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Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma

IL TRIBUNALE

Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questione di legittìmità sollevata in via incidentale.

Ritenuto in fatto

In data 4 luglio 2008 il p.m. ha avanzato richiesta di proroga dei termini di scadenza delle indagini preliminari (art. 406 c.p.p.) per il periodo di sei mesi, nell'ambito del procedimento iscritto al n. 1349/08 del Registro delle notizie di reato a carico di Berlusconi Silvio, Pilello Pietro e Scali Nicodemo Domenico, indagati i primi due per il reato di cui agli artt. 81, 110, 319, 322 c.p. (istigazione alla corruzione nei confronti del sen. Antonio Randazzo e di altri parlamentari commessa tra il mese di settembre e quello di novembre 2007) ed il terzo per lo stesso reato di cui agli artt. 319, 322 c.p. (istigazione alla corruzione nei confronti del sen. Antonio Randazzo commessa nel mese di giugno 2007).

Decorso il periodo di sospensione feriale dei termini di cui alla legge n. 742/1969, questo giudice si è trovato nella necessità di procedere alla notificazione della richiesta del p.m. agli indagati, in vista dell'instaurazione del contraddittorio cartolare di cui all'art. 406, comma 3 c.p.p. che in via eventuale può instaurarsi prima della relativa decisione.

In data 23 luglio 2008, il Parlamento ha, però, varato la legge n. 124 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 173 del 23 luglio 2008) «Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato» composta di un solo articolo, il cui comma 1 impone la sospensione generale ed automatica dei processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e di Presidente del Consiglio dei ministri dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica, anche ai processi penali per fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione.

Dato che uno degli indagati, l'on. Silvio Berlusconi, riveste attualmente la carica di Presidente del Consiglio dei ministri, risulta pertanto paralizzata ogni ulteriore attività processuale nei suoi confronti, laddove essa può, invece, naturalmente proseguire nei confronti degli altri indagati.

Si ritiene, pertanto, di sollevare d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. l, comma 1, della legge n. 124/2008 per contrasto con gli articoli 3, primo comma e secondo comma, 112, 138, secondo comma Cost., nei termini e nei limiti di seguito indicati.

Considerato in diritto

1) Rilevanza della questione.

Il cozza 1 dell'art. 1 della legge n. 124/2008 stabilisce che «Salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente dei Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e di Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione sì applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione».

La locuzione adoperata di «processi penali» nei confronti dei soggetti che rivestono le qualità ora indicate, lascerebbe intendere la non operatività della legge per le fasi anteriori al giudizio propriamente inteso, da celebrarsi cioè in pubblico dibattimento, ma un'attenta analisi del dato normativo non autorizza a simile interpretazione restrittiva.

Premessa la pacifica ammissibilità della questione incidentale di costituzionalità anche nella fase delle indagini preliminari (ex plurimis sentenza Corte cost. n. 372/2006 in cui tutti i procedimenti di merito, tra cui uno pendente presso questo stesso ufficio remittente, si trovavano in detta fase processuale), il comma 7 dell'art. 1 della stessa legge stabilisce, intatti, che «le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della presente legge».

Orbene, se è certamente concepibile la circostanza che un processo, inteso come procedimento pervenuto alla fase dei dibattimento pubblico, possa pendere in diversi gradi (primo, secondo, di legittimità) e se è certamente possibile individuare all'interno dei gradi, diversi stati (quelli ad es. degli atti preliminari al dibattimento di primo, artt. 465-469 c.p.p. e di secondo grado, art. 601 c.p.p.; atti successivi alla deliberazione della sentenza di primo grado, artt. 544-548 c.p.p.; atti preliminari alla decisione del ricorso per Cassazione, art. 610 c.p.p.), non è invece giuridicamente ipotizzabile per il giudizio dibattimentale una fase che non sia quella in cui lo stesso è per l'appunto pervenuto. Ciò a dimostrazione del carattere atecnico della locuzione adoperata (processo) che copre in realtà e come del resto espressamente enunciato, ogni fase, stato e grado del procedimento.

