Sentenza n. 37 del 1958

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SENTENZA N. 37

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con ricorso notificato il 14 giugno 1957, depositato il 1 luglio 1957 nella cancelleria della Corte costituzionale ed iscritto al n. 13 del Registro ricorsi 1957, per conflitto di attribuzioni tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto del Ministro per la marina mercantile di concerto con il Ministro per le finanze in data 2 aprile 1957, col quale é stata dismessa dal demanio marittimo e trasferita ai beni patrimoniali dello Stato una zona di mq. 1.968,80 sita sulla costiera di Palermo e riportata nel catasto del Comune di Palermo al foglio 35 part. 597.

Udita nell'udienza pubblica del 26 marzo 1958 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi gli avv. Salvatore Orlando Cascio e Aldo Dedin per il ricorrente e il sostituto avvocato generale dello Stato Luigi Tavassi La Greca per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con decreto 2 aprile 1957 del Ministro per la marina mercantile di concerto col Ministro per le finanze, una zona di mq. 1.968,80 sita sulla costiera di Palermo e riportata nel catasto del Comune di Palermo al foglio 35, part. 597, é stata esclusa dal demanio marittimo e trasferita ai beni patrimoniali dello Stato (cfr. Gazzetta Ufficiale 17 aprile 1957, n. 100).

La Regione siciliana, ritenendo che lo Stato, così facendo, abbia esercitato poteri che non gli appartengono, perché propri della Regione ai sensi dell'art. 32 dello Statuto, con ricorso 14 giugno 1957 depositato in cancelleria il 1 luglio successivo, ha impugnato il citato decreto ministeriale a norma e per gli effetti dell'articolo 134 della Costituzione, 39 e 42 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 27 delle Norme integrative, e ha chiesto che la Corte costituzionale dichiari che il potere di disporre dei beni di demanio marittimo spetti costituzionalmente alla Regione e, in conseguenza, annulli il decreto impugnato.

A sostegno della sua richiesta la difesa della Regione afferma che dall'esame degli articoli 32, 33 e 34 dello Statuto regionale si ricava che "la generalità dei beni di proprietà pubblica e di proprietà privata dello Stato situati nella Regione" sono stati attribuiti o assegnati alla Regione nel loro complesso. In particolare questo sarebbe da dire dei beni pubblici e demaniali con la sola eccezione di quelli interessanti la difesa o servizi di carattere nazionale secondo la chiara formulazione dell'art. 32. Ora non vi può essere dubbio, prosegue la difesa della Regione, che nel demanio pubblico così trasferito alla Regione sia compreso il demanio marittimo: ne darebbero conferma dati legislativi (l'art. 14 dello Statuto sardo che esclude esplicitamente il passaggio alla Regione del demanio marittimo) e dati giurisprudenziali (una decisione dell'Alta Corte per la Sicilia 15 aprile - 5 agosto 1949 che ammise l'immediatezza e la generalità del trapasso alla Regione di tutti i beni di cui agli articoli 32, 33, 34 dello Statuto).

Né si potrebbe obiettare contro questa conclusione che la norma contenuta nell'art. 32 non sia ancora efficace per essere, come si dice, di natura direttiva. Codesta distinzione posta nei confronti di norme attributive di poteri non può essere richiamata nei confronti dell'art. 32 che regola in modo diretto e immediato, come si evince anche dalla lettera stessa degli articoli 32, 33 e 34, l'assegnazione alla Regione di beni e non di poteri.

Una remora all'immediato trapasso dei beni demaniali dallo Stato alla Regione non potrebbe ricavarsi nemmeno dall'eccezione posta dall'art. 32 per i beni che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale. Sostiene la difesa regionale che la volontà legislativa manifestata col precetto dell'art. 32 é completa e definitiva, anche se l'eccezione al precetto possa richiedere un'attività successiva per la concreta individuazione dei beni eccettuati dal trapasso: un'attività d'altra parte "di mero accertamento di discrezionalità tecniche, non amministrative", con effetti dichiarativi e non costitutivi.

