INCONTRO CON STAMPA DEL
PRESIDENTE GUSTAVO ZAGREBELSKY
Palazzo della Consulta, 2 aprile
2004
Osservazioni generali
I. Il giudizio sulle
leggi
1. Il giudizio in via incidentale
1.1. Considerazioni introduttive
1.2. La nozione di “giudice”
e di “giudizio”
1.3. Rapporto tra
giudizio di costituzionalità e giudizio a quo
1.4. Il carattere concreto del
giudizio incidentale. La rilevanza
1.5. La non manifesta infondatezza
1.6. La
determinazione del thema decidendum da parte del giudice a quo
1.7. L’oggetto del giudizio.
Il trasferimento della questione
1.8. Il parametro del giudizio
1.9. L’intervento
dei terzi nel giudizio incidentale
1.10. Ambito delle conoscenze
acquisibili dalla Corte
1.11. Interpretazione conforme a
Costituzione, diritto vivente, potere interpretativo dei giudici
1.12. Le decisioni interpretative di
rigetto
1.13. Le decisioni di accoglimento, le decisioni manipolative,
l’inammissibilità per discrezionalità del legislatore,
l’illegittimità consequenziale
1.14. Moniti al legislatore
1.15. La
restituzione degli atti al giudice a quo
1.16. Il giudicato costituzionale
2. Il giudizio in via principale
2.1. Considerazioni introduttive; il
sopravvenire del nuovo Titolo V
2.2. L’impugnativa di
“leggi statutarie” delle regioni speciali
2.3. La “scissione dei
ricorsi”
2.4. I soggetti ricorrenti
2.5. L’intervento dei terzi nel
giudizio principale
2.6. La genericità
e la sufficienza del ricorso
2.7. L’impugnazione di
un’intera legge
2.8. La determinazione
dell’oggetto del ricorso nella delibera del Consiglio dei ministri
2.9. Il parametro del giudizio
2.10. La “parità delle
armi” tra Stato e regioni dopo la riforma del Titolo V
2.11. Il permanere del peculiare
meccanismo di impugnazione delle leggi regionali
siciliane
2.12. Le ordinanze di cessazione della
materia del contendere e di estinzione del giudizio
2.13. Altri tipi di decisione nel
giudizio principale
II. Gli altri giudizi
1. Il conflitto di
attribuzioni tra Stato e regioni
1.
Considerazioni
introduttive
1.2. Il profilo soggettivo
1.3. Il profilo oggettivo:
l’atto lesivo
1.4. La definizione del giudizio
2. Il conflitto di
attribuzioni tra poteri dello Stato
2.1. Considerazioni introduttive
2.2. La fase di delibazione
2.3. I profili soggettivi
2.4. I profili oggettivi: in
particolare, il conflitto su atti legislativi
2.5. Aspetti processuali
2.6. Il problema
della riproponibilità del conflitto già dichiarato improcedibile
3. L’ammissibilità del
referendum abrogativo
3.1. La partecipazione al giudizio di ammissibilità del referendum
3.2. I requisiti attinenti alla
formulazione del quesito
III. Il contenuto delle decisioni
1. Le fonti del diritto
1.1. Leggi retroattive e di interpretazione autentica
1.2. Leggi provvedimento
1.3. Decreti-legge
1.4. Leggi di delegazione e decreti
legislativi
1.5. Norme di attuazione
degli statuti speciali
1.6. Regolamenti statali
1.7. Diritto comunitario
1.8. Diritto internazionale
1.9. Aspetti di drafting
dei testi normativi
2.
Diritti e doveri dei cittadini
2.1. Il principio di
eguaglianza
2.2 Diritti inviolabili
2.3. Libertà personale
2.4. Autonomia dei privati
2.5. Libertà religiosa
2.6. Libertà di informazione
2.7. Prestazioni patrimoniali
imposte
2.8. Diritto di azione
e di difesa. Giusto processo
2.9. Pene e misure di sicurezza.
2.10. Tutela della famiglia, della
maternità e del minore
2.11. Tutela della salute
2.12. Diritto al lavoro e giusta
retribuzione
2.13. Previdenza e assistenza
2.14. Iniziativa economica privata
2.15. Proprietà
2.16. Accesso alle cariche elettive
2.17. Voto degli italiani
all’estero
2.18. Tributi
2.
Ordinamento della Repubblica
3.1. Il parlamento
3.2. La necessità di copertura
finanziaria (art. 81, comma 4, Cost.)
3.3. Pubblica amministrazione e pubblico impiego (art. 97 Cost.)
3.4. Consiglio superiore della
magistratura
4. La riforma del Titolo V
4.1. Considerazioni introduttive
4.2. L’autonomia statutaria
4.3. Gli organi della regione
4.4. La potestà legislativa
regionale
4.4.1. La
possibilità per lo Stato di attrarre competenze legislative al di fuori
dell’art.117, comma
4.4.2 Rapporti tra legge statale e legge regionale
4.4.3. La definizione delle materie:
aspetti generali
4.4.4. La definizione delle materie:
l’art.117, comma 2
4.4.5. La potestà
legislativa concorrente (art.117, comma 3)
4.4.6. La potestà
legislativa regionale residuale (art.117, comma 4)
4.4.7. Le competenze delle regioni a
statuto speciale (art.10 legge cost. 3/2001)
4.4.8. Diritto comunitario e
competenze regionali
4.4.9. Regolamenti governativi e
competenze regionali (art.117, comma 6)
4.4.10. Il potere
estero (art.117, comma 9)
4.4.11. Le funzioni amministrative
4.4.12. L’autonomia
finanziaria
4.4.13. Il potere sostitutivo
4.4.14. Le modifiche territoriali
La giustizia costituzionale nel 2003
Osservazioni generali
Nel corso del 2003
In un solo caso (sentenza 116) si
riscontra la mancata coincidenza tra giudice relatore e giudice
redattore della pronuncia.
Le decisioni hanno riguardato per il
65,18% giudizi in via incidentale, per il 14,92% giudizi in via principale, per
il 6,02% conflitti tra Stato e regioni, per l’11,51% conflitti tra poteri
dello Stato, per l’1,57% giudizi di ammissibilità
del referendum abrogativo. Tre ordinanze sono di correzione di
errori materiali.
Lo spazio assunto dal giudizio
principale risulta più evidente considerando
esclusivamente il numero delle sentenze. Infatti, su
un totale di 134 sentenze, il 40,29% è emesso nel giudizio incidentale, il
35,92% nel giudizio principale, il 13,43% nei conflitti tra Stato e regioni, il
5,22% nei conflitti tra poteri dello Stato, il 4,47% nel giudizio
sull’ammissibilità del referendum abrogativo.
Comparando questi dati con quelli
degli ultimi anni risulta che, in un contesto
caratterizzato dalla diminuzione del numero totale delle pronunce (erano state
471 nel 1999, 592 nel 2000, 447 nel 2001, 535 nel 2002), il rapporto tra
ordinanze e sentenze, pur rimanendo in linea con la tendenza, presente fin
dalla metà degli anni ’90, alla progressiva riduzione del numero delle
sentenze (nel triennio 1999-2001 le sentenze hanno costituito il 31,85% del
totale delle decisioni, mentre nel 2002 sono state il 25,23%), vede una netta
ripresa della percentuale delle sentenze, che non pare imputabile al giudizio
incidentale (nel cui ambito le sentenze rappresentano nel 2003 il 21,68%, a
fronte di una media del triennio 1999-2001 del 24,37% e del 20% nel 2002).
L’incremento percentuale delle
sentenze si collega essenzialmente alla riduzione del peso del giudizio
incidentale, e alla crescita di quello degli “altri giudizi”, nel
cui ambito la quasi totalità delle pronunce è rappresentata da sentenze.
Anche qui, può aiutare una comparazione
diacronica.
Le pronunce emesse nel giudizio
incidentale, limitandosi a considerare i dati successivi al periodo del c.d.
“smaltimento dell’arretrato” (seconda metà degli anni
’80), hanno oscillato, nel periodo 1987-2001, tra il 76,84% (nel 1988) e
il 90,04% (nel 1987), rappresentando mediamente oltre i 4/5 di tutte le
decisioni della Corte (l’84,29% nel 2002). Nel giudizio principale, la percentuale media è stata del 7,17%,
con oscillazioni che vanno dal 2,76% del 1998 all’11,14% del 1988, mentre
nel 2002 ci si è attestati sul 5,6%. Quanto ai conflitti Stato-regioni, anche qui, a fronte di una media di circa il
5% si sono registrate notevoli oscillazioni, dal 2,19% del 2000 all’11,06% del 1988 (il 2,24% nel 2002). Circa i
conflitti tra poteri, la media di tutto il periodo è intorno al 6%, ma si
registra una crescita pressoché costante (8% nel triennio 1999-2001, 7,28% nel
2002). Le percentuali riguardanti le pronunce
sull’ammissibilità del referendum abrogativo sono meno facilmente
inquadrabili in tendenze della giustizia costituzionale, dipendendo da vicende
politiche, ciascuna delle quali presenta caratteri a sé.
L’attività della Corte nel
corso del 2003 è stata quindi dedicata, per larga parte, al contenzioso Stato-regioni (cui si riferisce quasi il 50% delle
sentenze, se si sommano i dati del giudizio principale e del conflitto tra
enti). Tra le due grandi funzioni che caratterizzano gli organi della giustizia
costituzionale (e che ne hanno connotato, storicamente, l’origine), ovvero quella di arbitraggio della ripartizione delle
competenze e quella di difesa costituzionale delle libertà, prevale, forse per
la prima volta nella storia della Corte costituzionale italiana, la funzione
arbitrale.
Il merito delle decisioni rispecchia
pienamente il grande rilievo, anche qualitativo,
assunto dal giudizio sui rapporti tra Stato e regioni.
Infatti, come si vedrà, le pronunce relative ai “diritti e doveri dei cittadini”,
che sono prevalentemente, anche se non esclusivamente, conseguenza del giudizio
incidentale, tendono a collocarsi nella linea di sviluppo di giurisprudenza
sperimentata e consolidata.
È il campo dei rapporti Stato-regioni quello in cui si possono rintracciare le
maggiori novità. La riforma del Titolo V, realizzata con la legge
costituzionale 3/2001, ha messo
Nel corso del 2002 la maggior parte
delle decisioni in questo settore aveva riguardato ricorsi promossi nella
vigenza del vecchio Titolo V, o problemi di diritto intertemporale, collegati
al sopravvenire del nuovo parametro costituzionale, in assenza, tra
l’altro, di disposizioni transitorie. Ė invece nel 2003 che si
affronta decisamente il merito delle questioni.
Definendo il riparto delle competenze, peraltro,
Quanto alle questioni pervenute alla
Corte nel corso del 2003, si tratta di ben 1196 ordinanze che promuovono
giudizi incidentali, di 98 ricorsi in via principale, di 15 ricorsi che
promuovono conflitti tra enti, di 22 ricorsi che promuovono conflitti tra
poteri dello Stato (cui vanno aggiunti 26 ricorsi ancora da delibare in sede di
giudizio di ammissibilità) e di un giudizio di
ammissibilità di referendum abrogativo. Un esame delle ordinanze di rimessione mostra, peraltro, che la maggior parte (ben il
56,35%, pari a 674 ordinanze) pone questioni relative alla
nuova disciplina dell’immigrazione, spesso identiche. Il 13,55% delle
questioni, inoltre, riguarda il processo penale e il 5,43% il
nuovo codice della strada. Volendo, su tale base, allungare uno sguardo
prospettico sul 2004, pertanto, pare di poter affermare che anche
nell’anno in corso la maggior parte dell’attività della Corte sarà
dedicata alla definizione dei rapporti Stato-regioni,
in piena continuità con quanto avvenuto nel 2003.
I. Il giudizio
sulle leggi
1. Il giudizio in via incidentale
1.1. Considerazioni introduttive
Nel 2003
Si tratta della cifra più bassa mai
riscontrata. Come si è detto, nel periodo 1987-2001, esse hanno
oscillato tra il 76,84% (nel 1988) e il 90,04% (nel 1987), rappresentando
mediamente oltre i 4/5 di tutte le decisioni della Corte (l’84,29% nel
2002).
54 sono sentenze (pari al 21,68%), mentre 195 sono ordinanze (78,32%). I dati
confermano la tendenza alla riduzione del numero delle sentenze rispetto a
quello delle ordinanze presente ormai dalla metà degli
anni ‘90: ad esempio nel triennio 1999-2001 nel giudizio incidentale
soltanto il 24,37% delle decisioni ha assunto la forma della sentenza (con un picco
negativo nel 2001, ove si è scesi sotto la soglia del 20%). Sempre più
frequenti sono le ordinanze che affrontano nel merito questioni sollevate per
la prima volta, esaminate in camera di consiglio in assenza di parti
costituite, dichiarandone, con ampiezza di argomentazioni,
la manifesta infondatezza.
Merita di sottolineare
che persiste, in alcuni casi, un fenomeno già riscontrato in passato, ovvero il
ritardo, a volte enorme, con il quale i giudici, specie quelli tributari,
trasmettono le ordinanze alla Corte: nella questione decisa con
l’ordinanza 57, l’ordinanza di rimessione,
emessa il 4 maggio del 1994, è stata trasmessa soltanto nel 2002! A differenza
di quanto accaduto in altre occasioni, in questo caso
1.2. La nozione di
“giudice” e di “giudizio”
A proposito della legittimazione a
sollevare questioni di costituzionalità, nel corso del 2003 meritano
segnalazione le questioni proposte da un notaio e da un consiglio comunale. La
questione sollevata da un notaio, chiamato a redigere un atto pubblico di
donazione, è stata dichiarata inammissibile per la impossibilità
di ricondurre la funzione notarile alla giurisdizione, in quanto è da essa
assente quella connotazione decisoria che è
condizione necessaria, pur se non sufficiente, per riconoscere la natura
giurisdizionale della funzione. In tale occasione
1.3. Rapporto tra giudizio di
costituzionalità e giudizio a quo
L’autonomia del giudizio di
costituzionalità dal giudizio a quo, prevista dall’art.22 delle norme integrative, è stata ribadita
nell’ordinanza 270: “il giudizio di legittimità costituzionale, una
volta iniziato in seguito ad ordinanza di rinvio del giudice a quo, non
è suscettibile di essere influenzato da successive vicende di fatto concernenti
il rapporto dedotto nel processo che lo ha occasionato”.
1.4. Il carattere concreto del
giudizio incidentale. La rilevanza
Rigoroso è il controllo della Corte
sulla motivazione dell’ordinanza di rimessione, al fine di difendere il carattere incidentale
del giudizio e la sua natura concreta. Così, è stata dichiarata manifestamente
inammissibile la questione che “esaurisce immediatamente il petitum del processo principale”, in quanto
“la questione di legittimità costituzionale si presenta, …
impropriamente, come azione diretta contro la norma censurata, in quanto
l'eventuale pronunzia di accoglimento di questa Corte
verrebbe a concretare di per sé e ad esaurire la tutela richiesta nel giudizio
principale al rimettente, non essendo possibile individuare, una volta venuta
meno la norma censurata, quale provvedimento ulteriore dovrebbe essere emesso
dal giudice a quo per realizzare la tutela della situazione giuridica
fatta valere dal ricorrente”. La questione, pertanto, è stata ritenuta carente del carattere di incidentalità,
“il quale necessariamente presuppone che il petitum
del giudizio, nel corso del quale viene sollevata la questione, non coincida
con la proposizione della questione stessa” (ordinanza 175).
Numerose sono le ordinanze di
manifesta inammissibilità per insufficiente motivazione sulla rilevanza
(riguardanti, in diversi casi, la “scarsa chiarezza e incompletezza nella
descrizione della fattispecie”: tra le molte, v. ad esempio
l’ordinanza 305). Rientra in questa ipotesi la
omessa considerazione, da parte del giudice, di norme che abbiano inciso su
quella impugnata (ordinanza 40), eventualmente abrogandola (ordinanza 144).
