ORDINANZA N. 48
ANNO 1957
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA,
ha pronunziato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 252 del Codice civile, approvato con R.D. 16 marzo 1942, n. 262, promosso con la ordinanza 15 maggio 1956 del Tribunale di Voghera emessa nel procedimento civile tra Bergomi Ornella e Francesi Ielma ved. Tartara, Tartara Marisa e Giuseppina, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 247 del 29 settembre 1956 ed iscritta al n. 297 del Reg. ord. 1956.
Vista la dichiarazione d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 13 marzo 1957 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;
uditi l'avv. Mario Vittorio Pelizza per Ornella Bergomi e il sostituto avvocato generale dello Stato Nicola Catalano per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Con ricorso 22-29 agosto 1955 la sig. na Ornella Bergomi chiedeva al Tribunale di Voghera di essere autorizzata a promuovere l'azione prevista dall'art. 269 Cod. civ., per far dichiarare che essa era figlia naturale del defunto Tartara Alessandro.
Dichiarata ammissibile l'azione, la Bergomi conveniva in giudizio davanti allo stesso Tribunale, con citazione 29 settembre-1 ottobre 1955, la vedova, la figlia legittima e la sorella del Tartara, le quali tutte rimanevano contumaci.
Nell'atto di citazione la Bergomi esponeva che, essendosi sciolto il matrimonio del Tartara in conseguenza della morte di lui, non poteva sussistere più ostacolo alle indagini sulla paternità naturale, in base al disposto del secondo comma dell'art. 250 del libro primo del Codice civile (testo separato approvato con R.D. 12 dicembre 1938, n. 1852, e in vigore dal 1 luglio 1939). In quanto alle modificazioni apportate alla disposizione nel testo approvato con R.D. 16 marzo 1942, n. 262, per la riunione e il coordinamento dei libri del Codice civile, esse dovevano considerarsi costituzionalmente illegittime.
Il Giudice istruttore, ritenuto che la questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla attrice fosse tale, che la sua decisione poteva definire il giudizio, rimetteva la causa al Collegio. E il Tribunale di Voghera, su conforme richiesta del Pubblico Ministero, pronunciava la ordinanza in data 15 maggio 1956, con la quale sospendeva il giudizio principale e rimetteva alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale.
L'ordinanza venne ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonché pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo (deduzioni 9 agosto 1956 e 15 gennaio 1957), in via pregiudiziale, l'esistenza di un difetto di presupposto del giudizio di legittimità costituzionale, tale da determinare la nullità del giudizio.
Osserva l'Avvocatura dello Stato che il Tribunale di Voghera non ha mai precisato quali fossero le norme della Costituzione che si assumono violate, né ha prospettato con esattezza quale fosse la questione costituzionale sottoposta alla Corte, di guisa che vi é assoluta incertezza circa i termini della questione medesima.
Sostiene inoltre l'Avvocatura dello Stato che il giudizio é inammissibile, perché non sussiste il presupposto che la causa principale non potesse essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale (art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87), in quanto l'art. 278, ultimo comma, del Codice civile (conforme al corrispondente art. 276, ultimo comma, del libro 1 pubblicato nel 1938) dichiara inammissibili le indagini sulla paternità e la maternità anche nei casi in cui per il terzo comma dell'art. 252 (o del 250 del 1 libro) sarebbe ammissibile il riconoscimento.
Nel merito si sostiene che, anche se si potesse prospettare l'ipotesi di una inosservanza dei limiti della legge di delega nel coordinamento dei diversi libri del Codice civile, il problema conseguente non potrebbe configurarsi come "questione costituzionale"; ma che, comunque, tali limiti non furono sorpassati, anzi l'art. 252 del testo unificato contiene le stesse sostanziali disposizioni dell'art. 250 del 1 libro pubblicato nel 1938, semplicemente con una formulazione più chiara.
La difesa dell'attrice Bergomi, al contrario, premesso che la fattispecie deve considerarsi disciplinata dalle disposizioni dell'art. 250 del 1 libro separato e non da quelle dell'art. 252 del testo unificato, sostiene che queste ultime contengono una profonda menomazione, non consentita al potere esecutivo, delegato a procedere ad un semplice coordinamento. Conseguentemente, si sarebbe verificato un eccesso di potere in sede di coordinamento e le modificazioni introdotte sarebbero illegittime e quindi anticostituzionali.
