SENTENZA N. 29
ANNO 1957
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente
Dott. Gaetano AZZARITI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Mario BRACCI
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA,
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 125 T.U. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265, promosso con l'ordinanza 31 luglio 1956 del Pretore di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di Labate Luigi Riccardo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1956 ed iscritta al n. 263 del Reg. ord. 1956.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 28 novembre 1956 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Elio Vitucci per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
La questione di legittimità costituzionale, oggetto del presente giudizio promosso con l'ordinanza 31 luglio 1956 del Pretore di Reggio Calabria, notificata il 18 agosto 1956, comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, é stata sollevata dai difensori, con l'adesione del Pubblico Ministero, nel corso del procedimento penale a carico di Labate Luigi Riccardo, imputato della contravvenzione preveduta dall'art. 125 T.U. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265, modificato dalla legge 7 novembre 1942, n. 1528, per avere venduto, nella propria farmacia, "Amaro Giuliani sciroppo" a prezzo inferiore a quello indicato sull'etichetta, in Reggio Calabria il 29 febbraio 1956. Si assume, in proposito, che il divieto di vendere al pubblico specialità medicinali e determinati prodotti a prezzo diverso da quello segnato sull'etichetta, contenuto nel sesto comma del precisato art. 125, contrasterebbe con la norma dell'art. 41 della Costituzione, secondo la quale "l'iniziativa economica privata é libera" (primo comma) e "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana" (secondo comma).
In conseguenza, é stato chiesto, e il Pretore ha disposto, la sospensione del procedimento penale e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, perché decida sulla questione di legittimità ritenuta dalla su indicata ordinanza non manifestamente infondata, senza peraltro specificare i motivi.
Nel giudizio, in questa sede, l'imputato non si é costituito. Vi é stato, però, intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso come per legge (artt. 20 e 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87) dall'Avvocatura generale dello Stato; la quale sostiene che la norma denunciata é costituzionalmente legittima, perché l'art. 41 della Costituzione, avendo per oggetto la mera attività economica dei privati, non può riferirsi all'attività del farmacista, a carattere eminentemente professionale e il cui aspetto economico é del tutto secondario. Prosegue l'Avvocatura dello Stato: che l'obbligo di non vendere i medicinali se non al prezzo indicato nella tariffa (ovvero sulla etichetta) troverebbe la sua ragione d'essere nel presupposto che il farmacista non é un intermediario che agevola la circolazione dei beni nel modo che gli sembra più opportuno, ritraendo dalla sua capacità di commerciante il maggior lucro possibile, ma un professionista nella posizione privilegiata di colui che ha diritto di non aver concorrenti entro un certo perimetro ed entro un certo numero di abitanti (clienti potenziali). La norma impugnata tende a tutelare il pubblico sia da speculazioni esose nei casi di emergenza, sia dalle situazioni che potrebbero verificarsi in regime di libera concorrenza. Invero, ove fosse consentita la corsa al ribasso dei prezzi, ogni farmacista, per i prodotti che elabora, preferirebbe le materie prime meno costose e meno pure; ogni fabbricante di medicinali potrebbe mettersi per la stessa strada allo scopo di battere nella concorrenza l'altro fabbricante. Il risultato economico - commerciale d'un tale comportamento potrebbe apparire, a prima vista, favorevole; ma il risultato terapeutico di medicamenti creati per vincere il concorrente arrecherebbe nocumento non lieve alla salute dei cittadini, che invece la Repubblica tutela come fondamentale diritto dell'individuo e come interesse della stessa collettività.
Ma la norma denunciata sarebbe costituzionalmente legittima - sempre ad avviso dell'Avvocatura dello Stato - anche a voler inquadrare le vendita dei medicinali, ad opera del farmacista, tra le attività economiche contemplate nell'art. 41 della Costituzione. Infatti la norma ivi contenuta si propone lo scopo di armonizzare l'iniziativa economica privata, libera in via di principio, con l'utilità sociale ed il bene pubblico. Più precisamente: il secondo comma della disposizione pone alla libera iniziativa economica il limite di non contrastare l'utilità sociale e di non arrecar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; mentre il terzo comma assoggetta la stessa attività economica, pubblica e privata, a programmi e controlli idonei a indirizzarla e coordinarla a fini sociali.