In altri casi,
1.5. La non manifesta infondatezza
Quanto alla non manifesta
infondatezza, è stata ribadita la necessità di una autonoma
motivazione in proposito, con la conseguente inammissibilità di questioni
motivate per relationem ad altre ordinanze che
sollevano la stessa questione (ordinanze 60 e 335) o attraverso il mero
richiamo all’eccezione svolta da una parte (ordinanze 66 e 118).
1.6. La determinazione del thema decidendum
da parte del giudice a quo
Il giudice deve indicare in maniera
univoca e chiara la questione sollevata, facendo propria una scelta
interpretativa: questioni perplesse, ancipiti, prospettate
in forma alternativa, sono state dichiarate inammissibili (ordinanze 34, 128,
159 e 299). “Il generico richiamo, nell'ordinanza di rimessione,
a norme collegate da dichiarare incostituzionali, senza possibilità di
individuarle sulla base dell'ordinanza stessa, comporta l'inammissibilità della
questione, dal momento che tale individuazione
costituisce il veicolo obbligato di accesso al giudizio di
costituzionalità” (ordinanza 85).
1.7. L’oggetto del giudizio.
Il trasferimento della questione
Quanto all’oggetto del
giudizio,
In un caso in cui il vizio
denunciato derivava non dalla norma, ma da sue modalità applicative, contenute
in norme subprimarie, sottratte al controllo della Corte, ma sindacabili dal giudice competente per il merito,
la questione è stata dichiarata non fondata (sentenza 105).
In alcuni casi
Peraltro,
1.8. Il parametro del giudizio
Circa la determinazione del
parametro del giudizio, non si registrano novità. È da segnalare un accenno relativo alla possibilità di invocare a parametro, nel
giudizio incidentale, norme comunitarie.
1.9. L’intervento dei terzi
nel giudizio incidentale
Circa i poteri delle parti,
1.10. Ambito delle conoscenze
acquisibili dalla Corte
1.11. Interpretazione conforme a
Costituzione, diritto vivente, potere interpretativo dei giudici
Un aspetto caratterizzante molte
decisioni rese in via incidentale nel 2003 è il tentativo della Corte di
distinguere il suo ruolo da quello dei giudici comuni nella garanzia della
costituzionalità dell’ordinamento.
Alla conclusione circa un improprio
utilizzo della questione di costituzionalità si giunge anche nel caso in cui il
rimettente afferma di voler far propria l’interpretazione della
disposizione conforme a Costituzione proposta dalla Corte con una sentenza
interpretativa di rigetto, ma si trovi in ciò ostacolato da un “diritto
vivente” (o, quantomeno, da un indirizzo giurisprudenziale uniforme) di
senso opposto, sollevando perciò su tale indirizzo la questione: il giudizio di
costituzionalità, in questo caso, è attivato dai rimettenti, secondo
Diverso è il caso in cui sia il giudice del rinvio a sollevare questione, sostenendo
di essere consapevole della astratta possibilità di non sollevare questione, ma
di essersi indotto a farlo onde sottrarsi al principio di diritto fissato dalla
Corte di cassazione, al quale era vincolato. Qui
Da segnalare particolarmente è una decisione emessa in un giudizio promosso dalla Corte di
cassazione, sezioni unite penali: a seguito di un contrasto riscontrato tra una
propria sentenza e una decisione interpretativa della Corte, il giudice
rimettente chiedeva una pronuncia caducatoria.
La questione è dichiarata manifestamente inammissibile, poiché
“l'ordinanza delle sezioni unite, oltre ad apparire perplessa (in una
motivazione tutta protesa, nella sostanza, a dimostrare l'infondatezza della
questione, il denunciato contrasto si riduce ad un laconico
‘forse’), si chiude con l'esplicito invito al
‘rispetto delle reciproche attribuzioni’,
come se a questa Corte fosse consentito affermare i principî costituzionali
soltanto attraverso sentenze caducatorie e le fosse
negato, in altri tipi di pronunce, interpretare le leggi alla luce della
Costituzione” (ordinanza 243).
1.12. Le decisioni interpretative di
rigetto
Quanto alla tipologia delle
decisioni, poche sono quelle interpretative di rigetto. Ad esempio, con la
sentenza 198
1.13. Le decisioni di accoglimento, le decisioni manipolative,
l’inammissibilità per discrezionalità del legislatore,
l’illegittimità consequenziale
Tra le sentenze di
incostituzionalità, oltre a quelle di accoglimento semplice si segnalano
decisioni di tipo additivo, sostitutivo o di accoglimento parziale. Deve sottolinearsi l’assenza di sentenze additive di
principio, almeno nella tipica forma di pronunce che, nella motivazione,
contengono un’esplicita affermazione dei ruoli affidati rispettivamente
al legislatore e ai giudici nell’attuazione del principio medesimo.
A fronte di una omissione
incostituzionale
La presenza di una norma
incostituzionale, la cui cancellazione pura e semplice potrebbe comportare un
inammissibile vuoto fino all’intervento del legislatore, ha determinato o
sentenze sostitutive (sentenze 104 e 301), oppure per
un accoglimento parziale (sentenze 148, 149,185, 239, 360). Talora
In un’unica decisione si è
fatto uso dell’art. 27 della legge 87/1953, in
riferimento a una norma analoga a quella dichiarata incostituzionale (sentenza
169). Peraltro
1.14. Moniti al legislatore
La “opportunità” (o
l’“auspicio”) di una nuova disciplina della materia (in un
caso, il risarcimento del danno da parte del vettore marittimo, in un altro il
trattamento fiscale degli immobili di interesse
storico o artistico, in un altro ancora il procedimento disciplinare a carico
dei pubblici dipendenti) è fatta presente in decisioni che pure dichiarano
l’infondatezza delle questioni (sentenze 71, 346 e 264). Un
“invito” al legislatore, affinché impieghi formule più precise
nella determinazione dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge di delegazione è presente nella ordinanza 134.
Un vero e proprio monito al
legislatore è contenuto nella sentenza 310, nella quale, pur riconoscendosi
l’infondatezza delle censure avanzate avverso le norme che prevedono la
sospensione della procedura esecutiva per il rilascio di immobili,
si afferma che tale procedura “non può essere paralizzata indefinitamente
con una serie di pure e semplici proroghe, oltre un ragionevole limite di
tollerabilità”.
1.15. La restituzione degli atti al
giudice a quo
Le decisioni di restituzione degli
atti al giudice rimettente nell’anno in esame sono 18, tutte motivate sulla base di jus superveniens. In alcuni casi lo jus
superveniens è costituito da una decisione di accoglimento parziale della Corte (ordinanze 7, 20, 184,
236, 316, 321, 344), più frequentemente da un cambiamento del quadro normativo.
Una ordinanza di restituzione degli atti (ordinanza
62) affronta il tema della “doppia pregiudizialità”, costituzionale
e comunitaria: la restituzione atti consegue al sopravvenire della pronuncia
interpretativa della Corte di giustizia, che ha “esaminato e risolto la
questione della conformità all'ordinamento comunitario della norma statale di
cui il rimettente denuncia l'illegittimità costituzionale, anche sotto il
profilo dal medesimo censurato”.
Una precisazione sui caratteri della
restituzione degli atti è contenuta nella sentenza 333, con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione
risollevata da un giudice (dopo la restituzione atti) sulla norma sopravvenuta.
1.16. Il giudicato costituzionale
Inammissibili sono dichiarate le
questioni dirette a censurare precedenti decisioni della Corte. Ciò vale sia
per quelle relative all’enunciato normativo
risultante da una sentenza, rispetto al quale si chiede venga ripristinata la
norma annullata (ordinanza 9), sia per quelle che ripropongono, in termini
identici, altra questione sollevata dallo stesso rimettente nello stesso
giudizio e dichiarata inammissibile per vizi non sanabili. Al riguardo,
Infine, si può segnalare la sentenza
211, con la quale è dichiarata incostituzionale la
norma di un testo unico (art. 159, commi 2, 3 e 4 d.lgs. 267/2000) che
riproduce altra norma (art. 113 d.lgs. 77/1995) già dichiarata incostituzionale
(con sentenza 69/1998), senza che alcun riferimento sia contenuto, né
nell’ordinanza di rimessione, né nella sentenza
della Corte, all’eventuale violazione del giudicato costituzionale.
2. Il giudizio in via principale
2.1. Considerazioni introduttive. Il
sopravvenire del nuovo Titolo V
Nel corso del 2003
32 decisioni sono pronunciate su
ricorsi statali,
16 decisioni riguardano questioni
sollevate nella vigenza del vecchio Titolo V, 12 su ricorso regionale e 4 su ricorso statale. In quest’ultimo
caso, si tratta di ricorsi del Commissario dello Stato avverso leggi regionali
siciliane, gli unici che non siano divenuti improcedibili
in conseguenza della modifica dell’art. 127 (la improcedibilità dei ricorsi governativi, nel caso delle
regioni ordinarie, era stata affermata dalla sentenza 17/2002, cui hanno fatto
seguito altre decisioni, relative alle singole regioni speciali). Le questioni
di legittimità costituzionale sollevate dalle regioni nella vigenza del vecchio
Titolo V sono risolte, secondo una giurisprudenza ormai costante a partire dalla sentenza 376/2002, “alla stregua delle
previgenti disposizioni costituzionali invocate come
parametri” (così le sentenze 28, 37, 91, 92, 93, 96, 103,186, 197, 221,
308, 334). “
Qualora, poi, le norme statali
impugnate non abbiano prodotto effetti, si dichiara la inammissibilità
per sopravvenuta carenza di interesse, in nome del principio di continuità. A partire dalla citata sentenza 376/2002, infatti,
Un caso particolare è quello di un
decreto-legge emesso e impugnato nel contesto del
precedente sistema di riparto delle competenze, cui si è sostituita, dopo
l’entrata in vigore del nuovo Titolo V, una legge di conversione non
impugnata. La questione è dichiarata inammissibile, poiché le norme del
decreto-legge non hanno trovato applicazione: in assenza si
qualsiasi effetto lesivo nei confronti delle regioni si determina una carenza
di interesse sopravvenuta. Non si è ritenuto possibile trasferire la questione
alle norme della legge di conversione, in quanto ciò sarebbe dovuto avvenire in riferimento a parametri nuovi: si sarebbe trattato, così,
di una “questione diversa rispetto a quella originariamente sollevata,
che avrebbe pertanto dovuto essere promossa nei termini di cui al nuovo art.
2.2.L’impugnativa di
“leggi statutarie” delle regioni speciali
Nel periodo in esame,
2.3. La “scissione dei
ricorsi”
Una novità processuale riscontrabile
nell’anno è costituita dalla “scissione dei ricorsi”:
all’interno di un unico ricorso si individuano
questioni relative a materie omogenee, da essere decise con separate decisioni.
“Il ricorso, uno nella forma, è plurimo nel contenuto. Esigenze di omogeneità e univocità della decisione inducono a
distinguere le materie e a procedere, quindi, alla decisione separata di
ciascuna questione o gruppo di questioni”(sentenza 201). In questi casi,
il dispositivo della pronuncia si presenta preceduto dalla formula
“riservata ogni decisione sulla questione ecc.”
(così sentenze 201, 300, 313, 361, 362, 363, 370, 376,
377, 378; v. anche la sentenza 331, che definisce l’ultima delle
questioni sollevate dal ricorso già oggetto delle sentenze 201 e 313).
2.4. I soggetti ricorrenti
Quanto ai soggetti legittimati a
proporre ricorso in via principale,
2.5. L’intervento dei terzi
nel giudizio principale
Inammissibile è stato dichiarato,
conformemente a una giurisprudenza costante,
l’intervento in giudizio di soggetti terzi interessati alla decisione. In
un caso, la motivazione si limita a rilevare il carattere tardivo
dell’intervento (sentenza 226), mentre negli
altri, indipendentemente dalla eventuale tardività,
si ribadisce che “nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in
via principale non è prevista la possibilità di intervento di soggetti diversi
dal titolare delle competenze legislative in contestazione o con queste
comunque connesse” (così sentenza 49; v. anche sentenze 226, 303, 307,
315 e 338).
2.6. La genericità e la sufficienza
del ricorso
Riguardo ai caratteri del ricorso, viene ribadito che questo deve identificare esattamente la
questione nei suoi termini normativi, quanto ad oggetto, parametro, motivazione
delle censure, determinandosi in caso contrario la inammissibilità (sentenze
213, 222, 242, 303): alla Corte spetta l’unico compito di
“giudicare sulle questioni così come sono sollevate, un compito che non
comprende quello di determinarne l'oggetto e i limiti” (sentenza 313).
Ė ammissibile altresì la questione promossa sulla base
di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili: “a
differenza di quanto accade per il giudizio in via incidentale - il giudizio in
via principale (soggetto a termini di decadenza, in quanto processo di parti,
svolto a garanzia di posizioni soggettive dell'ente ricorrente) può concernere
questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente
come possibili. Il principio vale soprattutto nei casi in cui su una legge non
si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o
restringere il raggio delle sue astratte potenzialità applicative, e le
interpretazioni addotte dal ricorrente non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni
impugnate così da far ritenere le questioni del tutto astratte o
pretestuose” (sentenza 228).
2.7. L’impugnazione di
un’intera legge
L’impugnazione di una intera legge, se solitamente è inammissibile per
genericità delle censure (sentenza 94), è invece ammissibile quando la legge ha
un contenuto specifico ed omogeneo (sentenza 359).
2.8. La determinazione
dell’oggetto del ricorso nella delibera del Consiglio dei ministri
L'oggetto dell'impugnazione deve
essere definito dal ricorso in conformità alla decisione governativa, con la
conseguenza che sono inammissibili le questioni
sollevate nei confronti di disposizioni che il governo (sulla base di quanto
risulta dal verbale del consiglio dei ministri e, ove da questo richiamata,
della relazione del ministro per gli affari regionali) non ha deliberato di
impugnare (sentenze 315 e 338).
2.9. Il parametro del giudizio
2.10. La “parità delle
armi” tra Stato e regioni dopo la riforma del Titolo V
Un problema molto dibattuto dopo la
riforma del Titolo V è stato quello della “parità delle armi” tra
Stato e regioni nel giudizio principale, sotto il profilo dei vizi
denunciabili.
Per quanto riguarda
l’interesse a ricorrere delle regioni,
Quanto alla questione se, ai sensi
del nuovo art. 127, lo Stato possa dedurre come parametro violato qualsiasi
norma costituzionale, ovvero solo quelle concernenti
il riparto delle competenze legislative,
Per affermare che, “pur dopo
la riforma, lo Stato pu impugnare in via principale
una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro
costituzionale,
2.11. Il permanere del peculiare
meccanismo di impugnazione delle leggi regionali
siciliane
Dopo la riforma del Titolo V, era
stata messa in dubbio la permanente efficacia del meccanismo di
impugnazione delle leggi siciliane previsto dall’art. 28 dello
statuto speciale: ritenendo che il nuovo procedimento dell’art. 127
garantisca alla Sicilia un maggior margine di autonomia, l’art. 10 della
legge costituzionale 3/2001 avrebbe imposto di dichiarare improcedibili
i ricorsi proposti prima dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V contro
le leggi siciliane, così come già avvenuto riguardo ad altre regioni speciali
nel corso del 2002 (ordinanze 65 e 377/2002, sentenze 408 e 533/2002).
2.12. Le ordinanze di cessazione
della materia del contendere e di estinzione del
giudizio
Le ordinanze di cessazione della
materia del contendere e di estinzione del giudizio
lasciano trasparire un fenomeno nuovo nei rapporti Stato-regioni,
già segnalato dalla dottrina: scomparso il rinvio governativo a seguito della
modifica dell’art. 127, quella che è stata definita come
“contrattazione di legittimità” tra Stato e regioni tende ad
avviarsi dopo il ricorso statale, e spesso conduce alla approvazione di una
nuova disciplina regionale, questa volta non impugnata dallo Stato poiché
“contrattata” con reciproca soddisfazione. In questo senso possono
essere lette le ordinanze 15 e 292, di cessazione della materia del contendere,
e le ordinanze di estinzione di giudizi su leggi
regionali promossi dal governo (67, 281, 342, 357). I due casi di estinzione di un giudizio promosso da una regione hanno
una diversa spiegazione: nella ordinanza 230 si dà atto di una intervenuta
intesa tra la regione e il governo, che giustifica la rinuncia al ricorso,
mentre la rinuncia al ricorso della regione Umbria, di cui si prende atto nella
ordinanza 382, non porta ragioni.