Ne' si può dare spiegazione diversa da quella ora indicata alla menzione della fase (processuale) di cui citato comma 7 e, del resto, vale come criterio generale di interpretazione quello di attribuire alla previsione normativa un qualsiasi significato plausibile prima di stabilirne l'irrilevanza dispositiva, precettiva o anche solo ermeneutica.

Nel corpo della stessa disciplina normativa, si rinviene, inoltre, un ulteriore ed insormontabile argomento testuale che impedisce di interpretare tecnicamente ed in maniera restrittiva il termine processo adoperato dal legislatore: il comma 3 stabilisce, infatti, che la sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti, di provvedere, ai sensi degli articoli 392 e 467 del codice di procedura penale, per l'assunzione delle prove non rinviabili.

Tale previsione, dettata per ovviare ad una delle varie censure mosse da codesta Corte a quella analoga contenuta nell'art. 1, comma 2, legge n. 140/2003, comporta due necessarie implicazioni:

a) evidenzia che la sospensione riguarda anche fasi precedenti il processo inteso come giudizio dibattimentale pubblico, dal momento che solo nel corso della fase delle indagini preliminari (artt. 392 e segg. c.p.p.) e dell'udienza preliminare (in forza della sentenza Corte costituzionale n. 77 dei 10 marzo 1994) è consentito il ricorso alla acquisizione anticipata delle prove mediante incidente probatorio;

b) conferma propriamente che nella fase delle indagini preliminari è vietata, in linea generale, la raccolta delle prova - che, al fine di permettere la celebrazione del future processo che potrebbe avere luogo alla scadenza del periodo di durata della carica dei soggetti considerati, è necessario ricorrere allo strumento dell'incidente probatorio.

Ove, infatti, il legislatore avesse voluto consentire tout court la raccolta delle prove anche nella fase delle indagini preliminari, nulla avrebbe detto al riguardo, laddove si è invece sentito in dovere dì indicare espressamente le eccezioni ora indicate al principio, implicitamente quanto inequivocabilmente stabilito, di vietare ogni acquisizione probatoria nei procedimenti a carico dei soggetti che ricoprono le cariche pubbliche considerate.

2) Non manifesta infondatezza della questione.

Come premesso, si ritiene, dunque, di sollevare d'ufficio la questione di non manifesta infondatezza della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, legge n. 124/2008 in relazione agli artt. 3, primo comma e secondo comma, 111, secondo comma, 112, 138, primo comma della Costituzione.

2a) Il primo, più evidente ed insuperabile vulnus alla carta fondamentale riguarda l'art. 3, primo comma Cost., dal momento che col censurare l'analoga previsione prevista dall'art. 1, comma 2, legge n. 140/2003 codesta Corte ha già osservato che mercè la sua adozione è stato creato «un regime differenziato riguardo alla giurisdizione ... penale» (sent. Cost. n. 24/2004).

«L'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge costituisce uno dei principi supremi del nostro ordinamento, come tale non modificabile nemmeno con una legge di revisione costituzionale» recitano ancora diverse sentenze di codesta Corte (n. 15/1996, 62/1992, 388/1991, 1146/1988, 16 e 18/1982).

È cosciente, peraltro, il remittente che la ricordata sentenza n. 24/2004 ha argomentato in maniera oltre modo articolata per addivenire alla dichiarazione di incostituzionalità della previsione allora sottoposta a scrutinio.

Premessa, infatti, la ricordata «creazione di un regime differenziato riguardo all'esercizio della giurisdizione, in particolare di quella penale», si è precisato che «la constatazione di tale differenziazione non conduce di per sé all'affermazione del contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione. Il principio di eguaglianza comporta, infatti, che se situazioni eguali esigono eguale disciplina, situazioni diverse possono implicare differenti normative. In tale seconda ipotesi, tuttavia, ha decisivo rilievo il livello che l'ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversità può venire in considerazione. Nel caso in esame sono fondamentali i valori rispetto ai quali il legislatore ha [invece] ritenuto prevalente l'esigenza di protezione della serenità dello svolgimento delle attività connesse alle cariche in questione. Alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili è regolato da precetti costituzionali».