Nelle memorie illustrative l'Avvocatura generale e la difesa dell'attrice hanno ribadito le proprie argomentazioni, discutendo particolarmente le questioni concernenti l'estensione della competenza della Corte costituzionale nei riguardi sia della legittimità costituzionale di leggi anteriori alla Costituzione della Repubblica, sia della rispondenza di una legge delegata alla legge di delegazione, sia dell'accertamento della validità delle ordinanze, con la quale l'autorità giudiziaria ha proposto la questione di legittimità costituzionale.
Riguardo a quest'ultimo punto l'attrice afferma che non si può - in questa sede - scendere all'esame del tema della proponibilità o meno - alla stregua degli artt. 269 e 278 Cod. civ. - dell'azione di dichiarazione di paternità naturale da essa proposta, perché é il solo giudice di merito che deve procedere a codesta indagine, accertando se le varie circostanze di fatto poste nel giudizio di merito a fondamento dell'azione dichiarativa di paternità rientrino o meno entro la sfera di applicazione della norma denunciata come costituzionalmente illegittima.
L'Avvocatura dello Stato, invece, vedendo nella disposizione dell'art. 278 Cod. civ. un insuperabile ostacolo alla proposizione dell'azione, completamente sfuggito al Tribunale di Voghera, ribatte che il giudizio instaurato dalla Bergomi poteva e doveva essere definito subito mediante dichiarazione di inammissibilità dell'azione di essa proposta; e che da ciò deriva anche la inammissibilità del giudizio instaurato davanti alla Corte. Con che si ripropone anche in questa causa il quesito d'ordine generale, se la proposizione di una questione di legittimità costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio principale, attenga al merito della causa, come questione preliminare, e presupponga risolte le questioni pregiudiziali sui presupposti processuali soggettivi ed oggettivi e sulle condizioni dell'azione.
I patroni hanno illustrato alla pubblica udienza le argomentazioni esposte.
Considerato in diritto
La difesa dell'attrice Bergomi ha insistito, anche nel corso della discussione orale, nella tesi che la eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura generale dello Stato non potrebbe essere accolta, perché compete esclusivamente al giudice di merito, al quale in ogni caso deve essere rimessa la causa, valutare se la disposizione dell' art. 278 del Codice civile rendesse inammissibili le indagini sulla paternità nella specie, data la circostanza pacifica della esistenza di figli legittimi.
Di questa competenza del giudice di merito non é possibile dubitare; il dubbio verte invece sul punto, se il giudice stesso potesse riservare il giudizio sulla questione ad un momento successivo alla definizione della controversia di legittimità costituzionale, ovvero dovesse risolverla prima, e cioè al momento della proposizione di tale controversia, posto che l'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone che l'autorità giurisdizionale provvede alla sospensione del giudizio in corso ed alla trasmissione degli atti alla Corte costituzionale qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale.
Il Tribunale di Voghera ha pronunciato una elaborata ordinanza, nella quale sono ampiamente riferiti i termini della questione di legittimità costituzionale, anche con il sussidio di citazioni dottrinali; ma non si é proposto il quesito preliminare di cui si é detto sopra ed ha fatto una semplice menzione dell'art. 278 Cod. civ., del quale ha evidentemente tenuto presente il contenuto del solo primo comma, e non quello del secondo, di particolare importanza nella specie in riferimento al terzo comma dell'art. 252, che nell'ordinanza non é neppure menzionato.
Di conseguenza, si deve riconoscere che l'esame della rilevanza della soluzione della questione di legittimità costituzionale ai fini del giudizio principale e la dimostrazione che questo non poteva essere definito indipendentemente dalla risoluzione di tale questione non sono esaurienti. É noto, ma non é forse superfluo ricordarlo, che nel sistema adottato dalla Costituzione e dalle leggi successive il controllo della legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge affidato alla Corte costituzionale può essere esercitato solo in occasione e in funzione di un giudizio principale la cui proposizione presuppone la sussistenza di un interesse alla tutela giurisdizionale senza di che mancherebbe la causa giuridica valida e del processo principale e del processo costituzionale. E, se l'accertamento del presupposto é demandato alla competenza del giudice della controversia principale, la Corte costituzionale non può non esaminare preliminarmente se tale accertamento é stato esaurientemente compiuto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina che gli atti siano restituiti al Tribunale di Voghera.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 marzo 1957.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA
Depositata in cancelleria il 22 marzo 1957.