2.13. Altri tipi di decisione nel
giudizio principale
Tra le decisioni non di merito, si
possono altresì richiamare: una declaratoria di inammissibilità
per aberratio (sentenza 372); una sentenza di
cessazione della materia del contendere per abrogazione della norma impugnata,
con espressa previsione di inefficacia di tutti gli atti applicativi adottati
(sentenza 362).
Meritano poi di essere citate due
pronunce interpretative di rigetto, che giungono ad una interpretazione
adeguatrice delle norme impugnate, nel senso che esse
non si applicano alle province autonome ricorrenti, sulla base di una clausola
di salvezza delle loro competenze, che viene valorizzata dalla Corte
“indipendentemente dalla lettera della norma e dalla sua
collocazione” (sentenze 91 e 228; altre pronunce interpretative di
rigetto sono le sentenze 303, 312, 370, 376).
Nel 2003 si rinviene, nel giudizio
principale, un’unica dichiarazione di illegittimità
costituzionale consequenziale di cui all’art. 27 della legge 87/1953:
l’incostituzionalità è estesa ad altra disposizione contenuta nella legge
impugnata, che “si pone in inscindibile nesso” con quella annullata
(sentenza 338).
In due occasioni è stato chiesto
alla Corte di sollevare di fronte a se stessa questione di legittimità
costituzionale. In un caso si trattava di istanza
della regione resistente relativa alla legge statale invocata dal governo quale
parametro interposto;
II. Gli altri
giudizi
1. Il conflitto di
attribuzioni tra Stato e regioni
1.1. Considerazioni introduttive
Nel corso del 2003, 23 sono le
pronunce che risolvono conflitti intersoggettivi (pari al 6,02%
dell’attività della Corte, contro il 2,24% dell’anno precedente),
tutte adottate a seguito di udienza pubblica. Si
tratta di 18 sentenze e di 5 ordinanze, due di manifesta inammissibilità
(ordinanze 30 e 79) per inidoneità dell’atto oggetto del conflitto, due
di cessazione della materia del contendere (ordinanze 53 e 168), una di estinzione del processo per rinuncia (ordinanza 24).
Soltanto una decisione è conseguenza di un ricorso statale, mentre ben 22
derivano da ricorsi delle regioni e delle province autonome, a conferma di una
tendenza ormai radicata. L’unico ricorso statale (deciso con sentenza 13) concerne l’esercizio del c.d.
“potere estero”. Tra le decisioni relative a
ricorsi regionali, 3 hanno ad oggetto sentenze (sentenze 29, 276, 326), le
altre riguardano atti amministrativi o regolamenti.
Aspetto caratterizzante le pronunce
sui conflitti dell’anno 2003 (soltanto 8 decisioni affrontano il merito
della controversia) è il tentativo della Corte di salvaguardare il “tono
costituzionale” del conflitto, tenendo netta la linea di frontiera che lo
separa dagli “ordinari rimedi giurisdizionali” (su questo,
ampiamente, la sentenza 95).
La maggior parte delle pronunce (17)
risolvono conflitti promossi prima della legge costituzionale 3/2001, e
utilizzano quindi a parametro disposizioni contenute nel vecchio Titolo V.
Soltanto in un caso il sopravvenire del nuovo parametro determina conseguenze
sul giudizio: la sentenza 329 dichiara inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse alcuni conflitti regionali sorti a
seguito di un decreto del presidente del consiglio in materia di tutela della
salute poiché: a) sulla base dell’art.117,
comma 6, lo Stato non ha più il potere di emanare questo tipo di atto; b)
l’atto medesimo non ha avuto alcuna attuazione; c) le regioni possono
sostituire la disciplina dettata dall’atto impugnato. Questo, peraltro,
in forza del principio di continuità, mantiene la propria vigenza
nell’ordinamento, pur assumendo carattere cedevole.
1.2. Il profilo soggettivo
Quanto ai soggetti ricorrenti,
1.3. Il profilo oggettivo:
l’atto lesivo
Riguardo all’atto che dà luogo
al conflitto, è affermata la idoneità dei regolamenti
di delegificazione, che non possono essere impugnati
in via principale (sentenza 302), mentre
Numerose sono le pronunce di inammissibilità (o di manifesta inammissibilità) per
inidoneità dell’atto ad essere lesivo della sfera di competenza
costituzionale: è questo il caso di “istruzioni ministeriali”
relative ad una fase interna e provvisoria del procedimento (sentenza 97), di istruzioni
sulle modalità di versamento dei tributi che non incidono sulla loro
ripartizione tra Stato e regione siciliana (ordinanze 30 e 79), di un atto
meramente esecutivo di una precedente legge non impugnata (sentenza 113), di un
atto che non preclude un successivo esercizio delle competenze che la
ricorrente rivendica (sentenza 265, nella quale si precisa la mancanza
dell’interesse a ricorrere), di una nota della ragioneria generale dello
Stato, che costituisce “all’evidenza esercizio di normale attività
interpretativa da parte di organi istituzionalmente chiamati a svolgerla”
(sentenza 95). Inammissibile è anche il conflitto volto a rivendicare funzioni
“invocando la titolarità del bene cui ineriscono”
(nel caso, il demanio marittimo, sentenza 150), ed è ribadita la inammissibilità del conflitto che si traduca in una vindicatio rei (sentenza 95). Nel caso di
conflitto su atti giurisdizionali,
1.4. La definizione del giudizio
La cessazione della materia del
contendere è stata dichiarata in tre casi: per rinuncia al ricorso accettata
dalla controparte (sentenza 265), a seguito di concorde valutazione delle
parti, condivisa dalla Corte (ordinanza 53), perché l’atto impugnato è
stato annullato dal TAR con sentenza passata in giudicato (ordinanza 168).
Due di queste decisioni (ordinanze
53 e 168) mostrano i rischi di sovrapposizione del conflitto tra enti con il
giudizio amministrativo: in entrambi i casi, infatti
l’atto oggetto del conflitto era stato impugnato anche di fronte al
giudice amministrativo.
Inammissibile, per sopravenuta carenza di interesse, a seguito di una nuova legge statale
che riconosce alla regione ricorrente le competenze rivendicate, è dichiarato
il ricorso oggetto della sentenza 114.
Viene infine ribadita l’estensione
alla provincia di Bolzano delle decisioni pronunciate a seguito di ricorso
della provincia di Trento (sentenza 267).
2. Il conflitto di
attribuzioni tra poteri dello Stato
2.1. Considerazioni introduttive
Il numero complessivo delle pronunce
della Corte rese a fronte di ricorsi per conflitto di attribuzioni
tra poteri dello Stato è stato, nel 2003, di 44 (pari all’11,51%
dell’attività della Corte; il 7,28% nell’anno precedente), a
conferma di una tendenza crescente riscontrabile ormai da alcuni anni. Di
queste, soltanto 8 sono sentenze, pronunciate a seguito di udienza
pubblica, mentre 36 sono ordinanze, emesse nell’ambito del giudizio di
delibazione dell’ammissibilità del conflitto.
Ben 7 sentenze e 32 ordinanze
riguardano conflitti, relativi all’insindacabilità parlamentare
dell’art. 68, comma 1, della Costituzione, di cui sono parte organi
giurisdizionali e una delle due camere (20 sono in questa materia i conflitti
ammessi).
Le altre 5 pronunce hanno visto
contrapposti, rispettivamente, il consiglio superiore della magistratura e il
ministro della giustizia (relativamente al conferimento
di ufficio direttivo: ordinanza 112 e sentenza 380); un giudice e il comitato
parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza (in relazione alla
opposizione del segreto di Stato: ordinanza 209, che ammette il conflitto); i
promotori di una richiesta di referendum popolare e il parlamento, il governo e
la commissione di vigilanza sui servizi radiotelevisivi (ordinanza 195, di
inammissibilità); il “delegato effettivo” di un comune che chiede
l’indizione di referendum popolare ai sensi dell’art. 132, comma 2,
Cost., e il parlamento (ordinanza 343, di inammissibilità).
Su 44 decisioni, le pronunce che
risolvono nel merito un conflitto tra poteri sono 4:
in due di esse (sentenze 219 e 379) si ritiene infondato il ricorso di un
giudice contro una camera in riferimento all’art. 68, comma 1, affermando
che spettava alla camera di appartenenza pronunciare l’insindacabilità
del parlamentare; in una (sentenza 263) si accoglie il ricorso della camera dei
deputati contro un organo giurisdizionale, relativamente alla validità
dell’impedimento di un parlamentare sottoposto a procedimento
giudiziario; nell’ultima si accoglie il conflitto promosso dal CSM contro
il ministro della giustizia (sentenza 380).
2.2. La fase di delibazione
Nella sentenza 116 (sulla quale si
tornerà infra),
2.3. I profili soggettivi
Riguardo ai profili soggettivi del
conflitto,
2.4. I profili oggettivi: in
particolare, il conflitto su atti legislativi
Riguardo ai profili oggettivi,
L’aspetto di principale
interesse riguarda l’ammissibilità dei conflitti su atti legislativi, che
viene affrontata in due ordinanze. Dando ormai per
scontata l’ammissibilità di tale conflitto (sulla quale v. sentenza
457/1999)
2.5. Aspetti processuali
In due sentenze, entrambe relative all’art. 68 Cost.,
Si segnala, inoltre, che
l’unica istanza di sospensione dell’atto
impugnato presentata è stata dichiarata assorbita nella decisione di
inammissibilità resa in sede di delibazione (ordinanza 195).
Due conflitti, poi, sono stati
dichiarati inammissibili poiché con precedenti
decisioni della stessa Corte era già stato annullato l’atto che ha dato
luogo alla controversia (ordinanze 3 e 157).
2.6. Il problema della riproponibilità del conflitto già dichiarato improcedibile
Nella prima parte dell’anno,
si continuano a riscontrare decisioni di improcedibilità a causa del mancato rispetto del termine di
cui all’art. 26, comma 3 delle norme integrative (il deposito del ricorso
presso
La sentenza 116 trae le conseguenze
dell’improcedibilità così pronunciata. Con
questa decisione viene risolto, nel senso della
inammissibilità, il problema della riproposizione del
medesimo ricorso quando non sia stata effettuata entro i termini la
notificazione del precedente atto introduttivo e della relativa ordinanza di
ammissibilità. Il principale ostacolo da superare a
tal fine era costituito dalla mancata previsione di termini da parte della
legge 87/1953, con riguardo alla proposizione del conflitto:
A tale decisione hanno fatto seguito
molteplici ordinanze, con le quali sono stati dichiarati inammissibili sia ricorsi che riproponevano conflitti già dichiarati improcedibili (ordinanze 153, 188, 189, 247, 254), sia
conflitti semplicemente “divenuti” improcedibili
per la mancata notifica entro i termini (ordinanza 238), sia conflitti già
dichiarati inammissibili (ordinanze 214, 277, 280, 358).
3. L’ammissibilità del
referendum abrogativo
3.1. La partecipazione al giudizio di ammissibilità del referendum
Nell’anno 2003, 6 sono le
decisioni in ordine all’ammissibilità di
richieste di referendum abrogativo (pari all’1,57% dell’attività
della Corte), 2 di ammissibilità e 4 di inammissibilità.
Quanto al procedimento, si conferma
la prassi, presente fin dalla sentenza 16/1978, di sentire in camera di
consiglio i rappresentanti dei presentatori e quella, più recente (instaurata
con la sentenza 31/2000), di consentire di depositare
memorie ad altri soggetti aventi un interesse qualificato, che poi vengono
ammessi ad illustrarle (nel giudizio definito con la sentenza 42, sono stati
sentiti il difensore del “Comitato per il no” e quello del
“Forum delle Associazioni familiari”).
3.2. I requisiti attinenti alla
formulazione del quesito
Quanto ai limiti, quelli espliciti
contenuti nell’art. 75 Cost. non hanno trovato utilizzazione
nelle sentenze del 2003. Le decisioni di inammissibilità
sono motivate sulla base del carattere sostitutivo-propositivo,
e non meramente abrogativo, della richiesta (sentenze 43 e 46); della
disomogeneità del quesito, che comprende disposizioni di contenuto eterogeneo
(sentenza 45; così anche sentenza 42); del carattere contraddittorio della
richiesta, che lascerebbe permanere nell’ordinamento norme che si pongono
in contrasto con la ratio stessa del quesito (sentenza 42).
È confermata la tendenza (avviata
con la sentenza 36/1997) a ritenere inammissibilmente
propositive quelle richieste che non comportano “l’automatica
espansione di una disciplina comunque già esistente,
ancorché originariamente residuale”, ma invece “una disciplina
diversa, non derivante direttamente dall’estensione di preesistenti
normative o dal ricorso a forme autointegrative”
(sentenza 43). Il limite della necessaria completezza del quesito referendario
ha trovato, poi, un’applicazione moderata. A più riprese si incontrano, nelle sentenze del 2003, affermazioni volte a
negare l’incidenza sul giudizio di ammissibilità della “incompleta
ripulitura della normativa residua, nella quale siano lasciate parole o
proposizioni incoerenti con le restanti disposizioni” (sentenza 42), vuoi
poiché si produrranno in ordine a queste, eventualmente, i normali effetti caducatori (sentenza 44), vuoi poiché l’estensione
della portata abrogatrice è rimessa alla
discrezionalità dei proponenti (entro il limite della non contraddittorietà:
sentenza 41).
III. Il
contenuto delle decisioni
1. Le fonti del diritto
1.1. Leggi retroattive e di interpretazione autentica
Il legislatore ha il potere di
precisare per il passato il significato, ascrivibile a
una tra le possibili varianti di senso del testo originario, di una
disposizione, purché la portata retroattiva non violi altri principi
costituzionali. Pertanto, qualora a un indirizzo
giurisprudenziale prevalente se ne contrapponga un altro, consistente anche se
minoritario, deve escludersi la illegittimità costituzionale della norma di
interpretazione autentica. Né può sostenersi che la norma interpretativa incida
sulla certezza dei rapporti giuridici, in quanto tale
effetto è insito nel fenomeno stesso dell'interpretazione autentica (sentenze
26 e 341).
Una volta ritenute ammissibili le leggi di interpretazione
autentica, il problema riguarda non tanto la natura della legge, quanto
piuttosto i limiti che incontra la sua portata retroattiva. Il divieto di
retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di
civiltà giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore
ordinario deve di regola attenersi – non è stato
elevato a dignità costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione
dell'art. 25 della Costituzione; e quindi il legislatore, nel rispetto di tale
previsione, può emanare norme con efficacia retroattiva – interpretative
o innovative che siano – purché la retroattività trovi adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori
ed interessi costituzionalmente protetti.
Nel caso deciso con la sentenza 291,
“la norma censurata supera il vaglio di ragionevolezza (art. 3, primo comma, Cost.), in quanto il legislatore si è
limitato ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già
contenuto e riconoscibile nel novero delle esegesi plausibili, costituendo
‘una delle possibili letture del testo originario’”.
Siffatta originaria plausibilità esclude anche ogni lesione del principio di affidamento: se questo è, in linea di principio, violato
da disposizioni retroattive “che trasmodino in regolamento irrazionale di
situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori”, ciò non accade nel
caso in esame, in quanto si trattava di questione controversa, nella quale si
poneva un “obiettivo dubbio ermeneutico”.
1.2. Leggi provvedimento
Riguardo alla legge regionale che
istituisce un nuovo comune,
1.3. Decreti-legge
Il sindacato sulla sussistenza dei
presupposti di necessità e di urgenza, nel caso di un
decreto legge convertito, deve limitarsi alla “evidente mancanza”,
che non può essere sanata dalla legge di conversione, configurando un vizio in
procedendo della stessa. Il ricorso alla decretazione d’urgenza è
giustificato, nel caso di un decreto-legge di interpretazione
autentica, in quanto dai lavori parlamentari risulta che il punto controverso
ha formato oggetto di un ampio dibattito ed emerge che la funzione della norma
è di evitare l’ulteriore proliferare di un contenzioso già imponente
avente conseguenze nelle relazioni sindacali nel settore
dell’autotrasporto (sentenza 341).