Con espressioni nette e limpide, ancorché quantitativamente ridotte rispetto al corpo motivazionale, è stato dunque già affrontato e risolto il profilo fondamentale della questione: nessuna legge, sia costituzionale e tanto meno ordinaria, può sovvertire uno dei principi fondamentali del moderno Stato di diritto, rappresentato dalla parità dei cittadini di fronte alla giurisdizione, manifestazione a sua volta del principio di eguaglianza formale dinanzi alla legge.

L'assolutezza del principio sgombra il campo dalla possibile obiezione che le differenze che si riscontrano nell'articolo unico della legge n. 124/2008 rispetto all'art. 1, comma 2, della legge n. 140/2003 e l'eliminazione degli ulteriori punti di contrasto con altre norme costituzionali che caratterizzavano quella disciplina (menomazione dei diritto di difesa dell'imputato e sacrificio delle ragioni della parte civile eventualmente costituta in giudizio in relazione all'art. 24 Cost., automatismo generalizzato della sospensione e stasi indefinita dei tempi del processo in relazione ancora all'art. 24 ed all'art. 111Cost.; irragionevolezza derivante dalla previsione di unica disciplina per cariche dello Stato diverse per fonti di investitura e natura delle funzioni ed irragionevolezza tra regime di esenzione dalla giurisdizione per le cariche apicali dello Stato rispetto ai membri degli organi costituzionali di appartenenza o di altri soggetti svolgenti funzioni omologhe, in rapporto all'art. 3, secondo comma Cost.) possano fondare la legittimità della previsione qui censurata.

I profili che hanno condotto alla dichiarazione di illegittimità della analoga previsione contenuta nella legge n. 140/2003 costituivano, invero, aspetti obiettivamente secondari rispetto alla ritenuta violazione di quel principio fondamentale dell'ordinamento costituito dall'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed alla giurisdizione: risulterebbe, pertanto, singolare una valorizzazione interpretativa di quelle questioni addirittura in funzione di legittimazione di una violazione della Carta costituzionale di rilevanza più grave, solo perché l'attuale legge n. 124/2008 ha individuato meccanismi normativi che ne impediscono la riproposizione.

2b) La disciplina in esame è stata, inoltre, stabilita con una legge che, dichiarando di derogare espressamente agli artt. 90 e 96 della Costituzione, non è stata adottata secondo la procedura di revisione costituzionale di cui all'art. 138 Cost., ciò, che costituisce la seconda macroscopica violazione della Carta fondamentale.

La deroga al principio di uguaglianza dinanzi alla giurisdizione ed alla legge è stata, infatti, introdotta con lo strumento della legge ordinaria, che nella gerarchia delle fonti si colloca evidentemente ad un livello inferiore rispetto alla legge costituzionale, la quale - come dianzi ricordato - è stata di per sé già ritenuta insuscettibile di alterare uno dei connotati fondamentali dell'ordinamento dello Stato espresso dal suddetto principio: pare, al riguardo, perfino superfluo rammentare che anche solo per disciplinare l'esercizio dell'azione penale nei confronti dei soggetti rivestiti della carica di Ministri (tra cui lo stesso Presidente del Consiglio) in relazione ai reati commessi nell'esercizio delle relative funzioni, il legislatore è ricorso allo strumento della legge costituzionale (legge cost. 16 gennaio 1989, n. 1), in funzione derogatoria, tra gli altri, proprio dell'art. 96 Cost.

Codesto Giudice delle leggi si è, invero e come anticipato, già occupato della analoga disposizione contenuta nell'art. 1, secondo comma in relazione al comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), intervenendo con la ricordata pronunzia caducatoria n. 24/2004 e tuttavia non pronunziandosi sul profilo del rapporto tra lo strumento allora adottato (sempre la legge ordinaria) e gerarchia delle fonti costituzionali, in quanto non investito sul punto dal giudice remittente.

