in primo luogo sulla norma contenuta nella lettera f dell'art. 3 dello Statuto. Sostiene, infatti, la difesa regionale che la denominazione "edilizia e urbanistica" che compare sotto quella lettera é tale, nella sua indeterminatezza, da consentire di ricomprendervi anche la cosiddetta edilizia popolare. Ma é una interpretazione che non può essere condivisa. L'urbanistica é quel complesso di norme che regola "l'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere" (legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 1), e che, snodandosi attraverso i piani territoriali di coordinamento (art. 5 e segg.), i piani regolatori generali (art. 7 e segg.), i piani regolatori particolareggiati (art. 13 e segg.) giunge, come a punto terminale, a disciplinare l'attività edilizia vera e propria (art. 31 e segg.), dettando anche le direttive alle quali si deve ispirare, nel campo della edilizia, la potestà regolamentare dei comuni (art. 33). Sicché l'edilizia, nel suo significato tradizionale di disciplina della costruzione e manutenzione degli edifici, al fine di tutelare l'incolumità, l'igiene e la sanità pubblica, la viabilità e il decoro cittadino (cfr. soprattutto R. D. 22 novembre 1937, n. 2015, convertito con modifiche in legge 25 aprile 1938, n. 710, e modificato dalla legge 25 agosto 1940, n. 1393), s'inserisce in massima parte nella materia dell'urbanistica e con questa, comunque, é strettamente legata.
L'edilizia popolare, invece, va intesa e così comunemente s'intende, come quel complesso di provvidenze che, sotto varia forma, perseguono il fine di agevolare la soddisfazione di uno dei bisogni fondamentali dell'individuo: quello dell'abitazione, che le vicende economiche e sociali, collegate o provocate dai due conflitti mondiali, hanno reso più acuto, e di tale natura da non consentire, di regola, all'individuo di soddisfarlo coi soli suoi mezzi.
2. - Del resto, la difesa regionale non insiste su questa tesi, ma ripiega sopra un'altra, che é poi quella, per dir così, ufficiale della Regione, che si é richiamata espressamente, nell'art. 1 della legge, alla lettera b dell'art. 4 dello Statuto. Secondo tale tesi, la legittimità della legge troverebbe fondamento nella facoltà legislativa riconosciuta alla Regione di istituire e ordinare gli enti di credito fondiario ed agrario, le casse di risparmio, le casse rurali, i monti frumentari e di pegno e le altre aziende di credito di carattere regionale. La difesa regionale non si richiama alla qualifica, che pur compare nella legge, dell'I.R.I.E. come di istituto di credito fondiario; e ben a ragione, perché tale non può essere definito un istituto che, come l'I.R.I.E., può svolgere, e con modalità per certi aspetti sostanzialmente diverse, una soltanto delle operazioni degli istituti di credito fondiario, e nemmeno istituzionale di questi, ma eventuale e accessoria, consentita soltanto da qualche anno da una legge del 1949 (3 luglio, n. 474) secondo la quale "gli istituti autorizzati all'esercizio del credito fondiario possono..., concedere... in deroga alle vigenti disposizioni legislative e statutarie, anche mutui destinati alla costruzione, ricostruzione, riparazione e sopraelevazione di edifici ad uso prevalente di abitazione non di lusso" (art. 3).
Perciò la difesa regionale sostiene che l'I.R.I.E. rientra tra le "altre aziende di credito di carattere regionale". Ma nemmeno questa tesi é fondata. Il carattere regionale di codeste aziende, all'esistenza del quale é subordinata la facoltà della Regione di istituirle e ordinarle con legge, non può essere riferito all'efficacia territoriale della loro attività: il limite territoriale é, ovviamente, di qualsiasi attività legislativa e amministrativa della Regione. Quel carattere regionale deve essere perciò ricercato altrove. Gli istituti o aziende di credito contemplate dalla norma contenuta nell'art. 4, lett. b, dello Statuto sono tutti quanti istituti o aziende con carattere specifico, che svolgono un'attività specializzata, e per le categorie di persone nel cui interesse operano, e per i fini particolari che perseguono. Ne consegue che anche le "altre" aziende di credito devono essere in egual modo caratterizzate, nel senso che la loro "regionalità", per dire così, deve ritrovarsi non soltanto nel limite territoriale di efficacia della loro attività, ma anche nel fine loro assegnato, che in tanto può qualificarsi regionale, in quanto il suo perseguimento sia affidato istituzionalmente alla Regione.
Ora il fine di promuovere ed agevolare l'edilizia popolare non é tra quelli riconosciuti alla Regione. La stessa difesa regionale non si é dissimulata la gravità di questa obiezione, ed ha fatto ricorso ancora una volta all'"edilizia" dell'art. 3, lett. f, dello Statuto, interpretando, ovviamente, il termine "edilizia" come comprensivo dell'edilizia popolare. Ma si é già visto che la facoltà di emanare norme in materia di edilizia, significa facoltà di "regolare" l'attività edilizia, non di "promuoverla" né, più precisamente, di istituire enti con lo scopo "di favorire mediante la concessione di mutui l'attività edilizia di tipo popolare" (art. 1 della legge impugnata).
Se così é, risulta, in primo luogo, che la norma contenuta nell'art. 10 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, secondo la quale "nulla é innovato per quanto riguarda la disciplina della edilizia economica e popolare e le agevolazioni disposte dallo Stato per favorirne lo sviluppo" non fa se non confermare le disposizioni statutarie, e, in secondo luogo, che non occorre esaminare le censure mosse dalla difesa dello Stato a singole disposizioni della legge regionale, che deve considerarsi in toto illegittima.
3. - La difesa della Regione non ha richiamato la norma contenuta nell'art. 5 dello Statuto, secondo la quale la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica emanando norme di integrazione e di attuazione, tra l'altro, anche in materia di "previdenza ed assistenza sociale" (lett. b). Se si accogliesse la tesi, che non manca di un certo fondamento, che la materia dell'edilizia popolare vada ricompresa sotto quella, appunto, della previdenza e assistenza sociale, la Regione avrebbe potuto emanare norme di attuazione ed integrazione delle disposizioni contenute nelle leggi statali. Ma anche a voler considerare questa ipotesi, le norme della legge impugnata non sono di tale tipo, perché innovano sostanzialmente nella legislazione statale in materia di edilizia popolare, in qualche punto modificandola, in altri sostituendo proprie norme a quelle statali, che occorrerebbe adattare e integrare, e soprattutto configurando un tipo e una forma di finanziamento che non trova riscontro nelle leggi dello Stato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
in accoglimento del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri:
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione sarda 18 maggio 1957, avente per oggetto "Costituzione dell'Istituto Regionale Incremento Edilizio (I.R.I.E.)", in riferimento agli artt. 3, lett, f, e 4, lett. b, dello Statuto per la Regione sarda.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1958.
Tomaso PERASSI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI
Depositata in cancelleria il 14 luglio 1958.