1.4. Leggi di delegazione e decreti legislativi
È ammissibile, come più volte affermato in passato, il ricorso alla delegazione
legislativa per l’introduzione di nuove norme penali, sulla base
dell’equiparazione fra legge e atti aventi forza di legge ai fini del
rispetto della riserva di cui all’art. 25 Cost. “Il livello di
specificazione dei principi e criteri direttivi può in concreto essere diverso
da caso a caso, anche in relazione alle caratteristiche della materia e della
disciplina su cui la legge delegata incide, ma, in ogni modo, esso non ha a che
vedere con le esigenze di determinatezza della norma incriminatrice,
nella specie soddisfatte dalla formulazione del decreto legislativo”
(ordinanza 134). Peraltro, nelle materie coperte da riserva assoluta di legge,
come quella dell’art. 25, l’esistenza della delega non può essere
desunta dalla mera “connessione” con l’oggetto della delega
stessa (nel caso deciso con la sentenza 212, la delega aveva a
oggetto le spese di giustizia, mentre il decreto legislativo disciplina la
materia delle pene pecuniarie).
Riguardo alla delega per il
conferimento di funzioni amministrative alle regioni e agli enti locali,
Quando si tratta di leggi che delegano il
governo ad attuare direttive comunitarie afferenti a molteplici materie,
elevato è il rischio che i principi e criteri direttivi risultino “di non
facile interpretazione”. Da qui l’invito al legislatore
“affinché impieghi formule [il più possibile] precise” (ordinanza
134).
Per quanto riguarda il giudizio di
conformità della norma delegata alla norma delegante, esso “si esplica attraverso il confronto tra gli esiti di due
processi ermeneutici paralleli, tenendo conto delle
finalità che, attraverso i principi ed i criteri enunciati, la legge delega si
prefigge con il complessivo contesto delle norme da essa poste e tenendo
altresì conto che le norme delegate vanno interpretate nel significato
compatibile con quei principi e criteri, in quanto la delega legislativa non fa
venir meno ogni discrezionalità del legislatore delegato, che risulta più o
meno ampia a seconda del grado di specificità dei principi e criteri fissati
nella legge delega; sicché, per valutare di volta in volta se il legislatore
delegato abbia ecceduto tali – più o meno ampi – margini di
discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per
verificare se la norma delegata sia ad essa rispondente” (sentenza 199;
così anche sentenze 25 e 125).
L’art. 76 Cost. non elimina
ogni margine di scelta nell’esercizio della delega: esso “non osta
all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso,
anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante; va
escluso, infatti, che le funzioni del legislatore delegato siano limitate ad
una mera ‘scansione linguistica’ delle
previsioni dettate dal delegante, essendo consentito al primo di valutare le
situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare
le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di ‘riempimento’
che lega i due livelli normativi, rispettivamente, della legge di delegazione e
di quella delegata” (sentenza 199).
In ordine alla delega per la “revisione”
e il “riordino” della legislazione concernente la circolazione
stradale,
Circa una delega mirata al
“coordinamento” delle disposizioni vigenti in materia di ordinamento dei comuni e delle province,
1.5. Norme di attuazione
degli statuti speciali
La riserva di competenza in favore
delle norme di attuazione degli statuti speciali, che
non possono essere modificate con legge ordinaria, ma solo secondo la procedura
appositamente prevista dagli statuti, è affermata, a seguito della legge cost.
2/1993, anche con riferimento alla regione Valle d’Aosta (che fino a tale
data non disponeva di norme di attuazione). A maggior ragione le norme di attuazione non possono subire deroghe da parte di
regolamenti, sia pure di delegificazione (sentenza
38).
1.6. Regolamenti statali
Nel caso di regolamenti di delegificazione,
1.7. Diritto comunitario
I principi enunciati nelle decisioni
della Corte di giustizia, rese nell’ambito del giudizio a seguito di
rinvio pregiudiziale disciplinato dall’art. 234 del Trattato, si inseriscono direttamente nell'ordinamento interno, con il
valore di jus superveniens,
condizionando e determinando i limiti entro i quali la norma nazionale conserva
efficacia e deve essere applicata anche da parte del giudice nazionale
(ordinanza 62, che riprende la precedente 255/1999 e la sentenza 113/1985, che
aveva affermato la diretta applicabilità delle sentenze interpretative della
Corte di giustizia).
1.8. Diritto internazionale
Scarse sono, nell’anno 2003,
le pronunce che contengono riferimenti espliciti al diritto internazionale. Si
segnala la sentenza 149 sul processo minorile, nella quale si evocano, per
sostenere la tutela del preminente interesse del minore ad
una rapida uscita dal processo, accanto all’art. 31 Cost., “i principi enunciati nelle Convenzioni, nelle
Regole e nelle Raccomandazioni internazionali in materia, a cui questa Corte si
è ripetutamente richiamata”.
1.9. Aspetti di drafting dei testi normativi
Un significativo
cenno in ordine alle tecniche di redazione dei testi normativi è contenuto
nella sentenza 314, relativa a una legge della regione siciliana, che
2. Diritti e doveri dei cittadini
1.
Il principio di eguaglianza
L’art. 3 Cost. compare, quale
parametro, nella maggior parte delle ordinanze di rimessione.
Attraverso la sua invocazione, si lamenta quello che è stato definito il vizio della arbitrarietà della legge. Conseguenza dei limiti
generali che attengono al modo stesso di percepire il diritto e la funzione
legislativa, in esso rientrano, si è detto, tutti i
casi di “leggi contro la natura del diritto”. Analoghi criteri di
valutazione della costituzionalità delle leggi si
rinvengono in tutti i sistemi di giustizia costituzionale.
All’interno di questo tipo di
vizio si possono distinguere diversi modi d’essere del vizio di arbitrarietà, cui conseguono differenti tecniche di
giudizio, come mostra la giurisprudenza costituzionale dell’anno 2003.
La prima manifestazione
dell’arbitrarietà è l’irrazionalità: l’imperativo di
razionalità impone al legislatore di equiparare il trattamento giuridico di
situazioni analoghe e, al contrario, di differenziare il trattamento delle
situazioni diverse. Il giudizio assume uno schema ternario, ove accanto alla
norma da valutare e al parametro costituzionale costituito dall’art. 3 si
colloca il tertium comparationis,
ovvero la norma che, usata come pietra di paragone,
consente di cogliere la “rottura” logica dell’ordinamento.
Il controllo
sull’irrazionalità della legge si distingue da quello
sull’irragionevolezza. Anche il controllo
sull’irragionevolezza presuppone differenze di disciplina giuridica, e
quindi l’esistenza di un termine di paragone. Ma, diversamente dal
controllo sulla irrazionalità, nel controllo di
irragionevolezza entra un principio costituzionale di sostanza, il quale
consente di apprezzare la rottura dell’ordinamento costituzionale operata
eventualmente dalla legge oggetto del giudizio.
Molteplici decisioni sono
riconducibili a questi due tipi di giudizio.
Nella prima categoria, possiamo
collocare le pronunce secondo le quali le differenziazioni denunciate si
giustificano, o si censurano, in ragione della disomogeneità, o della omogeneità, delle situazioni messe a raffronto. Ad
esempio, è stata dichiarata infondata la questione relativa
all’assenza della incompatibilità tra la carica di sindaco e
l’ufficio di primario di divisione del locale ospedale, pur essendo tale
incompatibilità prevista per i direttori amministrativo e sanitario della USL:
il tertium comparationis
non è idoneo, “poiché non sussiste certo omogeneità di posizioni fra
titolari degli uffici preposti alla gestione dell'azienda USL e dipendenti di
questa con compiti tecnico-sanitari, come i primari” (sentenza 220). Si
parla, espressamente, di “assenza di violazione dell’art.3 per aver diversamente disciplinato sul piano sostanziale
situazioni diverse” nella sentenza 70, nella quale sono messe a raffronto
la situazione del traente bancario adempiente nel “termine di
grazia” e quella del debitore cambiario adempiente nel termine “di grazia”.
La diversità di situazioni è sottolineata anche nella
sentenza 71, ove si compara la limitazione posta alla responsabilità del
vettore marittimo nel trasporto nazionale con la disciplina della
responsabilità nel trasporto internazionale (sulla non omogeneità delle
situazioni messe a raffronto v. anche ordinanza 368). Si possono collocare in
questo contesto anche la sentenza 345, nella quale si
censura la diversità di trattamento (quanto ad agevolazioni fiscali) tra gli
immobili di interesse storico e artistico appartenenti a privati, e gli
immobili di interesse storico e artistico appartenenti a enti pubblici o a
persone giuridiche private, nonché la sentenza 211, che censura la disparità di
trattamento tra la posizione di chi debba procedere in executivis
nei confronti di un ente locale e quella di chi proceda, invece, nei confronti
di una azienda sanitaria.
Nella seconda categoria di giudizi
si possono collocare le decisioni nelle quali la differenziazione trova (o non trova) una giustificazione in specifici valori
costituzionali che si ritengano degni di tutela e sono invece ignorati dal
rimettente. Ad esempio, i benefici tributari riconosciuti ai proprietari di immobili locati di interesse storico o artistico (e non
ai proprietari di immobili non vincolati) trovano giustificazione in
considerazione degli obblighi gravanti su tali proprietari come riflesso della
tutela costituzionale dei beni che discende dall’art. 9, comma 2, Cost.
(sentenza 346). Invece, non è giustificata la differente disciplina, quanto
alla concessione della detenzione domiciliare, prevista per la madre di figlio
minore e per la madre di figlio totalmente handicappato, tenuto conto dei
principi costituzionali che impongono di tutelare lo
sviluppo della personalità di quest’ultimo
(sentenza 350, citata amplius infra). Riconducibile a questo
ambito è anche la sentenza 104, con la quale si dichiara
incostituzionale la norma (art. 45, comma 1, d.lgs. 151/2001) che prevede che
anche i genitori adottivi, così come quelli naturali, possano fruire dei riposi
giornalieri nel primo anno di vita del bambino: infatti, precisa
Un terzo livello di sindacato è
stato definito giudizio “di giustizia” o di “intrinseca
irragionevolezza”. Questo giudizio prescinde dal carattere ternario,
dalla comparazione tra norme, per assumere la forma del controllo della adeguatezza della legge rispetto al caso regolato. Significativa è, al riguardo, la sentenza 185, che giudica
“irragionevole” la compressione di un diritto (si trattava del
diritto di proprietà) in nome di un valore costituzionalmente tutelato (la
tutela dei beni culturali), in quanto la misura limitativa è stata ritenuta
eccessiva ed esuberante rispetto alla finalità perseguita, che già poteva
ritenersi soddisfatta da altre previsioni contenute nell’ordinamento. La arbitrarietà, in altri termini, deriva dalla assenza di
giustificazione ex se dell’eccesso di tutela. Si potrebbe altresì
richiamare, al riguardo, l’ordinanza 84, nella quale la mancanza di un
doppio grado di giurisdizione di merito per motivi di fatto in materia di
pensioni non è considerata arbitraria e incongruente, trovando giustificazione
nelle specificità di questo tipo di giudizio, in quanto le questioni di fatto
ben possono trovare una adeguata trattazione nel corso
del previo procedimento amministrativo. Un giudizio di giustizia è
rintracciabile anche nella “intrinseca irragionevolezza” della
normativa sui riposi giornalieri dei genitori adottivi censurata (insieme alla diseguaglianza di cui si è detto supra) con la
sentenza 104. Questo tipo di controllo di costituzionalità spiega il ricorso a una sentenza sostitutiva, nella quale si dichiara la
incostituzionalità della norma “nella parte in cui prevede che i
riposi…si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento,
‘entro il primo anno di vita del bambino’
anziché ‘entro il primo anno dall'ingresso del minore nella famiglia’”. Le esigenze che i riposi sono volti
a tutelare, infatti, impongono una disciplina “adeguata al caso”, ovvero ad appagare i bisogni affettivi e relazionali del
bambino.
Un richiamo all’eguaglianza
sostanziale, di cui all’art. 3, comma 2, è
contenuto nella sentenza 350, relativa alla possibilità della detenzione
domiciliare per la madre di un figlio portatore di grave handicap,
indipendentemente dall’età di quest’ultimo.
2.2. Diritti inviolabili
Nel campo della tutela risarcitoria del danno alla persona,
La necessità che la disciplina sul mobbing sia orientata alla salvaguardia
della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore sul luogo di lavoro
(artt. 2 e 3, comma 1, Cost.) è affermata dalla
sentenza 359.
2.3. Libertà personale
Riguardo alle misure cautelari
Peraltro, si riafferma che “la
determinazione delle ipotesi tassative, di per sé
eccezionali, nelle quali è consentito adottare misure custodiali – tanto più nei confronti dei minori, per
i quali vale un criterio di ulteriore assoluta eccezionalità – spetta al
legislatore, ai sensi dell'art. 13 della Costituzione, nel rispetto degli altri
principi costituzionali e nei limiti della non manifesta
irragionevolezza”; di conseguenza, la mancata previsione della misura nei
confronti di minori per il delitto di furto (salve limitate eccezioni) non è
irragionevole: rispecchia una scelta legislativa e non è in contrasto con norme
costituzionali da cui si debba, in ipotesi, desumere la necessità di prevedere
una misura custodiale (ordinanza 137).
4.
Autonomia dei privati
Il tema dell’autonomia
statutaria e gestionale delle persone giuridiche
private è affrontato dalla sentenza 301, relativa alla nuova disciplina delle
fondazioni di origine bancaria, avuto riguardo, come parametri, agli artt. 2,
18 e 41 Cost. (per quest’ultimo profilo, v. infra).
In primo luogo, si afferma che “le singole previsioni legislative dei
settori ammessi sono, sostanzialmente, riproduttive, per la loro ampiezza e
varietà, di tutte le possibili attività proprie e caratteristiche delle
fondazioni e non possono, quindi, sotto tale aspetto, ritenersi lesive della autonomia, gestionale e statutaria, di tali enti, i
quali, come del resto ogni persona giuridica di diritto privato, devono essere
caratterizzati da ‘uno scopo’ che ne
impronta l'attività (v. artt. 16 e 27 del codice civile)”. Al contrario, la norma che accorda “all'Autorità di
vigilanza, il potere di modificare, con regolamento, la legge in qualsiasi
direzione, per di più senza indicazione di criteri, compatibili con la natura
privata delle fondazioni e con la loro autonomia statutaria, idonei a
circoscriverne la discrezionalità, viola i parametri costituzionali evocati”.
4.
Libertà religiosa
L’esercizio del diritto di
professare la propria religione può essere limitato, così come altri diritti,
quali la libertà personale o quella di circolazione e soggiorno, in conseguenza
di misure di prevenzione, come la sorveglianza speciale con obbligo di
soggiorno. Occorre tuttavia che “il legislatore eserciti la sua
discrezionalità in modo equilibrato, per ‘minimizzare’
i costi dell'attività di prevenzione, cioè per rendere le misure in questione,
ferma la loro efficacia allo scopo per cui sono legittimamente previste, le
meno incidenti possibili sugli altri diritti costituzionali coinvolti. Infatti,
nella configurazione di tutte le misure limitative della libertà della persona,
e dunque anche delle misure di prevenzione, l'esercizio dei diritti
costituzionali non può essere sacrificato oltre la soglia minima resa
necessaria dalle misure medesime, cioè dalle esigenze
in vista delle quali essa sia legittimamente prevista e disposta”.