L'immediato trasferimento dei beni, che la Regione ritiene dimostrato, comporterebbe per principio l'immediato trasferimento dei poteri relativi. Né potrebbe qui sostenersi che codesto trasferimento debba essere rinviato a un momento successivo a quello in cui saranno emanate le norme di attuazione dello Statuto e definito il passaggio di uffici e di personale dallo Stato alla Regione. Dice la difesa regionale che "una volta conferita costituzionalmente alla Regione la titolarità dei beni demaniali territoriali, la fase più o meno progredita della organizzazione dei suoi uffici e servizi non può influire sull'appartenenza dei poteri sui beni che le spettano". Se lo Stato continua o continuerà ad amministrare taluni di codesti beni, ciò avverrà "in virtù di una investitura transitoria del semplice esercizio del potere", la cui titolarità nello Stato é invece cessata. E codesta attribuzione transitoria non può che concretarsi nella conservazione dei beni e non può comportare misure di utilizzazione e disposizioni che esorbitino o anzi contrastino, come quella della quale é questione, col dovere della conservazione.

2. - La difesa dello Stato nelle sue deduzioni, depositate nella cancelleria di questa Corte il 4 luglio 1957, sostiene che la premessa sulla quale si fonda il ragionamento della difesa regionale non é esatta. Nessun bene del demanio marittimo sarebbe stato trasferito alla Regione in virtù dell'art. 32 dello Statuto, perché tutti i beni del demanio marittimo sarebbero da ricomprendere sotto l'eccezione posta dal medesimo art. 32, non potendosi con figurare in relazione ad essi esigenze puramente o prevalentemente locali. L'art. 14 dello Statuto sardo sarebbe stato male invocato dalla difesa regionale: in quell'articolo, lungi dal voler stabilire una differenza di regolamento tra le due isole, si volle rafforzare un principio già affermato per la Regione siciliana.

Da questo consegue che nessuna importanza hanno il richiamo agli articoli 33 e 34, che riflettono l'uno beni di specie diversa non facenti parte del demanio statale, l'altro le res nullius delle quali non fanno parte i beni del demanio marittimo, né la distinzione tra trapasso dei beni e trapasso di poteri, né la lettera dell'art. 33 dello Statuto. Viceversa occorrerebbe rilevare che mentre il passaggio della potestà legislativa dallo Stato alla Regione é avvenuto automaticamente con l'entrata in vigore dello Statuto, non altrettanto può dirsi delle funzioni amministrative ed esecutive per il cui passaggio si richiedono ulteriori disposizioni, come si ricava dall'VIII disposizione transitoria della Costituzione e dall'art. 43 dello Statuto siciliano e come é confermato da una serie di decreti che hanno regolato codesto passaggio. E da questa distinzione tra immediato passaggio dei poteri legislativi e non immediato passaggio dei poteri esecutivi ed amministrativi dovrebbe trarsi la conseguenza che, anche nell'ipotesi della fondatezza della tesi regionale, si dovrebbe ugualmente dichiarare l'infondatezza del ricorso.

3. - La difesa della Regione ha anche presentato una memoria, depositata il 13 marzo nella cancelleria della Corte. In questo scritto difensivo la Regione, ai fini di stabilire la differenza tra il caso in esame e quello della compilazione degli elenchi delle acque pubbliche, deciso con la sentenza 26 gennaio 1957, n. 6, di questa Corte, richiama l'attenzione sul fatto che il provvedimento impugnato non ha lo scopo di accertare che il bene interessi la difesa o altro servizio di interesse nazionale, ma parte, invece, dal presupposto contrario, che tale accertamento sia stato compiuto e si sia concluso col riconoscimento che il bene non é rilevante ai fini sopraindicati. Se é avvenuto il passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato, ciò significa, argomentando sulla base degli articoli 28, 34 e 35 del Codice della navigazione, che tale bene non é utilizzabile per i pubblici usi del mare e nemmeno per altri usi pubblici.

Di più, come ai sensi dell'art. 34 del Codice della navigazione un bene del demanio marittimo può essere posto dal Ministro per la marina mercantile nella disponibilità di un'altra amministrazione solo se ed in quanto e per il periodo di tempo in cui il bene può essere utilizzato per altro uso pubblico, sicché, cessata l'utilizzazione, l'amministrazione deve restituirlo al Ministero per la marina mercantile che solo può disporre il passaggio al patrimonio, così, analogamente, lo Stato, una volta cessata l'utilizzazione dei beni ai fini della difesa o per altri servizi di carattere nazionale, deve restituire tale bene alla Regione che sola può disporne il passaggio al patrimonio.