È però evidente come il silenzio serbato al riguardo non possa valere come precedente a favore della costituzionalità della scelta dello strumento normativo allora come oggi adottato, dal momento che gli effetti delle sentenze che dichiarano l'illegittimità costituzionale delle disposizioni di legge sottoposte a scrutinio sono quelli espressamente previsti dagli art. 27 e 30legge 11 marzo 1953, n. 87, e non si estendono anche alle questioni meramente deducibili.

Data la funzione del giudizio di costituzionalità, tali sentenze posseggono, infatti, un'efficacia necessariamente diversa da quella ad es. spiegata dal giudicato civile, i cui limiti, previsti normativamente dall'art. 2909 cod. civ., si estendono al «dedotto ed al deducibile» seppur variamente individuato, secondo il tradizionale e costante indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass., sez. lav., n. 9544 dell’11 aprile 2008, Cass., sez. lav., n. 17078 del 3 agosto 2007).

2c) Quanto alla violazione del principio di ragionevole durare dei processo (art. 111 Cost.), la pur intervenuta eliminazione delle previsioni sulla durata indefinita e sulla reiterabilità della sospensione, già contenute nella legge n. 140/2003, non ha fatto perdere di rilevanza alla questione.

In estrema sintesi, con la presente disciplina si stabilisce che i termini di cinque (Presidente del Consiglio dei ministri e Presidenti di Camera e Senato) e sette anni (Presidente della Repubblica) in cui consiste il differimento del processo, rinunciabile da parie dell'interessato, risultano irrilevanti ai fini della relativa durata, facendo scadere a questione privata (palesata dalla altrimenti incomprensibile facoltà di rinunzia) degli interessati quello che costituisce un connotato intrinseco alla natura stessa della giurisdizione, purtroppo sovente ed in concreto violato, ma che il legislatore costituzionale, forse anche proprio per questo, ha ritenuto necessario enunciare nella Carta fondamentale.

Con la previsione della sospensione generalizzata dei procedimenti viene, infatti, ad essere violato un corollario immanente al principio di ragionevole durata del processo, consistente nella concentrazione delle fasi processuali, nel senso che nell'ambito del procedimento penale, alla fase di acquisizione delle prove deve seguire entro tempi ragionevoli quella della loro verifica in pubblico dibattimento, ai fini della emissione di una giusta sentenza da parte del giudice.

La ricordata insindacabile facoltà di rinunzia comporta, del resto, essa stessa un ulteriore profilo di irrazionalità intrinseca alla disciplina, dal momento che se l'interesse dichiaratamente perseguito dal legislatore è quello di assicurare la serenità di svolgimento della funzione nel periodo di durata in carica (sent. Corte cost. n. 24/2004), la sospensione dei procedimenti dovrebbe essere del tutto indisponibile da parte dei soggetti considerati, al fine di assicurarne appieno l'efficacia.

2d) La previsione dell'art. 1, comma 1, legge n. 124/2008 viola, infine, i principi costituzionali di obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.) e di uguaglianza sostanziale (art. 3, secondo comma Cost.), sotto il profilo della irragionevolezza del suo connotato derogatorio rispetto al diritto comune.

Quanto al principio di obbligatorietà dell'azione penale, per richiamare solo una delle interpretazioni fornitane dalla stessa giurisprudenza di codesta Corte, la sua intangibilità postula che nulla venga sottratto al controllo di legalità del giudice, con il corollario che nei casi dubbi e diversamente dai sistemi processuali in cui vige la facoltatività, l'azione penale debba essere esercitata e non omessa (sentenza Corte cost. n. 88/1991).

2e) Ciò non vuol evidentemente dire che non possano prevedersi deroghe al principio stesso, ma come la stessa Costituzione vigente palesa, esse attengono ai soli reati connessi nell'esercizio di funzioni istituzionali e che siano intrinsecamente connaturati allo svolgimento delle medesime (artt. 68, 90, 96 e 122, quarto comma Cost.), situazione quest'ultima che fonda per !1appuntn !a ragionevolezza anche della deroga al regime ordinario di procedibilità dei reati.