Nel caso del diritto di libertà di
culto in forma associata non è possibile quel contemperamento tra opposte
esigenze che la legge ha realizzato in nome del diritto alla salute (per cui il giudice, caso per caso, può consentire
l’allontanamento dal comune al fine della sottoposizione a cure del
prevenuto): “la sospensione degli obblighi del sorvegliato speciale con
obbligo di soggiorno per consentire la partecipazione periodica e continuativa
a cerimonie religiose sarebbe in insuperabile contraddizione con le esigenze in
vista delle quali la misura di prevenzione è adottata, come risulta evidente
sia dalla circostanza che l'autorizzazione dovrebbe valere in generale per
tutta la durata della misura, sia dall'ovvia impossibilità di assicurare idonee
misure di pubblica sicurezza nei luoghi di culto e durante la celebrazione di
cerimonie religiose…D'altro canto, una volta considerato che la lamentata
restrizione all'esercizio della propria professione di fede religiosa è
condizionata da una situazione di fatto – la limitata diffusione sul
territorio dell'organizzazione ecclesiastica – non si può escludere che,
compatibilmente con le esigenze di sicurezza, l'obbligo di soggiorno sia
fissato, in conformità con la richiesta dell'interessato, in un comune dove
tale organizzazione esista e nel quale la persona sottoposta alla misura di
prevenzione vada a fissare la propria residenza” (sentenza 309).
4.
Libertà di informazione
La garanzia del pluralismo nel
servizio radiotelevisivo viene in rilievo nella sentenza 312,
avente ad oggetto una legge della provincia di Bolzano, impugnata dal governo
in via principale. In particolare, ad avviso del ricorrente, l’art. 21
Cost. sarebbe stato leso dalla norma che consente alla provincia di stipulare
convenzioni con enti radiotelevisivi senza fornire alcuna garanzia circa i
programmi oggetto di dette convenzioni.
4.
Prestazioni patrimoniali imposte
Della riserva di legge
dell’art. 23 Cost., riferibile anche alle norme procedimentali che disciplinano gli accertamenti
presuntivi, è stato riaffermato il carattere relativo, in quanto la norma costituzionale
“pone al legislatore l'unico obbligo di determinare preventivamente e
sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della
discrezionalità amministrativa” (sentenza 105).
Il contributo di solidarietà posto a
carico di alcuni trattamenti previdenziali obbligatori
che superino un certo tetto (art. 37 della legge 488/1999) non ha natura
tributaria, dovendosi inquadrarlo nel genus
delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, in quanto costituisce una
prestazione patrimoniale avente la finalità di sostenere gli oneri finanziari
del regime previdenziale dei lavoratori. La previsione di contributi di
solidarietà è scelta discrezionale del legislatore non irragionevole, in quanto
operata in attuazione dei principi solidaristici
sanciti dall'art. 2 della Costituzione, attraverso l'imposizione di un'ulteriore prestazione patrimoniale gravante solo su alcuni
trattamenti previdenziali obbligatori superiori a un certo importo stabilito
dalla legge, al fine di concorrere al finanziamento dello stesso sistema
previdenziale (ordinanza 22).
4.
Diritto di azione e di difesa. Giusto processo
Numerose sono, anche nel 2003, le
decisioni in tema di diritto di difesa (art. 24) e di diritto a un giusto processo (art. 111) (si vedano anche, oltre a
quelle richiamate infra, le ordinanze 143, 183, 225, 273, 355 e la
sentenza 284).
Innanzitutto, viene ribadita la discrezionalità
di cui gode il legislatore nella regolamentazione dei diversi istituti processuali
e nella previsione di forme differenziate di garanzia con riguardo alla
particolarità del rapporto dedotto in giudizio, nel rispetto del criterio della
ragionevolezza (ordinanze 84 e 286, sentenza 203).
Su tale base, sono state rigettate
questioni basate unicamente sulla comparazione tra procedimenti: ad esempio,
quella relativa alle differenze esistenti tra il
procedimento cui può ricorrere l’ente locatore nel caso di morosità
dell’inquilino nelle locazioni di edilizia residenziale pubblica e il procedimento
cui possono ricorrere i locatori nelle comuni locazioni abitative (sentenza
203).
La discrezionalità del legislatore è
richiamata anche riguardo alla scelta del regime di procedibilità: questa
scelta “coinvolge la politica legislativa e deve, quindi, rimanere
affidata a valutazioni discrezionali del legislatore, presupponendo
bilanciamenti di interessi e opzioni di politica
criminale spesso assai complessi, sindacabili in sede di giudizio di
legittimità solo per vizio di manifesta irrazionalità”. In tale
prospettiva, la scelta di prevedere la perseguibilità d'ufficio del delitto di
lesioni colpose solo quando si tratti di fatti commessi con violazione di norme
per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro
o che abbiano determinato una malattia professionale
(limitatamente, peraltro, ai casi di lesioni gravi e gravissime), e non anche
in rapporto ai fatti commessi con violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale (art. 345, comma 1, cod. proc. pen.), “si risolve in
un'opzione di politica legislativa che sfugge ad ogni contestazione di
legittimità costituzionale: e ciò tanto più a fronte della circostanza che, nel
primo caso, viene in rilievo un interesse, quale quello alla tutela del lavoro,
che è oggetto di particolare considerazione da parte della stessa
Costituzione” (ordinanza 178).
Nell’ordinanza 287, relativa alla omessa previsione di un generale obbligo, in capo al
pubblico ministero, di ottemperare alla richiesta di specifici atti di indagine
avanzata dall'indagato nella fase delle indagini preliminari, con il correlato
obbligo di motivare l'eventuale rigetto della richiesta (art. 415-bis cod.
proc. pen.),
precisato trattarsi di scelte legislative che non incontrano alcun limite in
soluzioni costituzionalmente obbligate, si ribadisce che “il diritto di
difesa – garantito oltretutto, nella fase delle indagini preliminari,
anche dalla parallela investigazione difensiva – è conformato
diversamente dal legislatore nelle varie fasi del processo, in ragione della
differenza strutturale esistente tra la raccolta degli elementi necessari per
la determinazione dell'esercizio dell'azione penale e l'attività di formazione
della prova, quest'ultima propria della fase
dibattimentale” (nello stesso senso, ordinanze 8 e 352).
Con specifico riferimento
all’art. 111 Cost, riguardo al procedimento per decreto (art. 459 cod. proc. pen.),
Sotto il profilo della parità delle
parti nel processo penale, l’art. 111 è stato evocato dai rimettenti
anche in relazione alle spese, “non potendosi
dire quel principio osservato se l'imputato, ingiustamente sottoposto a
procedimento penale, dovesse restare gravato di tutti gli oneri della propria
difesa”.
Il principio di parità tra accusa e
difesa è al centro anche dell’ordinanza 110, ove si afferma che
“esso – pacificamente già presente fra i valori costituzionali
anche prima delle modifiche apportate dalla legge costituzionale n. 2 del 1999
– non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del
pubblico ministero e quelli delle altre parti, giacché una diversità di
trattamento può essere, come nella specie, stabilita ragionevolmente, nell'ambito
delle scelte discrezionali del legislatore, proprio in ragione della peculiare
posizione istituzionale del pubblico ministero e degli ausili strutturali di
cui, ratione officii,
può avvalersi”. Analoga la premessa della pronuncia
nella quale si è negato che il principio in questione fosse violato dalla norma
(art. 582, comma 2, cod. proc. pen.) che “consente soltanto
alle parti private ed ai difensori – e non anche al pubblico ministero
– di presentare l'atto di impugnazione nella cancelleria del tribunale o
del giudice di pace del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da
quello in cui fu emesso il provvedimento impugnato”. Infatti, tale
previsione, “si giustifica agevolmente in considerazione delle evidenti
diversità di condizioni e status che caratterizzano i soggetti privati,
da un lato, ed i magistrati del pubblico ministero, dall'altro, potendosi
questi ultimi avvalere delle strutture del proprio ufficio e risultando,
dunque, in concreto agevolati nella presentazione,
eventualmente anche a mezzo di incaricato, dell'atto di impugnazione”
(ordinanza 110).
Sul principio del giusto processo
ritorna l’ordinanza 251 (relativa alla norma secondo la quale l'azione
per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei
natanti, per i quali v'è obbligo di assicurazione, può
essere proposta solo dopo che siano trascorsi sessanta giorni dall'invio
all'assicuratore, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento,
della richiesta risarcitoria da parte del
danneggiato: art. 22 legge 990/1969): “anche dopo la novella dell'art.
111 Cost., il legislatore continua a disporre di ampia discrezionalità in
materia processuale, giacché la tendenziale garanzia della maggiore celerità
possibile dei processi deve, tuttavia, tendere pur sempre ad una durata degli
stessi che sia appunto ‘ragionevole’, in rapporto anche alle altre
tutele costituzionali in materia…, a cominciare da quella relativa al
diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., comprensivo anche del diritto
di non essere inutilmente chiamato in giudizio”. D’altra parte,
“l'art. 24 Cost., non comporta necessariamente
l'assoluta immediatezza dell'esperibilità del diritto di azione”.
Viene riaffermata, in riferimento alla
nuova disciplina del procedimento di liberazione anticipata (art. 69-bis
legge 354/1975), “la piena compatibilità con il diritto di difesa di
modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito: i quali, cioè, in
ossequio a criteri di economia processuale e di massima speditezza, adottino lo
schema della decisione de plano seguita da una fase a contraddittorio
pieno, attivata dalla parte che intenda insorgere rispetto al decisum” (ordinanza 352).
Per irragionevole limitazione del
diritto di difesa è dichiarata l’incostituzionalità sia dell'art. 438, comma 6, sia dell'art. 458, comma 2, cod. proc. pen.,
nella parte in cui non prevedono che, in caso di rigetto della richiesta di
giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l'imputato
possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato.
Tale pronuncia, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, è
estesa, negli stessi termini, all'art. 464, comma 1, secondo periodo, cod. proc. pen.,
in relazione alla richiesta di giudizio abbreviato presentata dall'opponente a
decreto penale (sentenza 169).
Quanto alla tutela del principio di imparzialità-terzietà del
giudice, l’art. 111 – è stato ribadito – “non introduce
alcuna sostanziale innovazione o accentuazione…; sicché meramente
nominalistico appare l'argomento che, in senso contrario, vorrebbe dedursi
dalla locuzione “giudice terzo e imparziale”, quasi che essa sia
espressiva di un nuovo valore di livello costituzionale e non già la sintesi di
una serie di valori che connotano il modo in cui, nel suo complesso,
l'ordinamento deve far sì che il giudice si ponga di fronte alla res iudicanda” (sentenza 240). Su tale base, si
afferma che “certamente contraria – ma altrettanto certamente già
prima della legge cost. n. 2 del 1999 – al principio di
imparzialità-terzietà è la fusione, in un
unico soggetto, delle funzioni del domandare e del giudicare sulla domanda, ma
[che] ciò non implica la costituzionalizzazione del processual-civilistico principio della domanda e il bando
di qualsiasi iniziativa officiosa”. Infatti, “l'iniziativa
officiosa – prevista dal legislatore in ragione di peculiari esigenze di effettività della tutela giurisdizionale – non lede
il fondamentale principio di imparzialità-terzietà
del giudice, quando il procedimento è strutturato in modo che, ad onta dell'officiosità dell'iniziativa, il giudice conservi il
fondamentale requisito di soggetto super partes
ed equidistante rispetto agli interessi coinvolti”: ciò che avviene negli
artt. 6 e 8 della legge fallimentare.
L’assenza di “un
principio costituzionale del doppio grado della cognizione di merito” è ribadita dall’ordinanza 84, “non inerendo tale
istituto alla garanzia del diritto di difesa, sicché il legislatore può
diversamente strutturare il giudizio di appello”; infatti, “la
garanzia della difesa si realizza non tanto con la duplicità della cognizione
della causa da parte di giudici di merito diversi, ma con la possibilità
concreta che nel processo vengano prospettate le domande e le ragioni delle
parti, che non siano legittimamente precluse”.
Il rischio che
“l'indiscriminata estensione a tutte le cause civili del criterio di
competenza introdotto dall'art. 11 cod. proc. pen. [circa la competenza, per i procedimenti che vedono
coinvolti magistrati, del giudice di altro distretto] sia suscettibile di
risolversi – con riferimento a singole tipologie di controversie - nel
sacrificio di interessi e valori costituzionalmente rilevanti”, è
riaffermato dalla Corte, peraltro in una pronuncia, già citata, di
inammissibilità, avendo il remittente chiesto una
sentenza additiva in materia dove il legislatore deve fare uso dei suoi poteri
discrezionali, apprezzando i caratteri dei diversi, possibili casi (sentenza
332).
In nome del diritto di difesa del
contribuente è stata dichiarata l’incostituzionalità della norma (art.
60, ultimo comma, d.P.R. 600/1973) che prevedeva che
le variazioni e le modificazioni dell'indirizzo del contribuente, non
risultanti dalla dichiarazione annuale, hanno effetto, ai fini delle
notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello della
avvenuta variazione anagrafica; “il legislatore – ha
stabilito
Alcune pronunce richiamano
l’art. 112 Cost., evocando principi
pacificamente affermati nella precedente giurisprudenza. Così, si afferma che
“la citata norma costituzionale — stabilendo che il pubblico
ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale — non esclude che
l'ordinamento possa prescrivere determinate condizioni per il promovimento o la prosecuzione di essa”
(ordinanza 178), e che “il potere di impugnazione del pubblico ministero
non costituisce, in sé, estrinsecazione necessaria dei poteri inerenti
all'esercizio della azione penale” (ordinanza 110).
Un’unica decisione torna
sull’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., in materia di
incompatibilità del giudice. Era stata denunciata la mancata previsione della incompatibilità del giudice per le indagini
preliminari a pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione formulata dal
pubblico ministero qualora, nel corso del procedimento, lo stesso giudice abbia
in precedenza applicato una misura cautelare personale nei confronti della
medesima persona sottoposta alle indagini. In tal caso, peraltro, non ricorre
– ad avviso della Corte – la sovrapposizione tra giudizi svolti da
uno stesso giudice, inammissibile in base al principio del giusto processo, non
potendosi ritenere “giudizio” la decisione che il giudice per le
indagini preliminari è chiamato a prendere in tema di archiviazione,
data la natura interlocutoria e sommaria (ordinanza 54).
4.
Pene e misure di sicurezza
Anche nel 2003
Nella sentenza 253 è dichiarata
l’illegittimità costituzionale della norma (art. 222 codice penale) che
imponeva al giudice, in caso di proscioglimento per infermità mentale per un
delitto comportante una pena edittale superiore nel
massimo a due anni, di ordinare il ricovero dell'imputato in ospedale
psichiatrico giudiziario per un periodo minimo di due anni, o per un periodo
più lungo in relazione all'entità della pena edittale prevista, senza consentirgli di disporre, in
alternativa, misure diverse, pur quando in concreto tale prima misura non
appaia adeguata alle caratteristiche del soggetto, alle sue esigenze
terapeutiche e al livello della sua pericolosità sociale. La legge censurata, infatti,
“adotta un modello che esclude ogni apprezzamento della situazione da
parte del giudice, per imporgli un'unica scelta, che può rivelarsi, in concreto, lesiva del necessario equilibrio fra le diverse
esigenze che deve invece necessariamente caratterizzare, questo tipo di
fattispecie, e persino tale da pregiudicare la salute dell'infermo”. La
sentenza afferma che “mentre solo il legislatore…può intraprendere
la strada di un ripensamento del sistema delle misure di sicurezza, con particolare
riguardo a quelle previste per gli infermi di mente autori di fatti di reato, e
ancor più di una riorganizzazione delle strutture e di un potenziamento delle
risorse, questa Corte non può sottrarsi al più limitato compito di eliminare l'accennato automatismo, consentendo che, pur
nell'ambito dell'attuale sistema, il giudice possa adottare, fra le misure che
l'ordinamento prevede, quella che in concreto appaia idonea a soddisfare le
esigenze di cura e tutela della persona, da un lato, di controllo e
contenimento della sua pericolosità sociale dall'altro lato”.
In un’altra decisione
(sentenza 135) si ribadisce che il principio rieducativo enunciato nell’art. 27, comma 3, Cost.,
non è violato dalla norma (art. 4-bis, comma 1, legge 354/1975,
sull’ordinamento penitenziario) che subordina alla collaborazione con la
giustizia l’ammissione alla liberazione condizionale dei condannati alla
pena dell’ergastolo per alcuni delitti. Trattandosi, infatti, di
“collaborazione oggettivamente esigibile” e, pertanto, rimessa alla
scelta del condannato, la norma “non impedisce in maniera assoluta e
definitiva l'ammissione alla liberazione condizionale, ma ancora il divieto
alla perdurante scelta del soggetto di non collaborare con la giustizia”.
