SENTENZA N. 2
ANNO 1957
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente
Dott. Gaetano AZZARITI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Mario BRACCI
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA,
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 156 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e degli artt. 285 e 286 del regolamento, promossi con le seguenti ordinanze:
1) Ordinanza 9 febbraio 1956 del Pretore di Regalbuto nel procedimento penale a carico di Russo Michele, Monaco Natale, Milici Giuseppe, Stella Francesco, Milici Carmelo, Picardi Antonino, Privitera Prospero, Gulisano Prospero, Spampinato Vito, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 30 marzo 1956 ed iscritta al n. 47 del Reg. ord. 1956;
2) Ordinanza 30 marzo 1956 del Pretore di Soave nel procedimento penale a carico di Maistrello Marino, Schio Luigi, De Battisti Livio e Tomello Alfredo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 141 del 9 giugno 1956 ed iscritta al n. 183 del Reg. ord. 1956.
Udita nell'udienza pubblica del 10 ottobre 1956 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Dario Foligno per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
La questione di legittimità costituzionale, che forma oggetto dei due giudizi promossi con le ordinanze sopra indicate, é unica, e fu sollevata nel corso di due procedimenti penali per trasgressione al precetto dell'art. 156 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, per avere gli imputati effettuato raccolta di fondi - alcune per il giornale "Avanti" ed altre per il giornale "Unità" - senza essere muniti della prescritta autorizzazione.
Dinanzi al Pretore di Regalbuto la questione fu sollevata dal Pubblico Ministero, per il motivo che le disposizioni contenute nell'art. 156 della legge di pubblica sicurezza, e quindi anche quelle contenute negli artt. 285 e 286 del relativo regolamento, sarebbero in contrasto con le norme contenute negli artt. 17, 18, 19, 21, 33, 35, 39, 45 e 49 della Costituzione. Dinanzi al Pretore di Soave la questione fu sollevata dalla difesa degli imputati, la quale eccepì che l'art. 156 della legge di pubblica sicurezza, se applicato alla ipotesi di raccolta di fondi effettuata da un partito politico per lo svolgimento della propria attività, verrebbe a trovarsi in contrasto "con la lettera e lo spirito della Costituzione della Repubblica e in particolare con gli artt. 21 e 49 di essa".
Con le due ordinanze sopra indicate fu disposta la sospensione dei procedimenti penali e la trasmissione degli atti a questa Corte, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
In quella del Pretore di Regalbuto i termini e i motivi dell'istanza con cui fu sollevata la questione di legittimità costituzionale vengono cosi riferiti:
1) Lo svolgimento di qualsiasi attività, il cui libero esercizio sia garantito dalla Costituzione, sarebbe praticamente impossibile senza la disponibilità di mezzi economici adeguati. E, dal punto di vista della morale, non sembra condannabile l'operato di coloro che, con contributi economici individuali anche modestissimi, riuniscano le proprie forze per perseguire un fine lecito. Poiché però non tutte le attività consentite dalla Costituzione perseguono scopi patriottici o scientifici ovvero di beneficenza o di sollievo da pubblici infortuni, la raccolta di fondi, per molte di esse, non potrebbe essere effettuata nemmeno con la autorizzazione del questore;
2) Il sindacato preventivo e l'ampiezza dei poteri discrezionali attribuiti all'autorità di pubblica sicurezza circa i fini cui é diretta qualsiasi raccolta di fondi, potrebbe dar modo al Governo di consentire, attraverso le questure, solo determinate raccolte, e di vietarne altre, dirette ai fini leciti ma non graditi al potere esecutivo. Determinate raccolte, anche se formalmente consentite, potrebbero poi concretamente essere ostacolate, ove i questori si avvalessero del potere ad essi consentito dall'art. 286 del regolamento di pubblica sicurezza, di subordinare cioè il rilascio della licenza al versamento di congrua cauzione;