Si rivela di conseguenza dei tutto priva dei connotato della ragionevolezza e quindi contrastante con il disposto dell'art. 3, secondo comma Cost., una disciplina implicante deroga al principio di obbligatorìetà della azione penale (anch'essa espressione di quelle d'eguaglianza formale dei cittadini dinanzi alla legge) per tutti i reati indistintamente commessi dai soggetti ivi indicati, di qualsivoglia natura e gravità, finanche prima dell'assunzione della funzione pubblica.

L'irragionevolezza qui denunziata risalterebbe, invero, in maniera ancora più netta nel caso in cui la sospensione intervenisse concretamente a bloccare, sia pur temporaneamente, procedimenti per reati, non solo ictu oculi gravi come l'omicidio (art. 575 c.p.), la rapina e l'estorsione (artt. 628 e 629 c.p.) o la violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) per non parlare dei delitti connessi alla pedopornografia, ma anche astrattamente meno rilevanti come la lesione personale (art. 582 c.p.) o la violenza privata (art. 610 c.p.), con il non voluto risultato di trasformare l'assunzione dell'incarico pubblico, comportante la generale temporanea immunità, in momento di obiettivo disdoro per il prestigio intrinseco della funzione.

Nel panorama della legislazione comparata a livello internazionale, la legge n. 124/2008 viene, infine, a configurarsi come un unicum rispetto alle soluzioni adottate nelle Costituzioni di alcuni Stati, atte a regolamentare le immunità previste per alcune alte cariche pubbliche.

Innanzi tutto va ricordato che solo le Costituzioni di pochi Stati (Grecia, Portogallo, Israele e Francia) prevedono l’immunità temporanea per i reati comuni; essa è peraltro limitata alla figura del Presidente della Repubblica, che rappresenta l'unità nazionale, intendendosi in tal modo tradurre un'evidente regola di opportunità secondo cui l'ordinamento non può, per la durata della carica, sottoporre a processo la persona che ne rappresenta anche icasticamente l'unitarietà.

La stessa regola non vale, invece, per i Presidenti del Parlamento ne' tanto meno per il Capo dell'Esecutivo.

Per quest'ultima figura, basta accennare alla circostanza che generalmente l'immunità, sub specie di insindacabilità delle opinioni espresse e meno che mai estesa ai reati comuni, passa attraverso la tutela del mandato parlamentare che quasi sempre (non ad es. in Francia o nei Paesi Bassi) si cumula nella figura del premier, sotto forma di previsione di autorizzazioni a procedere concesse da organi parlamentari (Spagna), Corti costituzionali (Francia) o tribunali comuni (Stati Uniti), riguardando però sempre condotte strettamente funzionali allo stesso mandato elettivo.

A medesima logica sono poi ispirate le soluzioni normative proprie di quei sistemi costituzionali che prevedono fori speciali o particolari condizioni di procedibilità (in genere ed ancora: autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza) per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di alcune alte cariche dello Stato, per reati sia comuni che connessi all'esercizio delle funzioni (come ad es. in Spagna nei confronti del Capo del Governo e dei Ministri), mantenendo comunque la facoltà per la Corte costituzionale di esercitare un controllo sull'eventuale diniego opposto dallo organo parlamentare.

Per tutte le ragioni dinanzi esposte, apparendo la questione rilevante nel presente procedimento e nei limiti sopra indicati non manifestamente infondata, si impone la rimessione della stessa a codesta Corte.

P. Q. M.

Visti gli artt. 134  Cost., 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87;

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1 della legge n. 124 del 23 luglio 2008, per violazione degli artt. 3, primo comma e secondo comma, 111, secondo comma, 112 e 138, primo comma Cost.

Dispone la trasmissione di copia degli atti del procedimento alla Corte costituzionale.

Sospende il presente procedimento nei confronti dell’indagato Berlusconi Silvio fino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

Manda alla cancelleria per l'immediata notific-azione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché la sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Roma, addì  26 settembre 2008

Il giudice: Villoni