Né il principio dell’art. 27,
comma 3, Cost. è violato dalla norma (art. 51-bis legge 354/1975) che,
nel caso di sopravvenienza di un titolo di esecuzione
di altra pena detentiva, impone al Tribunale di sorveglianza, ai fini della
decisione sulla prosecuzione o sulla cessazione dell'affidamento in prova al
servizio sociale, di tenere conto in ogni caso del limite di pena di ancora da
espiare stabilito nella misura di tre anni dall'art. 47, comma 1, del medesimo
ordinamento per l'ammissione al beneficio, e non gli permette di valutare se
permangano le condizioni per proseguire il percorso di rieducazione e di
recupero sociale già avviato con la concessione della misura. Infatti,
“in ossequio al principio della funzione rieducativa
della pena, la nuova disciplina tiene conto dell'esigenza di non interrompere
automaticamente, quale che sia l'entità della pena da espiare a seguito della
sopravvenienza di un nuovo titolo esecutivo, la misura alternativa in corso,
ferma restando la condizione generale di ammissibilità
dell'affidamento in prova rappresentata dal limite di pena ancora da
espiare” (ordinanza 139).
Sulla detenzione domiciliare è
intervenuta la sentenza 350, che ha ritenuto in contrasto con il principio di ragionevolezza la norma (art. 47-ter, comma 1,
lettera a, legge 354/1975) che “prevede un sistema rigido che preclude al
giudice, ai fini della concessione della detenzione domiciliare, di valutare
l'esistenza delle condizioni necessarie per un'effettiva assistenza
psico-fisica da parte della madre condannata nei confronti del figlio portatore
di handicap accertato come totalmente invalidante”. Le situazioni
messe a raffronto, ritenute “analoghe ed equiparabili fra loro”
sono “quella della madre di un figlio incapace perché minore degli anni
dieci, ma con un certo margine di autonomia, almeno sul
piano fisico, e quella della madre di un figlio disabile e incapace di
provvedere da solo anche alle sue più elementari esigenze, il quale, a
qualsiasi età, ha maggiore e continua necessità di essere assistito dalla madre
rispetto ad un bambino di età inferiore agli anni dieci” (sentenza 350).
La discrezionalità del legislatore
nel modulare le scelte punitive e nello stabilirne la misura, costantemente
affermata dalla giurisprudenza costituzionale, è ribadita: “uno scrutinio che investa direttamente il merito delle
scelte sanzionatorie del legislatore è possibile
soltanto ove l'opzione normativa contrasti con il principio di eguaglianza,
sotto il profilo dell'assoluta arbitrarietà o della manifesta
irragionevolezza”. Di conseguenza, non è irragionevole un diverso
trattamento del reato di mancato versamento delle ritenute previdenziali da
parte del datore di lavoro rispetto a quello di omesso
versamento delle ritenute fiscali del datore di lavoro quale sostituto
d’imposta: infatti, “il mancato adempimento dell'obbligo di
versamento dei contributi previdenziali determina un rischio di pregiudizio del
lavoro e dei lavoratori, la cui tutela è assicurata da un complesso di
disposizioni costituzionali contenute nei principi fondamentali e nella parte I
della Costituzione (artt. 1, 4, 35, 38 della
Costituzione)” (ordinanza 206).
Il tema della determinatezza della
fattispecie penale viene in rilievo nella ordinanza
2.10. Tutela della famiglia, della
maternità e del minore
L’art. 30 Cost. non ammette un
trattamento deteriore dei figli naturali rispetto ai figli
legittimi. Sulla base di tale principio, molte volte
affermato dalla Corte, è stato dichiarato incostituzionale l'art. 8, lettera b),
della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R.
131/1986, nella parte in cui non esenta dall'imposta di registro i
provvedimenti di determinazione del contributo di mantenimento fissato a carico
del genitore naturale obbligato ed a favore del genitore affidatario.
Peraltro, viene
ribadito che “la convivenza more uxorio, basata sull'affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante
revocabile, presenta caratteristiche così profondamente diverse dal rapporto
coniugale da impedire l'automatica assimilazione delle due situazioni al fine
di desumerne l'esigenza costituzionale di una parificazione di
trattamento” (ordinanza 204).
Tre pronunce intervengono sul tema
dell’adozione.
Innanzitutto, va citata la già richiamata
sentenza 104, che effettua un’ampia ricostruzione della evoluzione
normativa e giurisprudenziale degli istituti a protezione della maternità e del
minore, per giungere a stabilire che, in caso di adozione ed affidamento, i
genitori possano godere dei riposi giornalieri, indipendentemente
dall’età del bambino, nel primo anno dal suo ingresso nella famiglia
(anziché, come avviene per i genitori naturali, nel primo anno di vita del
bambino).
Quanto all’adozione di
maggiorenni,
Riguardo all’adozione
internazionale, è stata dichiarata incostituzionale la disposizione (art. 72 d.lgs 151/2001) che non consentiva alle libere
professioniste, a differenza di tutte le altre lavoratrici, di percepire
l'indennità di maternità nei tre mesi successivi all'ingresso del minore
adottato nella famiglia, quando questi abbia superato
i sei anni di età. “Le ragioni che hanno indotto il legislatore…a
superare il limite dei sei anni di età per il
trattamento di maternità nell'adozione internazionale, come risulta dalla
relazione al disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Aja, – si afferma – sono essenzialmente
individuabili nella valutazione relativa alle difficoltà derivanti
dall'inserimento dei minori stranieri nella comunità familiare ed in quella
scolastica, che aumentano in modo esponenziale con il crescere dell'età,
richiedendo soprattutto nei primi tempi “un'assistenza particolare da
parte dei nuovi genitori”. Le medesime ragioni ricorrono in tutte le
adozioni internazionali, indipendentemente dall'attività lavorativa dei
genitori adottanti: di conseguenza, la limitazione del diritto delle libere
professioniste non solo è priva di autonoma ratio,
ma urta in modo stridente con i principi costituzionali che impongono la tutela
del minore” (sentenza 371).
In tema di minori stranieri,
Quanto al processo minorile, è stato
dichiarato incostituzionale l’art. 27, comma 4,
del d.P.R. 448/1988, “nella parte in cui
prevedeva che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto potesse
essere pronunciata solo nell'udienza preliminare, nel giudizio immediato e nel
giudizio direttissimo”. Alla luce “dell'art. 31, secondo comma,
Cost. e dei principi enunciati nelle Convenzioni, nelle Regole e nelle
Raccomandazioni internazionali in materia… – afferma
Circa la composizione del tribunale
per i minorenni,
2.11. Tutela della salute
Il diritto alla salute è oggetto di alcune sentenze emesse nel giudizio in via principale.
La tutela della salute è, dopo la
riforma del Titolo V, una materia di competenza legislativa concorrente, nella
quale intervengono Stato e regioni. Tuttavia, la salute della persona è
ritenuta un “bene che per sua natura non si presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni
differenziate, rimesse alla discrezionalità dei legislatori regionali”
(così la sentenza 361, sul c.d. “fumo passivo”, su cui v. amplius
infra). Inoltre, “interventi legislativi regionali…sono
costituzionalmente illegittimi ove pretendano di incidere direttamente sul
merito delle scelte terapeutiche in assenza di – o in difformità da
– determinazioni assunte a livello nazionale, e quindi introducendo una
disciplina differenziata, su questo punto, per una
singola regione”. Peraltro, “la valutazione di illegittimità
di norme regionali tendenti a vincolare le scelte terapeutiche non equivale in
alcun modo al riconoscimento della liceità di pratiche (quali, in ipotesi, gli
interventi di c.d. psicochirurgia) delle quali possa
essere messa in discussione la natura stessa di terapie piuttosto che di
interventi soltanto lesivi dell'integrità dei pazienti, e che, in questa
seconda ipotesi, rientrerebbero nell'ambito di previsione di generali
divieti” (sentenza 338).
Due pronunce intervengono in materia
di farmacie.
La legge regionale che stabilisce
limitazioni di orario, turni e ferie per le farmacie
tende ad assicurare il diritto alla salute, il diritto degli esercenti le
farmacie (condizionatamente al limite dell’utilità sociale) e
l’efficienza del servizio pubblico farmaceutico.
Inoltre,
Secondo l’ordinanza 130, poi,
non viola l’art. 32 Cost. la norma (art. 284,
comma 5-bis, del codice di procedura penale) per la quale non possono
essere concessi gli arresti domiciliari nei confronti di chi sia stato
condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il
quale si procede, anche se, come nel caso di specie, trattasi di soggetto
affetto da HIV e tossicodipendente, in quanto “l'art. 275 cod. proc. pen.,
…delinea un ‘sistema’ cautelare specifico nei confronti delle
persone che versino in condizioni di salute particolarmente gravi,
predisponendo un regime di particolare dettaglio per quanti siano affetti da
AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, al fine di pervenire ad un
articolato bilanciamento fra le plurime esigenze coinvolte e le misure
applicabili nella specie; cosicché, configurandosi tale peculiare normativa
come disciplina speciale per quelle categorie di soggetti, essa è certamente
destinata a prevalere rispetto alla previsione dettata dalla norma oggetto di
impugnativa”.
Il diritto alla salute viene in
rilievo anche nella citata sentenza 253, con la quale
è dichiarato incostituzionale l’art. 222 codice penale (v. supra).
Si afferma infatti che “per l'infermo di mente
l'automatismo di una misura segregante e “totale”, come il ricovero
in ospedale psichiatrico giudiziario, imposta pur quando essa appaia in
concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola
esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie del
diritto alla salute di cui all'art. 32 della Costituzione”.
2.12. Diritto al lavoro e giusta retribuzione
In materia lavoristica,
meritano di essere segnalate due decisioni che confermano precedenti sentenze.
Innanzitutto, quanto al temporaneo svolgimento
di mansioni superiori,
Quanto al divieto di cumulo di interessi e rivalutazione monetaria, nel caso di crediti
di lavoro,
2.13. Previdenza e assistenza
Varie pronunce si occupano, senza
introdurre particolari elementi di novità rispetto al passato, dei trattamenti
previdenziali.
Di solito, tra i parametri invocati,
accanto all’art. 38 Cost., compare anche
l’art.3, sia sotto il profilo della
ragionevolezza che dell’eguaglianza. Ad esempio, si afferma che
“non contrasta di per sé con il principio di uguaglianza
un diverso trattamento applicato “alla stessa categoria di soggetti, ma
in momenti diversi nel tempo, perché lo stesso fluire di questo può costituire
un elemento diversificatore” e che “la
scelta del legislatore appare … giustificata in considerazione del fatto
che la previsione interviene nella fase di transizione ad un nuovo regime
giuridico” (ordinanza 162; in questo senso anche ordinanza 121).
Chiamata a controllare la
costituzionalità della norma (art. 11, comma 2, legge 223/1991) che, ai fini
del riconoscimento del trattamento speciale di disoccupazione previsto per i
lavoratori licenziati da imprese edili nelle particolari circostanze ivi
indicate, non include nel computo del periodo di diciotto mesi di lavoro
effettivo, previsto quale presupposto per il conseguimento della prestazione, i
periodi di astensione dal lavoro per infortunio sul
lavoro o per malattia,
Manifestamente infondata è
dichiarata la questione volta ad estendere ai lavoratori dipendenti in permesso
sindacale la copertura assicurativa contro gli
infortuni sul lavoro (estesa dalla Corte, con sentenza 171/2002, ai lavoratori
in aspettativa sindacale). Infatti, soltanto nel caso dell’aspettativa sindacale il sindacato, in quanto beneficiario
della prestazione di c.d. lavoro sindacale, è tenuto a corrispondere
all’INAIL il premio assicurativo, per cui le due fattispecie non sono
comparabili. Neppure è violato, secondo
Quanto al trattamento pensionistico,
in una questione relativa ai dirigenti generali dello
Stato, si ribadisce che “il principio di proporzionalità del trattamento
pensionistico alla quantità e qualità del lavoro prestato – che pure deve
sussistere tanto al momento del collocamento a riposo del lavoratore, quanto
successivamente – non impone affatto il necessario adeguamento del trattamento
pensionistico agli stipendi” (ordinanza 162).
Riguardo, specificamente, al
trattamento pensionistico dei lavoratori autonomi (censurato in quanto coloro che hanno versato i contributi in due diversi regimi
speciali previdenziali, rispettivamente per gli artigiani e per i commercianti,
otterrebbero un trattamento deteriore rispetto a chi è stato soggetto a
un’unica gestione)
Ampia discrezionalità al legislatore
è riconosciuta anche in materia di anzianità
convenzionale, qual è quella derivante dal riscatto degli anni di studio, con
il solo limite della non arbitrarietà (ordinanza 121).
È stata riproposta
alla Corte l’annosa questione dell’integrazione al minimo delle
persone (v. già sentenza 18/1998). Essa ha ritenuto che “l'integrazione
al minimo delle pensioni è già, di per sé, finalizzata ad assicurare mezzi
adeguati alle esigenze di vita al lavoratore che, in mancanza di altri redditi di una certa consistenza, abbia maturato,
sulla sola base dei contributi accreditati, il diritto ad un trattamento
pensionistico di importo troppo esiguo per soddisfare i bisogni minimi di
protezione della persona, sicché il riconoscimento dell'integrazione può
considerarsi sufficiente per garantire il rispetto del principio costituzionale
invocato, mentre in merito all'eventuale attribuzione di ulteriori benefici va
riconosciuto al legislatore un margine di discrezionalità, anche in relazione
alle risorse disponibili” (ordinanza 173).
2.14. Iniziativa economica privata
L’art. 41 Cost. è stato
evocato come parametro nelle ordinanze di rimessione relative alla nuova disciplina delle fondazioni bancarie, in
particolare quanto alla limitazione dei “settori ammessi”, nei
quali cioè è possibile l’intervento di dette fondazioni.
Relativamente all’apertura, in una regione, di una
filiale di un’agenzia di viaggi già autorizzata in altra regione,
2.15. Proprietà
La reiterazione o la proroga di
vincoli urbanistici espropriativi comporta la necessaria indicazione di un
termine e di un indennizzo, diretto al ristoro del pregiudizio causato dal
protrarsi della durata. “L'obbligo specifico di indennizzo
deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea
del vincolo (nella specie 10 anni, secondo la legge regionale denunciata,
trattandosi di piano di edilizia popolare), da considerarsi come periodo di
franchigia da ogni indennizzo, quale determinato dal legislatore entro limiti
non irragionevoli, riconducibili alla normale sopportabilità del peso gravante
in modo particolare sul singolo” (sentenza 148).
La proroga della sospensione delle
procedure di esecuzione forzata per il rilascio di
immobili ad uso abitativo, nei confronti di inquilini appartenenti a
determinate categorie ritenute suscettibili di particolare protezione, non lede
il diritto di proprietà in quanto “può trovare una giustificazione nella
fase transitoria di passaggio dal precedente regime vincolistico al nuovo
sistema delle locazioni e nelle iniziali esigenze di approntamento delle misure
atte ad incrementare la disponibilità di edilizia abitativa per i meno abbienti
in situazione di particolare difficoltà; ciò al fine di consentire loro di
trovare un idoneo alloggio in base alla propria capacità finanziaria, con il
concorso di istituti predisposti o agevolati dalle pubbliche autorità preposte
e responsabili del settore. La sospensione della esecuzione
per rilascio costituisce un intervento eccezionale che può incidere solo per un
periodo transitorio ed essenzialmente limitato sul diritto alla riconsegna di
immobile sulla base di un provvedimento giurisdizionale legittimamente
ottenuto. In tale periodo transitorio (con oneri, si noti, come nella specie, a
carico di soggetti privati) può rientrare la proroga, stabilita con la
disposizione contestata” (sentenza 310).