3) Prevedendo che anche le raccolte di fondi effettuate a mezzo della stampa siano soggette alla preventiva licenza del questore, l'art. 156 della legge di pubblica sicurezza consentirebbe alla autorità di polizia un controllo preventivo su tutto quanto può formare, in materia, oggetto di pubblicazione: tale articolo si troverebbe perciò in particolare antinomia con l'art. 21 della Costituzione, secondo cui la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Nell'ordinanza del Pretore di Soave, viene osservato che la dedotta questione di legittimità costituzionale dell'art. 156 della legge di pubblica sicurezza non può dirsi manifestamente infondata in quanto i diritti garantiti dalla Costituzione, di riunirsi in associazioni politiche (art. 49) e di manifestare attraverso la stampa il proprio pensiero (art. 21), difficilmente potrebbero essere esercitati se partiti politici e stampa non godessero di una notevole libertà nel procurarsi i mezzi economici necessari alla loro attività; e il frequente ricorso alle raccolte di fondi fra gli iscritti e i simpatizzanti in favore di partiti e giornali politici dimostrerebbero appunto l'esistenza di una convinzione ormai diffusa circa la liceità di un simile mezzo di finanziamento.
Le due ordinanze sono state regolarmente notificate e comunicate ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
Non vi é stata costituzione delle parti, ma é intervenuto, in entrambi i giudizi, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, il quale ha eccepito:
in linea principale, che l'eventuale incompatibilità tra norme della Costituzione e norme anteriori alla Costituzione non dà luogo a questione di legittimità costituzionale, ma può portare soltanto alla conseguenza che le norme anteriori debbano ritenersi abrogate dalla Costituzione, ai sensi dell'art. 15 delle preleggi: ciò che deve essere accertato dal giudice dei rapporti e delle situazioni e non dal supremo giudice delle leggi;
subordinatamente, nel merito, che le norme della legge e del regolamento di pubblica sicurezza in tema di questua e colletta hanno scopo ed oggetto del tutto diversi da quelli delle norme della Costituzione che si riferiscono alla libertà di pensiero, di culto, di insegnamento, di associazione, ecc. , e che perciò non é configurabile alcun contrasto fra le prime norme e le seconde; che sarebbe arbitrario desumere, per astrazione, dalle norme costituzionali che consentono il libero esercizio di determinate attività, l'esistenza di un'altra norma, implicita, che consenta di reperire liberamente i mezzi economici necessari a chi intenda svolgere alcuna di quelle attività; che comunque il concreto esercizio dei diritti che costituiscono lo status libertatis, attributo della personalità umana, può e deve essere disciplinato dalla legge ordinaria, per la tutela dei corrispondenti diritti delle altre persone.
Le predette considerazioni sono state ribadite dal rappresentante dell'Avvocatura dello Stato nella discussione orale.
Il Presidente, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 15 delle Norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte, ha disposto che le due cause promosse con le sopra indicate ordinanze e chiamate alla stessa udienza siano congiuntamente discusse.
Considerato in diritto
La Corte ha ravvisato l'opportunità della riunione delle due cause per la loro decisione con unica sentenza, dato che identico é, in sostanza, l'oggetto della questione di legittimità costituzionale che é stata sollevata.
É innanzi tutto da respingere la eccezione preliminare sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato circa la competenza della Corte costituzionale a giudicare della legittimità delle leggi anteriori alla Costituzione. Su tale questione si é già pronunciata questa Corte con la sentenza n. 1 del 1956.