Come si é detto, prosegue ancora l'Avvocatura dello Stato, con riferimento alla specie delittuosa che ha determinato l'ordinanza del Pretore, la vendita dei medicinali a prezzo più basso di quello di tariffa induce ad una situazione di pericolo per la sanità pubblica e per la stessa vita dei cittadini. E conclude non esservi dubbio che il divieto posto dall'art. 125 delle leggi sanitarie, in quanto diretto alla tutela della pubblica sanità, non contrasta, anzi é esplicitamente autorizzato dallo stesso art. 41 della Costituzione.
Considerato in diritto
L'organizzazione del servizio farmaceutico, se da un lato ha creato al farmacista concessionario di una farmacia una posizione di privilegio con l'eliminare la concorrenza entro determinati limiti demografici e territoriali; dall'altro, trattandosi di un servizio di pubblica necessità, ha imposto allo stesso farmacista l'obbligo di svolgere la sua attività con l'adempimento delle prescrizioni dalle leggi stabilite per questa particolare professione. Tra questi obblighi vi é il divieto, penalmente sanzionato, di vendere al pubblico specialità medicinali a prezzo diverso da quello segnato sull'etichetta, ai sensi dei commi sesto e ottavo dell'art. 125 T.U. delle leggi sanitarie, modificato dalla legge 7 novembre 1942, n. 1528.
Tale norma, nel prescrivere il prezzo d'imperio, persegue lo scopo di tutelare il pubblico sia da eventuali speculazioni, che potrebbero verificarsi in caso di emergenza con la rarefazione dei medicinali; sia da inconvenienti collegati al regime di libera concorrenza, che porterebbe al ribasso dei prezzi e, inevitabilmente, alla preparazione dei medicinali con materie prime meno costose, e perciò, con risultati terapeutici che potrebbero recare nocumento alla salute dei cittadini.
Così precisata la ratio del precitato art. 125, la norma ivi contenuta non può ricondursi nella sfera dell'art. 41 della Costituzione, che regola rapporti economici e, in modo particolare, la iniziativa economica privata; mentre risponde pienamente alla norma costituzionale dell'art. 32, che "tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività".
Ma la norma impugnata deve ritenersi costituzionale, anche se la vendita di medicinali fatta dal farmacista possa riportarsi tra le attività economiche considerate dall'art. 41 della Costituzione. Questa disposizione, invero, enuncia sul piano costituzionale la libertà economica nella sua fondamentale manifestazione di libertà di iniziativa economica e privata, che si traduce nella possibilità di indirizzare liberamente, secondo le proprie convenienze, la propria attività nel campo economico. A tale libertà la Costituzione pone il limite del pubblico interesse, in quanto l'iniziativa privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, intesa come conseguimento del bene comune.
Infine lo stesso Costituente autorizza di stabilire legislativamente programmi e controlli, allo scopo di indirizzare e coordinare l'attività economica ai fini sociali. L'iniziativa economica privata viene così subordinata alle esigenze generali e sociali determinate dalla legge.
Ciò posto, la fattispecie legale del citato art. 125, col comando di non vendere medicinali a prezzo diverso da quello indicato sull'etichetta, precisa che oggetto della tutela penale é la salute della collettività, che potrebbe essere insidiata, come si é detto, dalla vendita di medicinali a prezzo più basso di quello fissato.
Pertanto non é a dubitare, che il divieto contenuto nell'articolo 125 delle leggi sanitarie non é in contrasto con la norma costituzionale dell'art. 41 e, nelle sue finalità, é pienamente legittimato, come si é detto, dalla disposizione dell'art. 32 della stessa Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione proposta con l'ordinanza del Pretore di Reggio Calabria in data 31 luglio 1956 sulla legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 125, sesto e ottavo comma, del T.U. leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, e modificato con la legge 7 novembre 1942, n. 1528, in riferimento alla norma dell'art. 41 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1957.
Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA
Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.