È stata poi ritenuta lesiva del
diritto di proprietà la norma (art. 52 d.lgs. 490/1999) secondo la quale non sono soggetti ai provvedimenti di rilascio previsti dalla
normativa vigente in materia di locazione di immobili urbani quegli studi
d'artista il cui contenuto in opere, documenti, cimeli e simili è tutelato, per
il suo storico valore, da un provvedimento ministeriale che ne prescrive
l'inamovibilità da uno stabile, del quale contestualmente si vieta la
modificazione della destinazione d'uso. Essa, infatti
determina una compressione irragionevole del diritto di proprietà, in quanto
l’intento perseguito (in attuazione dell’art. 9 Cost.), poteva già
considerarsi attuato sulla base di numerose altre previsioni contenute nella
medesima normativa: la misura, pertanto, è “esuberante rispetto alla
finalità di tutela perseguita” (sentenza 185, già citata).
2.16. Accesso alle cariche elettive
In materia di ineleggibilità,
2.17. Voto degli italiani
all’estero
La disciplina relativa
alle modalità di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini
italiani stabilmente residenti all’estero (previsto dall’art. 48
Cost., come modificato a seguito della legge costituzionale 1/2000), è sfiorata
dalla Corte nell’ordinanza 195, con la quale si dichiara inammissibile il
conflitto promosso dal comitato promotore di un referendum, secondo il quale
l’esercizio del voto per corrispondenza da parte degli elettori stabilmente
residenti all'estero, previsto dalla legge 459/2001, sarebbe stato in contrasto
con “la segretezza del voto, proclamata dall'art. 48 della
Costituzione”. Secondo i ricorrenti, vi sarebbe stata altresì violazione,
da parte della stessa legge e del regolamento attuativo,
delle regole democratiche in materia di campagne elettorali.
2.18. Tributi
Riguardo alle disposizioni
contenenti agevolazioni e benefici tributari, si conferma che, “quali che
ne siano le finalità, costituiscono il frutto di scelte discrezionali del
legislatore, sicché
Non è manifestamente irragionevole
l’esclusione da un’agevolazione fiscale (dettata con
l’intento, connesso alla finalità di razionale sfruttamento del suolo di
cui all’art. 44 Cost., di incentivare
l’attività agricola) di coloro che – per il limitato numero di
giornate lavorative che la coltivazione dei fondi di loro proprietà richiede
ovvero per il fatto di godere di trattamenti pensionistici –
all’evidenza non traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di
reddito (ordinanza 336).
Molte delle questioni sollevate in
materia tributaria invocano come parametro (da solo, o unitamente
all’art. 53) il principio di eguaglianza. Un
esempio è costituito dalla questione decisa con la sentenza 98, relativa alla
base imponibile per il calcolo dell’INVIM per gli immobili (strumentali
delle società) esenti dall’INVIM decennale. Si lamentava una disparità di
trattamento rispetto agli immobili assoggettati all’INVIM decennale,
poiché il valore iniziale assunto come riferimento per gli immobili strumentali
è quello della data di acquisto e non, come avviene
per gli altri, della scadenza dell’ultimo decennio di possesso.
3. Ordinamento della Repubblica
3.1. Il parlamento
Riguardo alla insindacabilità
dei parlamentari, di cui all’art. 68, comma 1, Cost.,
In primo luogo, “l'attività
svolta in seno ad organi parlamentari, quali certamente sono le Commissioni
parlamentari di inchiesta, ha l'identica natura di
quella svolta nelle altre articolazioni in cui i membri della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica sono chiamati a svolgere le proprie
attribuzioni: la definizione di attività parlamentare – soprattutto agli
effetti della garanzia della insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti
dati, a norma dell'art. 68 della Costituzione – non può, infatti,
ammettere arbitrarie limitazioni a seconda della ‘struttura’
all'interno della quale le funzioni anzidette vengono ad essere in concreto
esercitate” (sentenza 219).
Si precisa altresì che “la
‘tipizzazione’ degli atti compiuti dal parlamentare, che rileva
agli effetti della garanzia di insindacabilità, non è
quella che scaturisce dal nomen (valido solo
sul piano meramente ricognitivo); ma è quella che,
secondo un paradigma di effettività, deriva dalla riconducibilità
degli atti all'esercizio delle attribuzioni proprie – anche se attuate in
forma ‘innominata’, sul piano regolamentare – dei componenti
i due rami del Parlamento. È l'atto del parlamentare, in sé e per sé
considerato – e non necessariamente la sua riconducibilità
agli schemi del regolamento parlamentare – a dover presentare quegli
indici di riconoscimento della partecipazione ai lavori delle assemblee, delle
commissioni e degli altri organi della Camera o del Senato, che valgano a qualificarlo come opinione manifestata
nell'esercizio delle funzioni di membro del Parlamento”. Cosicché anche
una lettera, inviata da un capogruppo al presidente di una Commissione
parlamentare di inchiesta, presenta le caratteristiche
necessarie per poter essere inquadrata nel novero degli atti di esercizio della
funzione parlamentare. Il contenuto politico dell’atto non ha rilievo:
“se esso promana da una ‘fonte’
parlamentare e si manifesta come esercizio delle attribuzioni proprie di quella
funzione, è evidente che il suo contenuto comunicativo – abbia o meno
risalto politico, tecnico o di altra natura – non presenta in sé aspetti
significativi o dirimenti agli effetti dello scrutinio relativo alla
applicabilità della garanzia sancita dall'art. 68, primo comma, della
Costituzione” (sentenza 219).
Anche una interrogazione
dichiarata inammissibile dal Presidente dell’assemblea sulla base delle
norme regolamentari può costituire atto di esercizio delle funzioni del
parlamentare, con la conseguenza che le opinioni in essa contenute (e le loro
eventuali riproduzioni in altre sedi) sono coperte dall’insindacabilità.
Molteplici, e non sempre ancorate a criteri rigorosamente predeterminati, sono infatti i motivi di inammissibilità previsti dalla norma
regolamentare. E se “il controllo inteso alla ‘tutela della sfera
personale e dell'onorabilità dei singoli’ può
apparire uno strumento idoneo a equilibrare, con la
protezione di questi valori nell'ambito dell'ordinamento parlamentare, la
potenzialità lesiva di essi insita nella esenzione del parlamentare…da
ogni responsabilità giuridica per le opinioni espresse nello svolgimento del
mandato, non altrettanto può dirsi di criteri come quello che restringe la
sfera del potere ispettivo nei confini propri della responsabilità del Governo
nei confronti del Parlamento, in cui si realizza piuttosto una regolamentazione
dell'istituto in chiave funzionale, a tutela dei rapporti fra Camere ed
esecutivo, che poco ha a che fare con la libertà di espressione del
parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni, che l'insindacabilità tende a
proteggere al massimo grado. Se si tiene poi conto che contro la decisione presidenziale non è previsto, almeno esplicitamente,
né viene praticato alcun rimedio, nemmeno in forma di appello all'assemblea,
ben si comprende come legare indissolubilmente al vaglio positivo di
ammissibilità la caratterizzazione dell'atto come esercizio di funzione
parlamentare, e viceversa, significherebbe attribuire al Presidente della
Camera un potere assoluto incidente su una prerogativa – quella della
insindacabilità – che, benché indirizzata a rafforzare lo statuto
dell'organo parlamentare, si riferisce pur sempre alla libertà di espressione di
ogni singolo membro delle Camere”. Spetterà pertanto alla Corte valutare
caso per caso il contenuto dell’atto e le
ragioni della sua mancata ammissione (sentenza 379).
Nel conflitto che vede
3.2. La necessità di copertura
finanziaria (art. 81, comma 4, Cost.)
Chiamata a verificare il rispetto
dell’art. 81, comma 4, da parte della norma secondo la quale il
magistrato deve liquidare l’onorario del difensore d’ufficio,
qualora questi dimostri di aver esperito, inutilmente,
le procedure per il recupero dei crediti professionali,
3.3. Pubblica amministrazione e
pubblico impiego (art.97 Cost.)
La pubblica amministrazione conserva
pur sempre – anche in presenza di un rapporto di
lavoro ormai contrattualizzato – una
connotazione peculiare, “sotto il profilo della conformazione della
condotta cui essa è tenuta durante lo svolgimento del rapporto al rispetto dei
principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento, cui è
estranea ogni logica speculativa” (così la citata sentenza 82). Pertanto,
ben può essere ritenuta ragionevole la differenziazione della disciplina
processuale applicabile al pubblico dipendente rispetto al lavoratore privato.
Le peculiarità del contratto collettivo nel pubblico impiego
(efficace erga omnes, "funzionale
all'interesse pubblico di cui all'art. 97 Cost., inderogabile sia in pejus che in melius,
oggetto di diretto sindacato da parte della Corte di cassazione per violazione
o falsa applicazione) “rendono evidente l'impossibilità di ritenere a
priori irrazionali le peculiarità della disciplina del processo in cui quel
contratto collettivo – ben diverso da quelli cosiddetti di diritto
privato – deve essere applicato” (sentenza 199).
È altresì ragionevole non aver
previsto, in caso di violazione di norme imperative riguardanti
l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle
amministrazioni pubbliche, la conversione in rapporto a tempo indeterminato,
possibile invece per i lavoratori privati. Infatti, “il principio
fondamentale in materia di instaurazione del rapporto
di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto
estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell'accesso mediante concorso,
enunciato dall'art. 97, terzo comma, della Costituzione” (sentenza 89).
Alla regola del pubblico concorso
quale metodo che, per l'accesso alla pubblica amministrazione, offre le
migliori garanzie di selezione dei pi capaci, in funzione dell'efficienza della
stessa amministrazione (art. 97, comma 1, della Costituzione) possibile
apportare deroghe (come del resto ammette il terzo comma dell'art. 97) qualora
ricorrano particolari situazioni che le rendano non irragionevoli (sentenza
89). Questo principio applicabile anche per laccesso a funzioni pi elevate da parte di chi gi in
rapporto con la pubblica amministrazione. Violano quindi lart. 97, commi 1 e 3, norme che prevedano scivolamenti
automatici verso posizioni superiori (senza concorso o comunque
senza adeguate selezioni o verifiche attitudinali) o concorsi interni per la
copertura della totalit dei posti vacanti. Al contrario, una norma che riguarda l'inserimento in posti di
ruolo di soggetti i quali si trovavano da tempo, nell'ambito
dell'amministrazione, in una posizione di precarietà, perché assunti con
contratto a termine o con la particolare qualificazione connessa alla figura
degli addetti a lavori socialmente utili, non viola l’art.97, comma
Sempre in materia di
impiego pubblico, la sentenza
Si è ribadito,
poi, che “come più volte precisato, il principio del buon andamento della
pubblica amministrazione non può essere invocato per conseguire miglioramenti
retributivi” (ordinanza 162).
L’art. 97 è venuto in rilievo
anche in riferimento alle cause di incompatibilità. In
particolare, esso non è stato ritenuto violato in conseguenza
dell’assenza della incompatibilità tra la carica
di sindaco e l’ufficio di primario nel locale ospedale: “non si può
dire che la funzione del sanitario, che ha essenzialmente compiti di direzione
tecnica di servizi, e non di gestione dell'azienda, lo collochi
istituzionalmente in una posizione di interferenza o conflitto potenziale con
le funzioni di Sindaco del Comune, tale da rendere costituzionalmente
necessaria la incompatibilità dal punto di vista dei principi di imparzialità e
di buon andamento dell'amministrazione: specie se si tiene presente che la
eleggibilità alle cariche rappresentative locali è contenuto di un diritto, che
può essere compresso solo in vista di esigenze costituzionalmente rilevanti, il
cui apprezzamento richiede per lo più – anche se non sempre
necessariamente – una interposizione del legislatore” (sentenza
220).
In alcune decisioni (ordinanze 110 e
225) si conferma che il richiamo all’art.
3.4. Consiglio superiore della magistratura
Due decisioni riguardano il
Consiglio superiore della magistratura.
Anche al procedimento disciplinare,
che si svolge davanti all’apposita sezione, si
applica il principio di imparzialità-terzietà della
giurisdizione, che ha pieno valore costituzionale ai sensi degli artt. 24 e 111 della Costituzione, con riferimento a qualunque tipo di processo,
pur nella diversità delle rispettive discipline connessa alle peculiarità
proprie di ciascun tipo di procedimento. Le soluzioni legislative per
realizzare questo principio, ferma comunque la regola
che il giudice sia collocato sempre in posizione super partes
e di estraneità rispetto agli interessi oggetto del processo, non debbono
prefigurare moduli necessariamente identici per tutti i tipi di processo,
purché sia comunque assicurato quel "minimo" di garanzie
ragionevolmente idonee allo scopo. Conseguentemente, sono incostituzionali le
norme che “non prevedono una soluzione organizzativa che impedisca, nelle
ipotesi di annullamento con rinvio di una decisione
della Sezione disciplinare da parte delle Sezioni unite della Cassazione, che
lo stesso collegio giudicante si pronunci due volte sulla medesima res iudicanda” (sentenza 262).
Quanto al conferimento degli uffici
direttivi,
4. La riforma del Titolo V
4.1. Considerazioni introduttive
Per il secondo anno,
4.2. L’autonomia statutaria
Per quanto attiene alla nuova
autonomia statutaria regionale, affermazioni di rilievo (che fanno seguito a
quelle contenute nella sentenza 304/2002 e precedono
quelle della sentenza 2/2004) si rintracciano nella sentenza 313, nella quale
Inoltre,
4.3. Gli organi della regione
Riguardo agli organi della regione,
oltre al tema della distribuzione della potestà regolamentare tra giunta e
consiglio,
Circa la competenza legislativa
regionale a determinare i casi di incompatibilità dei
consiglieri (art. 122, comma 1), si è dichiarata incostituzionale la legge
lombarda che prevedeva l'incompatibilità della carica di consigliere regionale
esclusivamente con riguardo alle cariche di sindaco e assessore di comuni
capoluogo di provincia e di comuni con popolazione superiore a 100.000
abitanti, ritenendola in contrasto con il principio consistente
“nell'esistenza di ragioni che ostano all'unione nella stessa persona
delle cariche di sindaco o assessore comunale e di consigliere regionale e
nella necessità conseguente che la legge predisponga cause di incompatibilità
idonee a evitare le ripercussioni che da tale unione possano derivare sulla
distinzione degli ambiti politico-amministrativi delle istituzioni locali e, in
ultima istanza, sull'efficienza e sull'imparzialità delle funzioni, secondo
quella che è la ratio delle incompatibilità, riconducibile ai principi
indicati in generale nell'art. 97, primo comma, della Costituzione”.
Perciò, “il co-esercizio delle cariche in
questione è, a quei fini, in linea di massima, da escludere…
Ma ciò non esclude scelte diverse nello svolgimento del medesimo
principio, con riferimento specifico all'articolazione degli enti locali nella
Regione, naturalmente entro il limite della discrezionalità, oltrepassato il
quale il rispetto del principio, pur apparentemente assicurato, risulterebbe
sostanzialmente compromesso” (sentenza 201).
Quanto alla convalida degli eletti
da parte dei consigli regionali,
4.4. La potestà legislativa
regionale
4.4.1. La possibilità per lo Stato di
attrarre competenze legislative al di fuori dell’art. 117, comma
Sicuramente, la pronuncia più
commentata dell’anno in materia regionale è stata la sentenza 303 che,
tra l’altro, interviene anche sul tema della potestà legislativa, a
tutela di istanze unitarie.
“Il nuovo art.117 Cost. – si afferma – distribuisce le
competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla
enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento completo
della previgente tecnica del riparto sono ora
affidate alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative
residuali. In questo quadro, limitare l'attività unificante dello Stato alle
sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione
dei principî nelle materie di potestà concorrente, come postulano le
ricorrenti, significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle
Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali
fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate
condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze [basti pensare
al riguardo alla legislazione concorrente dell'ordinamento costituzionale
tedesco (konkurrierende Gesetzgebung)
o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense (Supremacy Clause)].
Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere
più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate,
attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di
vanificare, per l'ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione
presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principî
giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della
Repubblica. Un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell'art.