Nel merito é da rilevare che non sussiste il contrasto fra l'art. 156 del T.U. delle leggi di p.s. (nonché fra gli artt. 285 e 286 del relativo regolamento) e gli artt. 17, 18, 19, 21, 33, 35, 39, 45 e 49 della Costituzione. I predetti articoli della Costituzione riguardano in genere tutti i diritti di libertà: libertà di riunione, di associazione, di fede religiosa, di parola e di stampa, libertà di arte, di scienza e di insegnamento, libertà del lavoro, di organizzazione sindacale, di cooperazione a carattere di mutualità, di associazione in partiti. La mancanza di una norma che possa dirsi specificamente in contrasto con l'art. 156 appare manifesta dalla stessa genericità del riferimento a tutto il complesso dei diritti di libertà, e, per quanto riguarda l'ordinanza del Pretore di Soave, anche dal vago richiamo allo spirito della Costituzione.
La libertà che é tutelata dalle invocate norme della Costituzione non può, come é ben noto, nelle varie sue manifestazioni, svolgersi senza limiti e controlli. La dichiarazione stessa dei diritti di libertà implica, per sua natura, in senso giuridico, anche posizione di limiti, cioè determinazione della sfera di azione dei vari soggetti entro condizioni tali che ne risulti garantito lo svolgimento della libertà di tutti. L'art. 156 del T.U. delle leggi di p.s., e insieme con esso i citati articoli del regolamento, sono appunto norme che l'ordinamento giuridico pone per la delimitazione, e quindi per l'ordinato e pacifico svolgimento, dei diritti di libertà. Esse tendono ad evitare le molestie, le velate e fastidiose coercizioni, e talvolta anche le frodi che possono verificarsi in occasione della pubblica raccolta di fondi. E ciò col sottoporre le collette e le questue al controllo dell'autorità di p.s., mediante l'obbligo della licenza, e col determinare i casi in cui la licenza può essere concessa.
Né é da accogliere il criterio riferito nell'ordinanza per il quale l'art. 156 sarebbe incostituzionale in quanto l'esercizio dei diritti sanciti dalla Costituzione non sarebbe praticamente possibile senza mezzi economici adeguati, onde la necessità che ai citati diritti sia logicamente connesso il diritto di reperire i mezzi per il loro esercizio.
Dalla esistenza delle norme costituzionali che garantiscono determinati diritti del cittadino non é dato desumere, per astrazione, la esistenza correlativa di altra norma, implicita, che consenta la libera e incondizionata raccolta dei fondi necessari al loro esercizio; e, in secondo luogo, é da considerare che l'art. 156 non vieta la raccolta dei fondi in sé e per sé, ma soltanto ne disciplina e regola i modi, determinando limiti e condizioni, ritenuti necessari per garantire, appunto, altre esigenze non meno rilevanti della vita individuale e sociale.
Merita tuttavia considerazione il rilievo che le pubbliche raccolte di fondi possono essere ispirate a fini socialmente apprezzabili, e che esse si sono storicamente affermate, e vanno di fatto affermandosi, come mezzo per procurare alle manifestazioni del pensiero e dell'azione politica e sociale i fondi necessari al loro svolgimento, mediante la stampa e altri organi di diffusione. Sotto questo aspetto, pertanto, l'art. 156, con le categorie a cui riduce la possibilità della licenza, potrebbe apparire una non adeguata tutela di quelle esigenze della vita democratica che, per loro natura, importano il confluire di energie e mezzi di carattere collettivo. Ma ciò non dà luogo a contrasto fra l'art. 156 e le norme della Costituzione relative ai diritti di libertà, né, quindi, alla illegittimità costituzionale del predetto articolo. Tratterebbesi, se mai, di una deficienza, che soltanto i competenti organi legislativi potrebbero indursi a rimuovere, entro gli opportuni limiti e tenendo conto di tutte le altre necessità sociali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando con unica sentenza sui due procedimenti riuniti indicati in epigrafe:
respinge la eccezione di incompetenza sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato;
dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alle norme contenute nell'art. 156 del T.U. delle leggi di p.s., approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (e negli artt. 285 e 286 del regolamento) in riferimento agli artt. 17, 18, 19, 21, 33, 39, 45 e 49 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1957.
Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Mario BRACCI – Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA
Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.