Quanto poi alla tesi che il demanio marittimo sia passato alla Regione soltanto in astratto e non in concreto, per il carattere direttivo della norma contenuta nell'art. 32, la difesa della Regione, che pure respinge questa tesi, sostiene, subordinatamente, che, in questo caso, la distinzione tra norme direttive e norme precettive opererebbe contro lo Stato; in quanto mentre é completo e di immediata attuazione il precetto che trasferisce il demanio marittimo alla Regione, tale non é l'eccezione relativa ai beni interessanti la difesa e i servizi di interesse nazionale, che dovrà essere completata, nell'interesse dello Stato, in base all'accertamento concreto della rilevanza dei beni stessi, accertamento che non potrebbe costituire in nessun caso esercizio di un potere discrezionale, ma concreterebbe un atto vincolato, con valore di mero accertamento e con effetti, in conseguenza, che retroagiscono al momento in cui é entrato in vigore l'art. 32.

Né, infine, avrebbe valore nella presente controversia il fatto che manchino tuttora le norme di attuazione relative al passaggio dei poteri amministrativi ed esecutivi. Non si avvertirebbe qui il bisogno di alcuna norma, dato che il potere di esclusione dei beni demaniali di enti diversi dallo Stato é regolato in via generale dall'art. 829 del Cod. civ., il cui secondo comma, dettato per i comuni e le province, non potrebbe non valere anche per le regioni. Comunque la inesistenza di un potere amministrativo ed esecutivo della Regione potrebbe condurre al riconoscimento del potere dello Stato di sostituirsi nell'esercizio delle competenze spettanti alla Regione, giammai al risorgere in favore dello Stato di competenze già trasferite alla Regione. Il che vorrebbe dire che lo Stato può operare il passaggio del bene dal demanio della Regione al patrimonio della Regione, e non già dal demanio dello Stato al patrimonio dello Stato.

4. - Anche la difesa dello Stato ha depositato, il 12 marzo 1958, una memoria nella quale ribadisce le proprie tesi difensive e insiste per il rigetto del ricorso.

Infine, nella pubblica udienza del 26 marzo 1958, tanto la difesa della Regione, quanto l'Avvocatura dello Stato hanno illustrato oralmente le tesi svolte nei rispettivi scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il quesito che la Corte deve risolvere preliminarmente, perché dalla sua risoluzione discende quella di tutti gli altri dibattuti nel presente conflitto di attribuzione, é quello posto dall'interpretazione dell'art. 32 dello Statuto per la Regione siciliana. Questo articolo stabilisce una regola e pone un'eccezione. La regola é che "i beni di demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche esistenti nella Regione, sono assegnati alla Regione"; l'eccezione, che da codesta assegnazione restano esclusi i beni "che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale".

Giova a una precisa interpretazione del sistema costruito con queste norme, sgombrare in primo luogo il campo della tesi che la difesa della Regione ha avanzata e secondo la quale, nel caso in esame, proprio lo Stato avrebbe accertata l'inesistenza di un suo particolare interesse relativamente al bene oggetto del decreto ministeriale impugnato, appunto mediante la sua esclusione dal demanio marittimo e il conseguente trasferimento al patrimonio disponibile. Ora, quel che forma oggetto principale della controversia non é già l'ulteriore destino dei beni demaniali, una volta accertata la cessazione della demanialità, ma l'appartenenza dei beni del demanio marittimo (e quindi la titolarità di relativi poteri amministrativi) allo Stato o alla Regione. E evidente che altra cosa é accertare la cessazione della demanialità di un bene, e altra cosa é affermare l'interesse dello Stato e quindi l'appartenenza ad esso di una categoria di beni demaniali o di singoli beni demaniali. Quando sia determinato quali beni del demanio marittimo rimangono di proprietà dello Stato e quali siano eventualmente assegnati alla Regione, Stato e Regione devono ritenersi proprietari dei beni di rispettiva spettanza con tutti i poteri inerenti a questo diritto, compreso quello di accertare la cessazione del carattere demaniale e il passaggio del bene al proprio patrimonio.