118, primo comma, Cost., il quale si riferisce
esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un
meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida…la stessa
distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni
amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad
un livello di governo diverso per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base
dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza. E' del resto coerente con la matrice teorica e con il significato
pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium
quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda
raggiungere; ma se ne è comprovata un'attitudine ascensionale deve allora
concludersi che, quando l'istanza di esercizio unitario trascende anche
l'ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo
Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull'esercizio della funzione
legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone che anche le
funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate
e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole
Regioni, con discipline differenziate, possano
organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e
ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito
siffatto”.
La possibilità, per lo Stato, di
disciplinare, in nome delle esigenze unitarie, profili delle materie di
competenza concorrente che non gli competerebbero, è tuttavia temperata
dall’affermazione che “i principî di sussidiarietà
e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze
legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se
la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni
regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da
irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e
sia oggetto di un accordo stipulato con
Tali principi non possono assumere
“la funzione che aveva un tempo l'interesse nazionale, la cui sola
allegazione non è ora sufficiente a giustificare l'esercizio da parte dello
Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all'art. 117 Cost. Nel
nuovo Titolo V l'equazione elementare interesse nazionale = competenza statale,
che nella prassi legislativa previgente sorreggeva
l'erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni
legislative delle Regioni, è divenuta priva di ogni valore deontico,
giacché l'interesse nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità,
né di merito, alla competenza legislativa regionale. Ciò impone di annettere ai
principî di sussidiarietà e adeguatezza una valenza
squisitamente procedimentale, poiché l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla
funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il
vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che
prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le
intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà”
(sentenza 303; la possibilità che lo Stato possa giustificare la propria
potestà legislativa sulla base di un richiamo all’interesse nazionale è
esclusa anche dalla sentenza 370).
4.4.2. Rapporti tra legge statale e
legge regionale
Riguardo ai rapporti tra legge
statale e legge regionale,
È stato inoltre precisato che al
legislatore regionale, in materie di competenza esclusiva dello Stato, è
precluso recepire, anche solo ricognitivamente,
la normativa statale. In questi casi, infatti, “il problema non è di
stabilire se la legislazione regionale sia o non sia conforme a quella statale,
ma, ancor prima, se sia competente a disporre il riconoscimento,
indipendentemente dalla conformità o dalla difformità rispetto alla legge dello Stato” (sentenza 313).
4.4.3. La definizione delle materie:
aspetti generali
Innanzitutto, essa ha utilizzato, al fine di
ricondurre un determinato oggetto entro una materia, il criterio legislativo-evolutivo. Con la conseguenza che un
cambiamento nella legislazione ordinaria di settore può comportare lo
spostamento della collocazione di un oggetto nel riparto
materiale delle competenze legislative dell’art. 117 Cost. Così, ad
esempio, a seguito della evoluzione legislativa, la disciplina degli asili nido
viene ricondotta entro la materia dell’istruzione e, per alcuni profili,
entro quella della “tutela del lavoro” (sentenza 370); la
disciplina delle fondazioni di origine bancaria è ritenuta estranea, a seguito
degli sviluppi legislativi, alla materia concorrente “casse di risparmio,
casse rurali, aziende di credito a carattere regionale”, per essere ricondotta
invece a quella, statale, dell’ordinamento civile (sentenza 300).
Inoltre, al fine di identificare la
materia cui una norma afferisce, assume rilievo la
finalità perseguita: una legge regionale sugli animali esotici, per esempio, in
quanto persegue obiettivi di tutela igenico-sanitaria
e di sicurezza veterinaria viene ricondotta alla
materia concorrente della “tutela della salute” (sentenza 222);
mentre la disposizione statale che impone anche alle regioni di riservare,
nell’acquisto dei pneumatici per i loro autoveicoli, una quota di almeno
il 20% ai pneumatici ricostruiti viene ricondotta alla competenza esclusiva
dello Stato in materia di ambiente (sentenza 378).
In molti casi, peraltro,
4.4.4. La definizione delle materie:
l’art. 117, comma 2
Diverse decisioni contribuiscono
a definire le materie di competenza statale esclusiva, elencate nel
secondo comma dell’art. 117.
La riserva statale della lettera e),
in materia di “tutela del risparmio e dei mercati finanziari” (che,
secondo
Non può ricondursi alla
“perequazione delle risorse finanziarie” (riservata allo Stato
sulla base della medesima lettera e) una norma che, come quella mirante ad
attenuare le conseguenze sanzionatorie del mancato o
ritardato pagamento del contributo di costruzione, al di là
della sua rubrica, non ha alcuna finalità di tal tipo (sentenza 362).
Riguardo alla “tutela della
concorrenza” (di cui alla stessa lettera e),
La lettera g), che si riferisce all’ “ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, serve a
fondare la potestà legislativa statale in ordine alla norma che consente al
ministero del lavoro di avvalersi di una società per azioni, a capitale
interamente pubblico, per lo svolgimento di funzioni finalizzate alla
promozione dell’occupazione: tale società, infatti, presenta tutti i
caratteri proprie dell’ente strumentale, salvo rivestire la forma della
società per azioni, ciò che non è sufficiente ad escludere la competenza
statale (sentenza 363).
La riserva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza (lettera h) preclude una
disciplina regionale in materia di polizia di sicurezza (che è cosa diversa
dalla polizia amministrativa locale che segue, invece, in quanto strumentale,
la distribuzione delle competenze principali cui accede) (sentenza 313).
Allo stesso modo, la riserva statale
in materia di giurisdizione penale (lettera l) preclude una disciplina
regionale in materia di polizia giudiziaria (sentenza 313).
Quanto alla materia dell’ “ordinamento civile” (di cui alla
medesima lettera l),
Diverse pronunce contengono
interpretazione della lettera m), secondo la quale è
riservata allo Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale”.
Alla definizione della portata della
lettera p) (che riserva allo Stato “legislazione elettorale, organi di
governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane”) ha contribuito la sentenza 48, secondo la quale, nel caso
dell’ordinamento degli enti locali, “il nuovo testo dell'art. 117
non fa che ripercorrere, in forme nuove, le tracce del sistema costituzionale
preesistente, in cui le sole Regioni a statuto speciale godevano già (in
particolare dopo la riforma degli statuti recata dalla legge cost. 23 settembre
1993, n. 2) di una competenza primaria in materia di ordinamento
degli enti locali del proprio territorio, mentre le Regioni ordinarie ne erano
prive”. In particolare, riguardo alla legislazione elettorale, si afferma
che “la configurazione degli organi di governo degli enti locali, i
rapporti fra gli stessi, le modalità di formazione degli organi, e quindi anche
le modalità di elezione degli organi rappresentativi,
la loro durata in carica, i casi di scioglimento anticipato, sono aspetti di
questa materia” (così anche sentenza 377, ove si ritiene compresa nella
competenza statale una nuova disciplina delle cause di incompatibilità degli
eletti a livello locale). Tale riserva preclude, poi, una normativa regionale
sul riparto delle spese per elezioni regionali, provinciali, comunali, in caso
di loro contemporaneità (sentenza 196). Al contrario, resta fuori
dalla competenza statale, (in virtù dell’art. 122, comma 1,
Cost.), la disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità a
cariche elettive regionali, derivanti dalla titolarità di cariche elettive
comunali, provinciali e delle città metropolitane (sentenza 201).
Quanto alla “profilassi
internazionale “ di cui alla lettera q),
4.4.5. La potestà legislativa
concorrente (art. 117, comma 3)
Circa la potestà legislativa
concorrente,
Quanto alla eventualità,
prospettata dalla dottrina, che dopo la riforma del Titolo V sia inammissibile,
nelle materie regionali, una disciplina statale di dettaglio, sia pure
cedevole,
Inoltre, “deve escludersi la
possibilità per lo Stato di intervenire [in materia di competenza concorrente]
con atti normativi di rango sublegislativo, in
considerazione di quanto disposto dall'art. 117, sesto comma,
della Costituzione” (sentenza 329).
Circa la individuazione
dei principi, la sentenza 361, sul c.d. “fumo passivo”, afferma la
natura di principi fondamentali delle disposizioni statali che prevedono varie
fattispecie di illecito amministrativo al fine della tutela della salute. Il
carattere di principi fondamentali, necessariamente uniformi, si ricava dalla
“loro finalità di protezione di un bene, quale la salute della persona,
ugualmente pregiudicato dall'esposizione al fumo passivo su tutto il territorio
della Repubblica: bene che per sua natura non si presterebbe a
essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni differenziate, rimesse
alla discrezionalità dei legislatori regionali. La natura di principi
fondamentali delle norme in questione si comprende non appena si consideri
l'impossibilità di concepire ragioni per le quali, una volta assunta la
nocività per la salute dell'esposizione al fumo passivo, la rilevanza come
illecito dell'attività del fumatore attivo possa variare da un luogo a un altro del territorio nazionale. Non potendosi dunque
contestare al legislatore statale, in questo particolare campo di disciplina,
il potere di prevedere le fattispecie da sanzionare,
non può essergli disconosciuto nemmeno quello di determinare le sanzioni per il
caso di violazione dei divieti e degli obblighi stabiliti. Ciò deriva dal
parallelismo tra i due poteri…numerose volte riconosciuto da questa
Corte…: parallelismo che comporta, in linea di principio, che la
determinazione delle sanzioni sia nella disponibilità del soggetto al quale è rimessa la predeterminazione delle fattispecie da
sanzionare”.
Lo stretto legame tra principi
fondamentali, uguaglianza, diritti, emerge anche dalla sentenza 338, ove si
afferma (riprendendo in parte la sentenza 282/2002) che “stabilire il
confine fra terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle
acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe
direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia,
collocandosi all'incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata:
quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e
dell'arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare
nella propria integrità fisica e psichica, “diritti la cui tutela non può
non darsi in condizioni di fondamentale eguaglianza su tutto il territorio
nazionale”.
Significativa è anche la sentenza 353, nella
quale si afferma che la potestà legislativa regionale in materia di professioni
sanitarie (nella specie, si trattava di pratiche terapeutiche e discipline non
convenzionali - quali agopuntura, fitoterapia, omeopatia, omotossicologia
e altre) deve “rispettare il principio, già vigente nella legislazione
statale, secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i
relativi profili ed ordinamenti didattici, [deve] essere riservata allo
Stato”. La possibilità che i principi fondamentali comportino
l’inclusione o l’esclusione di singoli settori da una materia
(possibilità negata in passato dalla giurisprudenza costituzionale) è sfiorato anche dalla citata sentenza 222: una delle censure
avanzate dal governo nei confronti della legge regionale sugli animali esotici
riguardava, infatti, la violazione di un supposto principio fondamentale
consistente nella riserva allo Stato di tale materia. La questione è stata dichiarata
inammissibile dalla Corte per mancata specificazione dell’oggetto,
“a prescindere…dalla impossibilità,
eccepita dalla regione resistente, di qualificare come ‘principi fondamentali’ quelli racchiusi in norme statali che
– prive di contenuto prescrittivo, atto ad orientare il modo di esercizio
della potestà legislativa regionale – si limitino a sancire
l’inclusione o l’esclusione di determinati settori
nell’ambito di una materia di competenza regionale concorrente”.
Il mancato richiamo, da parte di una
legge regionale, dei principi fondamentali contenuti in leggi statali non
determina, di per sé, alcuna violazione di norme costituzionali. Ciò, infatti,
“non implica un'automatica espansione delle competenze regionali,
restando tali limiti vincolanti e dovendosi piuttosto valutare in concreto se
essi non siano violati dal contenuto normativo delle disposizioni
impugnate” (sentenza 327). Comunque,
nell’ottica della separazione delle sfere di competenza, è preclusa alla
regione la fissazione dei principi fondamentali, in caso di fenomeni, come il
mobbing, non ancora disciplinati dallo Stato
(sentenza 359).
È stato affrontato anche il problema
della possibilità per le regioni, in materie concorrenti, di dettare una
disciplina aggiuntiva, più garantista di quella
statale rispetto ai valori tutelati dalle norme di principio, secondo un
orientamento presente, come si rileva (sentenza 307),
nel diritto comunitario. Di norma tale “aggiunta” è ammissibile
(sentenza 222), ma non quando i principi statali (che, ad esempio, fissano
valori-soglia per l’esposizione a onde
elettromagnetiche) sono dettati non per proteggere un unico valore, ma come
risultato di un bilanciamento tra molteplici interessi, riconducibili a campi
materiali diversi (sentenza 307 e sentenza 331). D’altra parte, il fatto
che gli standard fissati dalla regione siano più rigorosi di quelli statali non rappresenta un argomento significativo quando si
tratti di questioni di costituzionalità riguardanti non il contenuto delle
scelte legislative ma la spettanza delle stesse (sentenza 308).
Nelle materie di competenza
concorrente, poi, è illegittima la norma che prevede che determinati standard
debbano essere fissati in sede di Conferenza Stato-regioni,
in quanto ciò si risolverebbe in una negazione della competenza legislativa
delle singole regioni (sentenza 370).
4.4.6. La potestà legislativa
regionale residuale (art. 117, comma 4)
Riguardo alle competenze regionali
residuali del comma 4 dell’art. 117,
4.4.7. Le competenze delle regioni a
statuto speciale (art. 10 legge cost. 3/2001)
4.4.8. Diritto comunitario e
competenze regionali
Quanto all’incidenza del
diritto comunitario sulle materie regionali, pur non essendo tale profilo
venuto in rilievo in modo espresso (non è stato mai richiamato l’art.
117, comma 5, secondo il quale le regioni “nelle materie di loro
competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi
comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione…degli
atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite
da legge dello Stato”), va tuttavia sottolineato
come le norme comunitarie compaiono varie volte nella motivazione delle
decisioni, vuoi in quanto contiene principi generali idonei a giustificare la
possibilità di discipline aggiuntive regionali, vuoi in quanto
l’esistenza di atti comunitari relativi a un fenomeno non ancora
disciplinato dallo Stato, come il mobbing,
porta “ad escludere che esso, nei suoi aspetti generali e per quanto
riguarda i principi fondamentali, possa essere oggetto di discipline
territorialmente differenziate” (sentenza 359). Circa
la possibilità di impugnare, in via principale, norme regionali per violazione
del diritto comunitario, v. supra, la sentenza 303.
4.4.9. Regolamenti governativi e
competenze regionali (art.117, comma 6)
Riguardo alla potestà regolamentare,
4.4.10. Il potere estero (art. 117,
comma 9)
4.4.11. Le funzioni amministrative
Quanto alla distribuzione delle
funzioni amministrative, di cui all’art. 118 Cost.,
Riguardo al principio di sussidiarietà, la già più volte
richiamata sentenza 303 afferma che la funzione che l’art. 118
assegna a tale principio “si discosta in parte da quella già conosciuta
nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 15 marzo 1997, n. 59
come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni
amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già operante
nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine
prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo
della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla
primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione
della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti,
attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà,
che consente ad essa di operare non più come ratio
ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e
predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell'ordine
in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie”.
Quanto alla sussidiarietà
c.d. “orizzontale”, cui si riferisce l’art. 118, comma 4,
Cost.,
In sostanziale continuità con la
giurisprudenza relativa al vecchio Titolo V è stata
ribadita la centralità del principio di leale collaborazione. Di conseguenza,
un decreto ministeriale in materia di competenza concorrente, adottato senza il
parere della Conferenza Stato-regioni, previsto dalla
legge, è stato ritenuto viziato, indipendentemente dal problema della
perdurante utilizzabilità, dopo la riforma, della legge su cui il decreto
stesso si fondava: è infatti violato, direttamente, il
principio di leale collaborazione (sentenza 88).
Circa la dibattuta questione della
sorte della funzione di indirizzo e coordinamento dopo
la riforma del Titolo V,
4.4.12. L’autonomia
finanziaria
Circa l’autonomia finanziaria
prevista dall’art. 119,
Di primario rilievo per
l’interpretazione dell’art. 119 è la sentenza 370. Con essa
4.4.13. Il potere sostitutivo
Quanto al potere sostitutivo
dell’art. 120,
Circa la possibilità, per le
regioni, di sostituirsi agli organi degli enti locali,
4.4.14. Le modifiche territoriali
Quanto all’art. 133 Cost
(norma non toccata dalla riforma costituzionale),