2. - Ma non é accoglibile nemmeno la tesi principale della difesa regionale. Sostiene questa che i beni del demanio marittimo rientrano nella regola posta dall'art. 32 dello Statuto per la Regione siciliana e devono perciò ritenersi assegnati alla Regione dal momento dell'entrata in vigore dello Statuto; nell'eccezione rientrerebbero soltanto singoli beni da individuare con accertamento meramente dichiarativo, dal quale esulerebbe ogni discrezionalità, che non sia tecnica, dell'amministrazione statale. Non occorre in questa sede risolvere il quesito se i beni demaniali si possano definire raccogliendoli sotto un unico concetto secondo certe loro caratteristiche obiettive, quale quella, ad esempio, di essere mezzo necessario di una funzione esclusiva di un ente pubblico territoriale, nel caso lo Stato; o se si debba, invece, considerare la qualifica di bene demaniale come discendente esclusivamente da una esplicita dichiarazione di una norma di legge. Tuttavia deve essere posto in rilievo che, nel caso presente, la determinazione del demanio statale nei confronti del demanio regionale é fatta dal legislatore sulla base di un criterio generale qual é appunto quello dell'interesse che per lo Stato codesti beni rappresentano ai fini della difesa nazionale o per assicurare servizi pubblici nazionali. Una determinazione, perciò, assai più ampia e comprensiva non soltanto di quella la quale muovesse da un elenco tassativo di beni, ma anche di quella che si fondasse sull'indicazione generica di beni "destinati" (come ad esempio le "opere destinate alla difesa", delle quali parla l'art. 822 del Cod. civ.), e non già "interessanti" la difesa o i servizi pubblici nazionali.

Ora é evidente che i beni del demanio marittimo siano prevalentemente di una specie siffatta. Il demanio marittimo non é una categoria astratta, ma il nomen di una precisa serie di beni quali risultano dall'art. 822 Cod. civ. (lido del mare, spiaggia, rade, porti) e dall'art. 28 del Codice per la navigazione (che a quei primi aggiunge lagune, foci di fiumi che sboccano in mare, bacini di acqua salsa o salmastra comunicanti liberamente col mare almeno parte dell'anno; canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo); e anche se non si vuole ritenere, come pure da taluno si ritiene, che i beni di demanio considerati dal primo comma dell'art. 822 del Cod. civ. (tra i quali sono quelli del demanio marittimo) postulino rigorosamente la necessaria ed esclusiva proprietà dello Stato, non può negarsi che, nei loro confronti, si configuri con particolare intensità l'interesse dello Stato, in relazione a finalità perseguibili soltanto da esso: difesa, polizia marittima, navigazione.

Tuttavia il trasferimento alla Regione siciliana di funzioni e di servizi, che al tempo delle classificazioni dell'art. 822 Cod. civ. e dell'art. 28 Cod. nav. erano riservati allo Stato, porta alla conseguenza che, dopo l'entrata in vigore dello Statuto, non possa escludersi l'esistenza di beni di demanio marittimo di spettanza della Regione, in quanto si tratti di beni che abbiano perduto quell'interesse per la difesa dello Stato e per i servizi di carattere nazionale, di cui fa parola l'art. 32 dello Statuto per la Regione siciliana. Ma la determinazione di questi beni assegnati alla Regione (che nel caso del demanio marittimo rappresenta l'eccezione dalla regola della proprietà pubblica statale), con le relative eventuali conseguenze finanziarie, non potrà essere fatta fino a quando non saranno delimitati gli interessi dello Stato rispetto a quelli della Regione. Sicché ne consegue che, finché questa delimitazione non abbia avuto luogo, nell'incertezza sugli eventuali beni del demanio marittimo regionale, il potere di disporre dei beni del demanio marittimo spetta soltanto allo Stato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando sul conflitto tra lo Stato e la Regione siciliana sollevato con ricorso della Regione 14 giugno 1957 contro il decreto del Ministro per la marina mercantile di concerto col Ministro per le finanze 2 aprile 1957, pubblicato in riassunto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 17 aprile 1957:

dichiara la competenza dello Stato a disporre dei beni del demanio marittimo fino a quando non sia individuato il demanio marittimo della Regione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI  - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1958.